Il cervello umano è mirabilmente abile a legare dettagli apparentemente casuali in un ricordo coeso, scatenando una miriade di associazioni, alcune buone, altre meno buone.
Per i tossicodipendenti in fase di recupero e le persone che soffrono di disturbo da stress post-traumatico (PTSD), i ricordi indesiderati possono essere devastanti.
Gli ex tossici di metanfetamina, per esempio, riferiscono di avere un desiderio intenso di droga innescato dalle associazioni con le sigarette, il denaro e anche la gomma da masticare (usata per alleviare la secchezza della bocca), spingendoli indietro nella dipendenza da cui stanno disperatamente cercando di uscire.
Ora, per la prima volta, gli scienziati del campus della Florida di The Scripps Research Institute (TSRI) sono riusciti a cancellare i ricordi pericolosi associati ai farmaci in topi e ratti, senza influenzare gli altri ricordi più benigni. La sorprendente scoperta, pubblicata questa settimana online prima della stampa sulla rivista Biological Psychiatry, consiste in un metodo chiaro e operativo per distruggere i ricordi indesiderati, lasciando il resto intatto.
"Sono i nostri ricordi a renderci ciò che siamo, ma alcuni di essi possono rendere la vita molto difficile", ha detto Courtney Miller, assistente professore al TSRI che ha guidato la ricerca. "Come nel film 'Eternal Sunshine of Spotless Mind' [titolo italiano: Se mi lasci ti cancello], siamo alla ricerca di strategie per eliminare selettivamente le prove di esperienze passate in materia di abuso di droga o di un evento traumatico. Il nostro studio dimostra che possiamo fare proprio questo nei topi; eliminare ricordi profondamente radicati, legati alla droga, senza danneggiare gli altri".
Modificare la struttura della memoria
Per produrre un ricordo, molte cose devono accadere, inclusa l'alterazione della struttura delle cellule nervose tramite le variazioni delle spine dendritiche, piccole strutture simili a bulbi che ricevono segnali elettrochimici da altri neuroni. Di norma questi cambiamenti strutturali avvengono tramite l'actina, la proteina che costituisce l'infrastruttura di tutte le cellule.
Nel nuovo studio, i ricercatori hanno inibito la polimerizzazione (la creazione di grandi molecole a forma di catena) dell'actina, bloccando un motore molecolare chiamato miosina II nel cervello di topi e ratti durante la fase di manutenzione nella formazione di ricordi legati alle metanfetamine. I test comportamentali hanno mostrato che gli animali hanno perso immediatamente e permanentemente i ricordi associati alla metamfetamina, senza che venissero colpiti gli altri ricordi.
Nei test gli animali sono stati addestrati ad associare gli effetti gratificanti della metamfetamina con un ricco contesto di segnali visivi, tattili e profumati. Dopo che é stato loro iniettato l'inibitore molti giorni più tardi nel loro ambiente familiare, hanno mostrato una completa mancanza di interesse quando incontravano stimoli legati alla droga. Allo stesso tempo, rimaneva inalterata la risposta ad altri ricordi, come i premi in cibo.
Anche se gli scienziati non sono ancora sicuri perché potenti ricordi riguardanti le metanfetamine sono così fragili, essi pensano che i risultati provocatori potrebbero essere correlati al ruolo della dopamina, un neurotrasmettitore coinvolto nella ricompensa e nei centri del piacere nel cervello e di cui si conosce la capacità di modificare le spine dendritiche.
Studi precedenti avevano dimostrato che la dopamina viene rilasciata durante sia l'apprendimento che la sospensione del farmaco. Miller aggiunge: "Siamo concentrati sulla comprensione di ciò che rende diversi questi ricordi. La speranza è che le nostre strategie possano essere applicabili ad altri ricordi dannosi, come quelli che perpetuano il fumo o il PTSD".
Fonte: Scripps Research Institute.
Riferimento: Erica J. Young, Massimiliano Aceti, Erica M. Griggs, Rita A. Fuchs, Zachary Zigmond, Gavin Rumbaugh, Courtney A. Miller. Selective, Retrieval-Independent Disruption of Methamphetamine-Associated Memory by Actin Depolymerization. Biological Psychiatry, 2013; DOI: 10.1016/j.biopsych.2013.07.036
Pubblicato in Science Daily (> English version) - Traduzione di Franco Pellizzari.
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