Ricerche
Scansione Tau: nuova tecnica consente di sviluppare nuovi farmaci di Alzheimer
Il cervello di un malato di Alzheimer in un'immagine PET tau. Il rosso indica le aree con la concentrazione più alta della proteina tau. Nella lente, un ingrandimento al microscopio mostra le striature rosso scuro e le isole di tau. (Illustrazione: Michael Sch)
Un caso di studio della Lund University in Svezia conferma che le immagini PET tau mostrano i cambiamenti reali nel cervello, con un grado più elevato di precisione.
Secondo i ricercatori che hanno eseguito lo studio, questo aumenta le possibilità di sviluppare farmaci efficaci.
Ci sono diversi metodi per produrre immagini che mostrano i cambiamenti nel cervello associati all'Alzheimer. Il metodo PET tau rivela la presenza di una proteina nel cervello, la tau, con l'aiuto di una camera gamma e una molecola radioattiva appositamente selezionata (F-AV-1451).
La tau ha la funzione importante di assistere il trasporto di varie sostanze all'interno delle cellule nervose del cervello. Le persone con Alzheimer hanno alti livelli di tau, con conseguente accumulo della proteina nelle cellule cerebrali e con la loro morte graduale.
L'Università di Lund e lo Skåne University Hospital sono alcune delle istituzioni che studiano i pazienti con il metodo PET tau per scopi di ricerca. Fino ad ora, nessuno sapeva con precisione come il nuovo metodo di imaging riproduce i cambiamenti reali in un cervello colpito dall'Alzheimer.
Il caso di studio in questione, tuttavia, mostra che l'immagine e la realtà corrispondono bene. Lo studio ha permesso per la prima volta ai ricercatori di confrontare le immagini PET tau e il tessuto cerebrale dalla stessa persona. Il tessuto cerebrale è stato prelevato da una persona morta che aveva subito recentemente un esame con il nuovo metodo di scansione.
"La PET tau può migliorare la diagnosi, ma soprattutto, il metodo di imaging può essere di grande importanza per lo sviluppo di nuovi farmaci per combattere l'Alzheimer", spiega Ruben Smith, ricercatore dell'Università di Lund e medico dello Skåne University Hospital. "Ci sono nuovi farmaci candidati che mirano a ridurre l'accumulo di tau. Il metodo di imaging apre nuove opportunità per studiare a livello dettagliato lo sviluppo della malattia, e osservare come gli aggregati di tau sono influenzati dai farmaci".
"La persona che è stata esaminata aveva una mutazione che ha portato all'accumulo della tau nel cervello dello stesso tipo dell'Alzheimer. Un unico caso di studio potrebbe sembrare insignificante, ma poiché ci sono aree con molta tau immagazzinata e altre con meno tau nello stesso cervello, è sufficiente esaminare una persona per verificare se il metodo di imaging funziona", spiega Oskar Hansson, professore dell'Università di Lund e consulente dello Skåne University Hospital.
L'interesse della comunità di ricerca nei metodi di imaging che si concentrano sulla tau è forte e in crescita. Una riproduzione affidabile delle proteine tau nel cervello è considerato un indicatore più pertinente e uno strumento diagnostico migliore rispetto ai metodi concorrenti già in uso. I ricercatori dietro lo studio si stanno ora concentrando sul monitoraggio dell'aggregazione di tau nel cervello nel corso del tempo e le connessioni con la diagnostica tramite campioni di liquido spinale.
L'imaging PET tau è di interesse anche per altre malattie neurologiche meno comuni, come ad esempio la demenza del lobo frontale e le diagnosi di tipo Parkinson, come la paralisi sopranucleare progressiva e la degenerazione corticobasale.
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I risultati sono pubblicati sulla rivista Brain e lo studio è stato finanziato tra gli altri dal Consiglio Europeo della Ricerca (CER), dallo Swedish Research Council, dallo Swedish Alzheimer’s Fund e dallo Swedish Brain Fund.
Fonte: Lund University (> English text) - Traduzione di Franco Pellizzari.
Riferimenti: Ruben Smith, Andreas Puschmann, Michael Schöll, Tomas Ohlsson, John van Swieten, Michael Honer, Elisabet Englund, Oskar Hansson. 18F-AV-1451 tau PET imaging correlates strongly with tau neuropathology inMAPTmutation carriers. Brain, 2016; 139 (9): 2372 DOI: 10.1093/brain/aww163
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