Ricerche
Il diabete aumenta i livelli delle proteine connesse all'Alzheimer [studio]
Sempre maggiori evidenze suggeriscono che ci può essere un collegamento tra il diabete e l'Alzheimer, ma non si capiscono ancora i meccanismi fisiologici con cui il diabete influisce sulla funzione del cervello e sulla cognizione.
In un nuovo studio pubblicato in Aging Cell, i ricercatori del Salk Institute for Biological Studies mostrano, per la prima volta, che il diabete aumenta lo sviluppo di caratteristiche dell'invecchiamento che possono essere alla base dei primi eventi patologici dell'Alzheimer.
![]() L'immagine al microscopio mostra i vasi sanguigni nel cervello del topo (verdi) circondati da peptidi beta-amiloidi (rossi), un componente delle placche amiloidi presente nel cervello di Alzheimer. Ricercatori del Salk hanno scoperto che questi peptidi si accumulano nel cervello dei topi diabetici anziani, una scoperta che può contribuire a spiegare il collegamento tra diabete e Alzheimer. (Credit: Courtesy of the Salk Institute for Biological Studies) |
In particolare, il team del Salk ha scoperto degli aumenti in due tratti distintivi dell'Alzheimer nel cervello dei topi diabetici, specialmente nelle cellule circostanti i vasi sanguigni: l'accumulo di beta amiloide (Abeta) e di proteina tau. L'Abeta, il peptide mal ripiegato ritenuto responsabile in parte dell'Alzheimer, si aggrega all'interno degli astrociti, cellule cerebrali a forma di stella che, dopo l'interazione con l'Abeta, rilasciano molecole infiammatorie che possono distruggere i neuroni. In precedenza, questo non è stato dimostrato in modelli di topo di diabete di tipo 1 (T1D).
"Il nostro studio supporta ed estende i legami tra diabete, invecchiamento ed Alzheimer", dice l'autore senior Pamela Maher, ricercatrice di alto livello nel Laboratory of Cellular Neurobiology del Salk. "Dimostriamo che il diabete di tipo 1 aumenta l'accumulo di beta amiloide vascolare nel cervello e provoca l'invecchiamento accelerato del cervello".
I risultati suggeriscono che il sistema neurovascolare può essere un buon candidato per nuovi bersagli terapeutici per il trattamento di Alzheimer nelle fasi iniziali della malattia.
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L'Alzheimer e il diabete sono due malattie che stanno aumentando ad un ritmo allarmante all'interno della popolazione degli Stati Uniti. L'Alzheimer colpisce un americano ogni 10 oltre i 65 anni di età e circa il 50 per cento di quelli oltre gli 85. Allo stesso modo, oltre l'8 per cento degli americani (circa 26 milioni di persone) ha il diabete, e la stragrande maggioranza di quegli individui hanno più di 60 anni.
La Maher dice che il suo gruppo è incerto sul meccanismo preciso che sta dietro l'aumento di Abeta e tau nel cervello del topo, ma i dati suggeriscono che possono contribuire i cambiamenti negli astrociti, così come altri processi pro-infiammatori e l'aggregazione delle proteine con molecole di zucchero (chiamata glicazione non-enzimatica). "Gli astrociti svolgono un ruolo chiave nel mantenimento delle cellule nervose nel cervello", dice l'autore dello studio Antonio Currais, ricercatore post-dottorato del Salk. "Sia l'infiammazione cronica periferica che l'aumento della glicazione non-enzimatica sono associate al diabete, e questi cambiamenti possono agire sul cervello alterando la funzione degli astrociti, portando infine ai cambiamenti dell'Alzheimer".
Tutte le cellule nervose sono strettamente collegate ai vasi sanguigni, in quanto, per poter funzionare, hanno bisogno di nutrienti - soprattutto glucosio (zucchero) e ossigeno - forniti dal sangue. Gli astrociti facilitano il trasferimento di nutrienti tra vasi sanguigni e cellule. L'accumulo di Abeta nei siti in cui gli astrociti interagiscono con i vasi sanguigni suggerisce che questo potrebbe mettere in pericolo il trasferimento delle sostanze nutrienti. Il tipo di localizzazione dell'Abeta visto nei modelli di topo della Maher si trova anche nei pazienti umani di Alzheimer.
Per esaminare i contributi del diabete alla patologia correlata all'Alzheimer nel cervello invecchiato, i ricercatori del Salk hanno indotto il diabete di tipo 1 in due serie di modelli di topo. Un gruppo, noto come topo SAMP8, subisce un invecchiamento accelerato e sviluppa un deterioramento precoce nell'apprendimento e nella memoria, nonché un certo numero di alterazioni cerebrali simili a quelli presenti nell'Alzheimer. L'altro gruppo, topo SAMR1, che in questo studio è venuto dallo stesso gruppo genentico dei topi SAMP8, invecchia normalmente. Usando questi topi, la Maher e i suoi colleghi hanno esaminato come il diabete di tipo 1 interagisce con l'età per contribuire alla patologia correlata all'Alzheimer. Essi hanno dimostrato che il T1D suscita una vasta gamma di alterazioni patologiche nel cervello di entrambi i ceppi di topi, che sono esacerbate dall'invecchiamento precoce.
Lo studio del Salk è il primo a dimostrare che queste modifiche sono simili a quelle osservate nei topi anziani SAMP8 non-diabetici e ad identificare i cambiamenti patologici, come l'aumento dei marcatori dell'infiammazione, in topi SAMP8 anziani con diabete di tipo 1. A differenza della maggior parte degli studi di Alzheimer sui topi, quelli della Maher non sono stati progettati per la produzione di livelli alti di Abeta umana o tau, quindi tutte le loro osservazioni sono arrivate dall'Abeta e dalla tau insorte naturalmente.
Altri ricercatori dello studio erano Marguerite Prior e il professor David Schubert, del Laboratory of Cellular Neurobiology del Salk; David Lo, del Laboratory of Neuronal Structure and Function del Salk; e Corinne Jolivalt della University of California di San Diego. Il lavoro è stato finanziato dal National Institutes of Health, dalla Fritz B. Burns Foundation, dalla Bundy Foundation, dalla Fundação para a Ciência ea Tecnologia e dall'Associazione Alzheimer.
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Fonte: Materiale del Salk Institute, via Newswise.
Riferimento: Antonio Currais, Marguerite Prior, David Lo, Corinne Jolivalt, David Schubert, Pamela Maher. Diabetes exacerbates amyloid and neurovascular pathology in aging-accelerated mice. Aging Cell, 2012; DOI: 10.1111/acel.12002.
Pubblicato in ScienceDaily il 26 Ottobre 2012 - Traduzione di Franco Pellizzari.
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