Ricerche
L'impianto cerebrale può trattare l'Alzheimer? Potrebbe essere solo placebo
Foto: Vincent Moncorge/Look at sciences/Science Photo Library
Due fili sottili impiantati nel cervello possono aiutare a trattare il morbo di Alzheimer (MA) erogando corrente elettrica. Nel primo test di questa tecnica fatto sugli esseri umani, due delle tre persone che hanno ricevuto il trattamento hanno mostrato un minore declino delle loro capacità mentali rispetto alle persone in una fase simile della malattia che non hanno avuto l'intervento chirurgico.
Tuttavia, è necessario uno studio con controllo randomizzato più ampio per sapere se il trattamento funziona davvero.
La tecnica usata è chiamata «Stimolazione Cerebrale Profonda» (SCP) ed è già usata per trattare i tremori e i problemi di movimento di alcune persone con Parkinson grave. Oltre ai fili inseriti chirurgicamente nel cervello, il paziente riceve anche un alimentatore per questi fili, impiantato sotto la pelle vicino alle ossa del collo.
A seconda della corrente, i fili possono aumentare l'attività nelle cellule cerebrali vicine o ridurla. Nel Parkinson, sono usati per ridurre l'attivazione eccessiva di gruppi specifici di cellule nervose che controllano il movimento.
L'MA, tuttavia, è un obiettivo meno ovvio per un tale trattamento, perché è tuttora sconosciuto ciò che causa questa forma di demenza. C'è già stata una piccola sperimentazione della stimolazione cerebrale usando fili inseriti nei centri della memoria del cervello, ma questo non ha aiutato le persone con questa condizione.
Douglas Scharre della Ohio State University voleva mirare a un altro aspetto dell'MA: la perdita di capacità di risoluzione dei problemi e di capacità decisionale. "Nell'MA tutti pensano alla memoria, ma se i pazienti riescono a capire come fare cose come preparare il pranzo, o a mettersi i calzini prima delle scarpe, questo potrebbe davvero aiutare i caregiver".
Raro miglioramento
Il suo team mirava a stimolare un fascio di fibre nervose chiamato 'capsula ventrale / striato ventrale', che va dalla parte anteriore del cervello (coinvolta nella risoluzione dei problemi) fino alle regioni più interne.
Hanno messo i fili in tre persone con MA di stadio iniziale, che all'inizio dello studio avevano un punteggio di 4 o 5 su una scala di valutazione dei sintomi da 0 a 18. In circa due anni il loro punteggio è salito di circa 3 punti, un segno che la loro condizione era leggermente peggiorata. In confronto, altri 96 pazienti con MA, della stessa età e stadio della malattia, sono aumentati fino a 6 punti.
Una persona dell'esperimento ha addirittura riacquistato la capacità di preparare pasti semplici, dice suo marito, nonostante l'aumento del suo punteggio di gravità generale. "È piuttosto raro", dice Scharre. "Di solito se perdi un'abilità non torni indietro".
La cautela è necessaria
Ma tali miglioramenti potrebbero non essere stati reali, o causati dal trattamento, perché l'esperimento non era randomizzato o cieco. Ad esempio, i medici potrebbero aver involontariamente scelto le persone per l'intervento chirurgico che sembravano in grado di declinare più lentamente, oppure le persone che hanno avuto l'impianto potrebbero essere migliorate grazie all'effetto placebo.
"È troppo presto ancora per avere una qualche speranza", afferma Carol Routledge di Alzheimer's Research UK.
Un altro motivo di cautela è che, quando la stimolazione cerebrale è stata provata per la prima volta nell'Alzheimer, nei centri della memoria del cervello, inizialmente un piccolo esperimento ha suggerito che funzionava, ma solo per deludere in un test più grande.
Fonte: Clare Wilson in New Scientist (> English text) - Traduzione di Franco Pellizzari.
Riferimenti: Douglas W. Scharre, Emily Weichart, Dylan Nielson, Jun Zhang, Punit Agrawal, Per B. Sederberg, Michael V. Knopp, Ali R. Rezai, for the Alzheimer’s Disease Neuroimaging Initiative. Deep Brain Stimulation of Frontal Lobe Networks to Treat Alzheimer’s Disease. Journal of Alzheimer's Disease, published: 30 Jan 2018. DOI: 10.3233/JAD-170082
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