Una nuova ricerca del Karolinska Institutet svedese dimostra che nei pazienti di Alzheimer potrebbe essersi interrotta la fase finale del normale processo infiammatorio.
Uno studio pubblicato sulla rivista Alzheimer's & Dementia mostra che, nel cervello e nel liquido cerebrospinale dei pazienti con Alzheimer, è inferiore al normale la quantità di molecole necessarie per il recupero dei tessuti attraverso l'eliminazione delle sostanze infiammatorie nocive. Lo studio dimostra anche un'associazione tra livelli più bassi di queste molecole e la funzione compromessa della memoria.
L'Alzheimer, la forma più comune di demenza, porta alla fine la morte neuronale, associata ad un crescente grado di deterioramento della memoria. Come altre malattie neurodegenerative, l'Alzheimer è caratterizzato da un processo infiammatorio nel cervello. L'infiammazione prolungata, con il rilascio di sostanze infiammatorie e tossiche, può causare danni progressivi e morte neuronale. Il persorso infiammatorio termina normalmente con quella che è chiamata «risoluzione», un processo attivo regolato da certe molecole, i cosiddetti «mediatori specializzati pro-risoluzione», che pulisce i tessute da microrganismi e detriti dalle cellule morte, attraverso un meccanismo di assorbimento (fagocitosi), e nel quale il rilascio di fattori di crescita stimola la riparazione dei tessuti.
Insieme a colleghi degli Stati Uniti, i ricercatori del Karolinska Institutet hanno dimostrato che la quantità di molecole che regolano la risoluzione, sono inferiori nel cervello e nel liquido cerebrospinale dei malati di Alzheimer, rispetto al normale. I ricercatori hanno anche dimostrato che i livelli inferiori di queste molecole si correlano ad un minor grado di funzionalità cognitiva, cioè di capacità di memorizzare.
I risultati si basano su analisi del liquido cerebrospinale di 15 pazienti con il morbo, 20 pazienti con decadimento cognitivo lieve e 21 soggetti di controllo. I ricercatori hanno anche analizzato il tessuto cerebrale di 10 pazienti affetti da Alzheimer e 10 soggetti di controllo.
"L'ipotesi è che, stimolando la risoluzione dell'infiammazione nell'Alzheimer, si può ridurre la morte neuronale nel cervello, ed ottenre di conseguenza un effetto benefico nella progressione della malattia e nella cognizione. Questo è un approccio completamente nuovo e offre l'opportunità di sviluppare nuovi principi di trattamento per l'Alzheimer", dice il professor Marianne Schultzberg, che ha condotto lo studio al «Department of Neurobiology, Care Sciences and Society».
Continuando gli studi, i ricercatori stanno ora esaminando come le molecole pro-risoluzione influiscono sulla morte neuronale nelle colture cellulari, e se trattare con queste sostanze possa prevenire, negli animali, la neurodegenerazione e migliorare le funzioni della memoria.
Le molecole pro-risoluzione individuate finora sono dei derivati degli acidi grassi omega-3, che costituiscono un popolare integratore alimentare al quale sono stati attribuiti numerosi benefici per la salute, e hanno ricevuto molta attenzione per gli effetti benefici anche sui fattori legati all'Alzheimer, coerentemente con i nuovi risultati sopra descritti.
Negli studi precedenti, gli stessi ricercatori avevano dimostrato che gli omega-3 stimolano le cellule anche ad assorbire l'amiloide-beta, una proteina che uccide i neuroni e si installa nel cervello in forma di placche nell'Alzheimer.
La ricerca è stata finanziata dal Consiglio svedese della ricerca, dal Swedish Brain Power, dal Consiglio della Comunità di Stoccolma, dal Chinese Scholarship Council, dalla Knut and Alice Wallenberg Foundation, dal Stiftelsen för Gamla Tjänarinnor, dalla Alzheimerfonden, dalla Gun and Bertil Stohne Foundation, dalla Petrus e Augusta Hedlund Foundation.
Fonte: Karolinska Institutet (> English text) - Traduzione di Franco Pellizzari.
Riferimenti: Wang X, Zhu M, Hjorth E, Cortés Toro V, Eyjolfsdottir H, Graff C, Nennesmo I, Palmblad J, Eriksdotter M, Sambamurti K, Fitzgerald JM, Serhan CN, Granholm A-C & Schultzberg M. Resolution of inflammation is altered in Alzheimer's disease. Alzheimer's & Dementia, February 2014
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