Esperienze e opinioni
Confessioni di una cioccolato-dipendente allo stato terminale
E' successo, non è una bugia, la mattina del mio 50° compleanno. Mi sono svegliata, ho oziato un po', ho visto sorgere il sole assieme alle notizie del mattino (sì, c'è una televisione in camera da letto e se tenti di portarla via avrai abbastanza buchi nel tuo corpo da veder colare brodo di pollo) e poi mi sono alzata, diritta in piedi, con una voglia davvero insolita fino al dolore, una sensazione tipo devo-averlo-subito-o-morirò-qui-di-sicuro.
Cioccolato. Lo volevo, ne avevo bisogno, lo desideravo. Improvvisamente, intensamente, in modo inequivocabile.
Più tardi nella giornata, mentre avevo a che fare con una barra di cioccolato al latte Hershey con mandorle intere, c'è stata una qualche seria introspezione su questo turbinio di eventi gastronomici personali. Perché, in tutti questi anni di risvegli all'alba, non mi era venuta mai una voglia del genere? Le papille gustative avevano finora telegrafato la loro preferenza per un eclettico mix di carne e birra, caffè e tè, e l'inalazione casuale di qualcosa di veg e/o somigliante alla frutta, come richiesto dalle intimazioni nutrizionali.
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In realtà, non ho mai avuto un gran debole per i dolci, e non ho mai capito per cosa avveniva tutto questo trambusto, o perché (la gran parte) delle donne attorno a me trattavano il cioccolato con tale riverenza, tubando oltre il suo fascino ed esaltando la sua presa sui loro affetti, ricordando ai non credenti che gli Aztechi bevevano il cioccolato per approfittare delle sue leggendarie caratteristiche di afrodisiaco, come se questa fosse la prova decisiva. Beh, c'era la torta di tanto in tanto nel corso dei decenni, la corsa occasionale ai dolci, come la torta al cioccolato riempita di cocco fatta quotidianamente del marito durante una gravidanza, ma in caso contrario, cioccolato e dolci in generale sono stati per lo più un proposito del tipo prendere-o-lasciare.
E poi venne l'alba dell'età nefasta e, come una sorta di forza fisiologica pre-destinata, una sorta di spostamento chimico interno, è entrata prepotentemente la dipendenza dal cioccolato con la sua smania di zucchero abbinato. Il cioccolato, tutto liscio e nirvanico, contiene caffeina? Non mi interessa. E' fatto con troppo zucchero? Beh, sì. Mangiare cioccolatini Purdy mi farà un sedere come quello di Kim Kardashian, solo trenta centimetri più basso? Non mi interessa, come sopra.
Perché il cioccolato, lo scoprirai con una ricerca per giustificarti, non è solo il cibo degli dei, ma può realmente essere benefico a piccole dosi, pieno zeppo com'è di antiossidanti che combattono il cancro, le malattie cardiache, il colesterolo, l'artrite e il morbo di Alzheimer, anche meglio del melograno del tè verde e dei mirtilli. Deve essere cioccolato di qualità, ovviamente, più scuro è meglio è, il tipo di cioccolato che è fatto con i semi di cacao più puri, non adulterato e con pochi grassi del burro di cacao, poca lecitina e zucchero, non rovinato da additivi che producono cioccolato ceroso che sa di vassoi di plastica per cubetti di ghiaccio.
Oggi, sul tavolo della cucina, in una scatola di cartone da favola, c'è una ciambella al cioccolato di cocco di Tim Hortons. Una sola. E' a disposizione per la correzione quotidiana di cioccolato dopo cena, un rituale che è ora necessario come la pulitura dei denti. A volte ci sono i marroncini piccoli e, se all'orizzonte c'è Natale o Pasqua o San Valentino, ci saranno le mini uova di cioccolato, o il tartufo Callebaut o, si, grazie, le caramelle salatine Rogers. Nelle occasioni speciali (o una volta alla settimana, quello che viene prima) ci potrebbe essere una piccola torta di cioccolato ripiena e spolverata con zucchero a velo per finire la giornata.
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Come tutte le dipendenze gestibili, un cioccolato "jones" esige autocontrollo, alte competenze matematiche e non un po' di disciplina, perchè amare il cioccolato è imparare come inserirlo nel conteggio calorico giornaliero, necessario per mantenere il girovita, le caviglie e i polsi da ragazza, essendo questi i soli pezzetti di pelle che non sono ancora vittime della gravità.
Oggi, a otto anni dal momento della rivelazione mattutina del cioccolato, non c'è senso di colpa per lo zucchero, solo la corsa che viene con la compagnia calmante di un nuovo amico. Ci sono rimpianti, però. Come il non sapere per tutto questo tempo che il cioccolato è un vegetale. O come lo spreco di 50 anni di opportunità di mangiare un buonissimo cioccolato.
Pubblicato su Vancouver Sun il 19 marzo 2011 Traduzione di Franco Pellizzari.
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