anziano-solo400.jpgUna valanga di risposte è seguita alla campagna della scorsa settimana sulla demenza di questo giornale. Quasi tutte le storie che avete condiviso erano strazianti e orribili in egual misura.
La maggior parte inizia con le parole "Vorrei semplicemente scrivere ..." o "mia madre / mio padre ha avuto un'esperienza simile" e molti descrivono gli ultimi giorni, mesi, anni, della persona cara, in un sistema che ne ha risucchiato fuori la dignità.
Ci sono storie di un'eccessiva assunzione di farmaci, diagnosi lenta, assistenza infermieristica inadeguata e costi astronomici. Peggio di tutto, ci sono racconti di pazienti spediti in case molto lontane dalle loro famiglie per morire da soli.
Cosa abbiamo imparato dal condividere le nostre storie? Che la demenza è una malattia grave che merita di essere vista su una scala epidemica, ma anche che il sistema può rendere questo "lungo addio", come è chiamato, insopportabilmente doloroso a causa della mancanza di denaro ed esperienza. David Blunkett ha detto nel suo pezzo, di lasciare il suo cervello alla scienza, poichè una cura è la grande speranza. Ma, come ha sottolineato Fiona Phillips, anche se questo ci sfugge, l'assistenza è ciò che conta - e il governo deve dare ai finanziamenti la priorità che merita. Un lettore l'ha riassunto in poche parole: "Sono felice che questo problema sia oggetto di attenzione. Deve ricevere i soldi".
So per esperienza di un decennio di demenza di mio padre, che i medici, gli infermieri, i caregivers non indendono fare cose sbagliate, ma per coloro che soffrono, e per coloro che osservano, può anche essere intenzionale.
Gli stessi anziani sono la generazione del dopoguerra, ai quali è stato insegnato di non lamentarsi. I parenti spesso fanno lo stesso - sono grati, non vogliono lamentarsi, vedono che il sistema è sottodimensionato, e forse più importante di tutto, non vogliono mostrare la loro rabbia per paura che possa essere fatta pagare ai loro cari. Questo si somma al silenzio fragoroso intorno alla sofferenza.
Non ho scritto sulla malattia di mio padre per anni, perché avevo la sensazione che lui non voleva fare storie. Per quanto fosse terribile l'assistenza, lui annuiva e diceva che andava "bene", vedendosi, credo, come un inconveniente e desiderando la morte come un modo per uscirne. Ora mi rendo conto che ci sono così tante storie, ben più tragiche, non dette.
Mio nonno, prima di mio padre, ha sofferto di Alzheimer per decenni. Un circuito di membri della famiglia allargata a rotazione si era preso cura di lui nella sua casa a Lahore. Morì a 90 anni, ma non è stata la malattia ad ucciderlo. Ad un tratto smise di mangiare, quando la moglie di 75 anni è stata colpita da un ictus fatale. E' come se avesse deciso che non voleva vivere senza di lei. Morì nove giorni dopo.
Mi chiedo se sarebbe vissuto a lungo con l'Alzheimer, se fosse stato in Gran Bretagna. Non sto dicendo che il Pakistan abbia un sistema migliore di assistenza alla demenza, ma qui, le persone anziane malate sono indotte a sentirsi un peso. A mio nonno non è mai successo.
La cosa più spaventosa è che la demenza è un futuro che attende "noi", i giovani e sani di mente.
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Pubblicato da Arifa Akbar in Independent.co.uk il 20 Agosto 2012- Traduzione di Franco Pellizzari.
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