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La terapia genica previene problemi di memoria in topi con Alzheimer

Gli scienziati del Gladstone Institute of Neurological Disease (GIND) di San Francisco, hanno scoperto una nuova strategia per evitare i deficit di memoria in un modello di topo con Alzheimer (AD). Gli esseri umani con AD e i topi geneticamente modificati per simulare la malattia hanno livelli anormalmente bassi di un enzima chiamato EphB2 nei centri di memoria del cervello. Migliorando i livelli di EphB2 nei topi, con la terapia genica, si sono risolti completamente i loro problemi di memoria.

I risultati saranno pubblicati nel numero del 28 novembre della rivista Nature.

Sia negli esseri umani che nei topi, l'apprendimento e la memoria richiedono una comunicazione efficace tra le cellule cerebrali chiamate neuroni. Questa comunicazione comporta il rilascio di sostanze chimiche da parte dei neuroni che stimolano i recettori della superficie cellulare su altri neuroni. Questo importante processo, chiamato neurotrasmissione, è compromesso dalle proteine amiloidi, che crescono fino a livelli insolitamente elevati nel cervello dei pazienti di AD e sono ritenute unanimemente la causa della malattia. Ma non si sa esattamente come queste proteine dannose disturbino la  neurotrasmissione.

"L'EphB2 è una molecola davvero interessante che agisce sia da recettore che da enzima", ha dichiarato Moustapha Cisse, PhD, autore principale dello studio. "Abbiamo pensato che potrebbe essere coinvolta nei problemi di memoria nell'AD, perché è un regolatore di primaria importanza della neurotrasmissione e i suoi livelli cerebrali diminuiscono nella malattia."

Per determinare se i livelli bassi di EphB2 effettivamente contribuiscono allo sviluppo dei problemi di memoria, i ricercatori hanno utilizzato la terapia genica sperimentale per alterare i livelli di EphB2 nei centri di memoria dei topi. La riduzione dei livelli normali di EphB2 in topi sani ha perturbato la neurotrasmissione e ha generato i problemi di memoria simili a quelli osservati in AD. Questa scoperta suggerisce che livelli ridotti di EphB2 nei cervelli di AD contribuiscono ai problemi di memoria che caratterizzano questa condizione.

"Ciò che volevamo sapere di più, naturalmente, era se, normalizzando i livelli di EphB2, potremmo risolvere i problemi di memoria causati dalle proteine amiloidi", ha detto Lennart Mucke, MD, direttore del GIND e autore senior dello studio. "Siamo stati assolutamente entusiasti di scoprire che lo ha fatto."

Aumentando i livelli di EphB2 in neuroni di topi ingegnerizzati per produrre alti livelli di proteine amiloide umane nel cervello, ha impedito il deficit di neurotrasmissione, problemi di memoria e anomalie comportamentali. Gli scienziati hanno anche scoperto che le proteine amiloide si legano direttamente all'EphB2 e causano la sua degradazione, aiutando a spiegare perché i livelli di EphB2 sono ridotti nell'AD e malattie simili dei topi.

"Sulla base dei nostri risultati, riteniamo che, impedendo alle proteine amiloidi di legarsi all'EphB2 e migliorando i livelli o le funzioni dell'EphB2 con farmaci, potrebbe essere di beneficio nell'AD." ha detto Mucke. "Siamo entusiasti di queste possibilità e non vediamo l'ora di esplorarle in ulteriori studi."

Hanno contribuito allo studio del Gladstone anche gli scienziati Brian Halabisky, Julie Harris, Nino Devidze, Dena Dubal, Bin-Gui Sun, Anna Orr, Gregor Lotz, Daniel H. Kim, Patricia Hamto, Kaitlyn Ho, e Gui-Qiu Yu. Lo studio è stato sostenuto da contributi del National Institutes of Health e da una borsa di studio dalla Fondazione McBean. L'affiliazione primaria di Lennart Mucke è con il Gladstone Institute of Neurological Disease di cui è Direttore / Senior Investigator e dove si trova il suo laboratorio che ha condotto la ricerca. Egli è anche Distinguished Professor of Neuroscience al Joseph B. Martin e Professore di Neurologia presso UCSF.

Nota del redattore: Questo articolo non è destinato a fornire consigli medici, diagnosi o terapia.

Fonte: Materiale fornito da Gladstone Institutes, via EurekAlert!, un servizio di AAAS.

ScienceDaily, 29 novembre 2010

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