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"Centrale energetica" delle cellule determina rischio di malattie cardiache e diabete

Un mitocondrio, la centrale energetica delle cellule (Credit: University of Alabama a Birmingham)I geni nei mitocondri, le "centrali energetiche" che trasformano lo zucchero in energia nelle cellule umane, determinano per ognuno di noi il rischio di malattie cardiache e diabete, secondo uno studio pubblicato di recente da ricercatori della University of Alabama di Birmingham nel Biochemical Journal.


I risultati possono inoltre spiegare perché alcune persone si ammalano e altre no, nonostante abbiano gli stessi fattori di rischio tradizionali come invecchiamento, obesità e fumo.


I ricercatori stanno cerrcando da tempo di determinare il rischio di malattie, esaminando la dieta e le variazioni dei geni nucleari, ignorando però le differenze nei geni mitocondriali, il secondo tipo di DNA in ogni cellula. La ricerca negli ultimi anni ha rivelato che errori nella produzione di energia mitocondriale creano troppe particelle chiamate ossidanti e radicali liberi, che inducono le cellule ad autodistruggersi nell'ambito delle malattie cardiache, del diabete e del cancro.


"Essendo in questo settore da decenni, ricordo quando si pensava che le variazioni del DNA mitocondriale avessero un ruolo solo in rarissime sindromi genetiche"
, ha dichiarato Scott Ballinger, Ph.D., professore della Divisione di Patologia Molecolare e Cellulare alla School of Medicine dell'UAB e autore corrispondente dello studio. "Oggi c'è un consenso crescente che le variazioni solo nel DNA mitocondriale contribuiscono in modo sostanziale al rischio di malattie di cuore per ogni persona, ed il nostro è il primo studio a confermarlo direttamente in un mammifero vivente".


I risultati dello studio di Ballinger riflettono la teoria che i nostri antichi antenati unicellulari "inghiottivano" gli antenati batterici di quelli che ora sono i mitocondri. I nuovi arrivati ​​hanno dato ai loro ospiti la possibilità di convertire lo zucchero dal cibo in una quantità di energia cellulare circa 15 volte maggiore di prima, usando l'ossigeno. L'evoluzione ha favorito il rivale e i mitocondri sono diventati sub-comparti permanenti delle cellule umane.


Per questo motivo, ogni cellula umana ha ora due genomi, i lunghi tratti di DNA che codificano il modello del corpo umano: un insieme ereditato da entrambi i genitori in un nucleo centrale, e un set piccolo e separato in ogni mitocondrio ricevuto dalla madre grazie al meccanismo della divisione cellulare.


La teoria, che il DNA mitocondriale ereditato dalla madre delinei il rischio di malattie, è stata difficile da dimostrare. Il settore ha avuto difficoltà a modificare geneticamente i topi che consentivano ai ricercatori di separare l'impatto di un set di geni dall'altro. Inoltre, il genoma nucleare umano contiene più di 30.000 geni rispetto ai soli 13 geni connessi all'energia dei mitocondri, quindi sono stati pochi i ricercatori che hanno prestato loro molta attenzione.

 

Scambio di mitocondri

Per determinare se le variazioni del DNA mitocondriale portano ad un rischio di malattie indipendente dal DNA nucleare di un individuo, il gruppo di ricerca ha iniziato con due varietà di topi: la C57 nota per essere vulnerabile alle malattie connesse con la dieta, e la C3H che ne è resistente. Gli autori dello studio hanno poi usato una tecnica chiamata trasferimento nucleare per rimuovere il nucleo da un embrione in ogni linea di topo e scambiarlo.


Poiché i mitocondri risiedono nel citoplasma (non nei nuclei scambiati), i nuovi embrioni sono cresciuti nei topi le cui cellule avevano un proprio DNA mitocondriale e il DNA nucleare dell'altro tipo di topo. Ciò ha permesso ai ricercatori di confrontare i topi con lo stesso DNA nucleare, ma con DNA mitocondriale diverso, isolando il contributo specifico di quest'ultimo al rischio.


In generale, i dati dimostrano che la sostituzione del DNA mitocondriale da solo potrebbe aumentare o diminuire la suscettibilità di un dato topo ad un modello di infarto.


Inoltre, mettendo i mitocondri dei C57 vulnerabili alle malattie in una cellula con un nucleo C3H ha indotto tali cellule ad assumere le caratteristiche energetiche del ceppo originale C57, più efficiente energicamente. Questo ha prodotto una diminuzione del 15 percento della quantità di ossigeno necessaria per produrre la stessa quantità di energia cellulare sotto forma di adenosina trifosfato. In un ambiente misto, i topi con il DNA mitocondriale C57 efficiente hanno anche generato un 200 per cento in più di antiossidanti rispetto alle loro controparti resistenti alle malattie con mtDNA C3H.


Un'altro studio in corso nel laboratorio di Ballinger sta confrontando le variazioni del DNA mitocondriale nelle persone di origine africana rispetto alla discendenza dell'Europa settentrionale. L'evidenza suggerisce che i mitocondri che portano il DNA mitocondriale africano ottenegono più energia dalla stessa quantità di ossigeno e zuccheri, forse riflettendo una storia evolutiva di scarsità di cibo.


I primi esseri umani emigrati potrebbero aver trovato più cibo in Europa, ma avrebbero anche dovuto affrontare il freddo. Così, i mitocondri Europei sembrano essere meno efficienti, forse perché un sottoprodotto di tale inefficienza è la maggiore produzione di calore corporeo. I mitocondri più efficienti, con la maggiore produzione di ossidanti, possono spiegare, in parte, i maggiori casi di malattie cardiache e di diabete tra coloro che hanno origine africana, che sono di fronte a diete moderne ad alto contenuto calorico.

 

 

 

 

 


Fonte: University of Alabama at Birmingham.

Riferimenti: Jessica L. Fetterman, Blake R. Zelickson, Larry W. Johnson, Douglas R. Moellering, David G. Westbrook, Melissa Pompilius, Melissa J. Sammy, Michelle Johnson, Kimberly J. Dunham‑Snary, Xuemei Cao, Wayne E. Bradley, Jinju Zhang, Chih‑Chang Wei, Balu Chacko, Theodore G. Schurr, Robert A. Kesterson, Louis J. Dell’italia, Victor M. Darley‑Usmar, Danny R. Welch, Scott W. Ballinger. Mitochondrial genetic background modulates bioenergetics and susceptibility to acute cardiac volume overload. Biochemical Journal, 2013; 455 (2): 157 DOI: 10.1042/BJ20130029

Pubblicato in Science Daily (> English version) - Traduzione di Franco Pellizzari.

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