Ricerche
Non è solo amiloide: iperintensità della sostanza bianca e Alzheimer
Nuove scoperte di ricercatori della Columbia University suggeriscono che, assieme ai depositi di amiloide, l'iperintensità della sostanza bianca (WMHs) può essere un secondo fattore richiesto dello sviluppo dell'Alzheimer.
La maggior parte degli approcci attuali all'Alzheimer si focalizzano sull'accumulo di placca amiloide nel cervello. I ricercatori dell'Istituto Taub per la Ricerca sull'Alzheimer e l'Invecchiamento Cerebrale, guidati da Adam M. Brickman, PhD, assistente professore di neuropsicologia, hanno esaminato il contributo aggiuntivo della malattia cerebrovascolare dei piccoli vasi, che essi visualizzano come iperintensità della sostanza bianca (WMHs ).
Lo studio ha incluso 20 soggetti con Alzheimer clinicamente definito, 59 soggetti con decadimento cognitivo lieve, e 21 soggetti di controllo normali.
Usando i dati del database pubblico della Neuroimaging Alzheimer Disease Initiative, i ricercatori hanno scoperto che sia l'amiloide che la WHMs erano associate con la diagnosi di Alzheimer.
Amiloide e WMHs erano altrettanto predittive sui soggetti con lieve deterioramento cognitivo avrebbe sviluppato in seguito l'Alzheimer. Tra quelli con quantità significativa di amiloide, la WMHs era più frequente nei pazienti con Alzheimer rispetto ai soggetti normali di controllo.
Poiché i fattori di rischio della WMHs - che sono principalmente vascolari - possono essere controllati, i risultati suggeriscono dei modi possibili per prevenire lo sviluppo dell'Alzheimer nei soggetti con depositi di amiloide.
Lo studio è stato pubblicato online il 19 Febbraio su JAMA Neurology .
Gli altri autori sono Frank A. Provenzano, MS (CUMC and Fu Foundation School of Engineering and Applied Sciences); Jordan Muraskin, MS (CUMC and Fu Foundation School of Engineering and Applied Sciences); Guiseppe Tosto, MD (CUMC); Atul Narkhede, MS (CUMC); Ben T. Wasserman, AB (CUMC); Erica Y Griffith, BS (CUMC); Vanessa A. Guzman, BA (CUMC); Irene B. Meier, MSc (CUMC); and Molly E. Zimmerman, PhD (Albert Einstein College of Medicine, NY, NY).
La ricerca è stata sostenuta dal NIH.
Fonte: Columbia University Medical Center.
Pubblicato in Science Daily il 19 Febbraio 2013 - Traduzione di Franco Pellizzari.
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