Image by freepik
Uno dei compiti più essenziali del cervello è decidere quali esperienze immagazzinare come memoria e quali dimenticare. Per decenni, gli scienziati hanno ipotizzato che questo processo fosse governato da semplici interruttori on-off nel cervello. Ma un nuovo studio pubblicato su Nature ribalta questa visione, mostrando invece che la persistenza della memoria è regolata da una cascata di timer (=temporizzatori) molecolari che si dispiegano in diverse regioni del cervello.
I risultati, provenienti dal laboratorio di Priya Rajasethupathy alla Rockefeller University di New York, rivelano inoltre che un nodo inaspettato, il talamo, ha un ruolo centrale nel guidare i ricordi dal breve al lungo termine, attraverso programmi genetici che stabilizzano progressivamente ogni ricordo. Queste scoperte non solo offrono un nuovo quadro su come il cervello classifica e preserva la memoria, ma aprono anche la porta a potenziali nuove strategie per il trattamento dei disturbi della memoria.
Nell'intervista seguente, la Rajasethupathy spiega come il suo team ha scoperto questi timer nascosti, perché la memoria potrebbe essere più malleabile di quanto si pensa e cosa potrebbe significare questo lavoro per il morbo di Alzheimer (MA) e oltre.
D: Come hanno storicamente pensato i neuroscienziati alla formazione della memoria?
R: Per molto tempo, quando gli scienziati hanno cercato di pensare a come persistono i ricordi, il modello principale era che esistessero molecole di memoria simili a transistor. Qualcosa con un interruttore on-off in cui, se si gira l'interruttore, la memoria viene contrassegnata come "attiva" e rimane così per sempre. Tali interruttori sono interessanti perché forniscono un meccanismo per codificare le esperienze fugaci in cambiamenti duraturi nel cervello. Forse questi interruttori erano enzimi/proteine a vita lunga, o modifiche al DNA, o cambiamenti meccanici nella struttura sinaptica o cellulare, ma l’idea costante nel campo era l’esistenza di una sorta di interruttore duraturo che dice al cervello che vogliamo mantenere questa memoria a lungo termine.
D: Invece cosa succede veramente?
R: Una delle intuizioni chiave del nostro studio è che non dovremmo pensare alla conversione della memoria a breve e a lungo termine come una cosa sola, ma a un processo progressivo. Il cervello imposta un timer, diciamo, per alcuni minuti. Se la memoria continua ad essere importante, il cervello la promuove e attiva un secondo timer che può durare, diciamo, alcune ore. Se quel ricordo è ancora importante, il cervello attiva ancora un altro timer che può durare giorni, poi settimane e così via.
In questa prospettiva, tutto ciò che sperimentiamo può essere formato come ricordo, ma disponiamo di meccanismi per dimenticare rapidamente, a meno che un ricordo non venga promosso su uno di questi timer. Nel nostro lavoro attuale, abbiamo identificato tre timer che essenzialmente consentono ai ricordi di durare sempre più a lungo.
D: Questi timer spiegano anche come dimentichiamo le cose?
R: Sì, questo è stato un aspetto importante del nostro studio. La forza del modello-interruttore è che può spiegare la persistenza della memoria. Ma un modello del genere, sebbene sia efficace nell’archiviazione, non è in grado di dimenticare. Se la memoria implicasse l’attivazione di un interruttore persistente, sarebbe difficile dimenticare in futuro qualcosa che è già stato assegnato alla memoria a lungo termine. Invece una cascata di timer offre una spiegazione di come il cervello mantenga la flessibilità necessaria per promuovere o declassare i ricordi nel tempo.
Diciamo che hai vissuto qualcosa di emotivamente gratificante, o traumatico, e hai continuato a pensarci. Nel corso del tempo, mentre ci pensavi, quella memoria sarebbe stata promossa attraverso molti di questi timer. Ma poi diciamo che passa un mese o un anno e non hai più pensato all’evento. Poiché ogni timer è impostato per una durata maggiore, alla fine potresti raggiungere un punto di controllo che la memoria non supera; quindi, tempo ed esperienza possono essere integrati per scolpire continuamente la persistenza di un ricordo.
D: Dove avviene tutto questo?
R: Questi timer molecolari sono diffusi nel cervello, non agiscono in modo isolato. Per decenni si è pensato che la memoria a breve termine si formasse nell’ippocampo e che la memoria a lungo termine fosse rappresentata nella corteccia. In una serie di studi recenti, il mio laboratorio ha identificato il talamo come un collegamento chiave tra queste aree, che aiuta ad assegnare valore ai ricordi e a indirizzarli verso la stabilizzazione a lungo termine.
Nel presente studio, è stato sorprendente vedere tre timer separati agire in circuiti separati nel cervello, estendendosi all’ippocampo, al talamo e alla corteccia per prolungare progressivamente un ricordo. Tale processo consente di integrare un sistema iniziale di acquisizione veloce della memoria (ma di decadimento veloce), con successivi sistemi di acquisizione più lenta ma di conservazione più lunga.
Non crediamo che esistano solo tre timer, ma ciò fornisce un quadro del motivo per cui più circuiti nel cervello, ciascuno dei quali agisce su scale temporali diverse, vengono reclutati per supportare la stabilizzazione continua della memoria.
D: Quali sono le implicazioni per le malattie che incidono sulla memoria?
R: In molti casi di perdita di memoria, come nel MA, l'ippocampo, dove il timer iniziale forma e immagazzina la memoria a breve termine, viene danneggiato. Ora che sappiamo che questo sistema con timer multipli in più regioni del cervello è robusto e ridondante, possiamo iniziare a chiederci: e se potessimo bypassare le aree danneggiate attivando molecole in grado di indirizzare i ricordi verso circuiti più sani? In altre parole, il nostro cervello è costruito per compensare: possiamo sfruttare la ridondanza cerebrale per migliorare la resilienza cognitiva?
D: Dove ci porteranno questi risultati in futuro?
R: Per molti decenni c’è stata una grande attenzione allo studio dell’ippocampo per comprendere la memoria. Se leggi i resoconti dei pazienti, puoi capire perché c'era così tanto interesse. I pazienti con lesioni dell’ippocampo semplicemente non riuscivano a formare nuovi ricordi. I pazienti entravano, parlavano con il loro medico e, poco tempo dopo, chiedevano “chi sei?” Il ruolo dell'ippocampo nella formazione della memoria era così sorprendente da attirare molta attenzione.
Ma il rovescio della medaglia è che non sappiamo quasi nulla di ciò che accade alla memoria oltre l’ippocampo. Un'area in cui il mio laboratorio sta appena iniziando a fare progressi entusiasmanti. Esplorando sistematicamente tutte le vie di uscita dell'ippocampo, siamo stati in grado di identificare il talamo come un centro chiave che ordina, instrada e conserva i ricordi in archivi a lungo termine. Il modo in cui ciò avviene rappresenta per noi una serie importante di passi successivi.
Fonte: The Rockefeller University (> English) - Traduzione di Franco Pellizzari.
Riferimenti: A Terceros, [+7], P Rajasethupathy. Thalamocortical transcriptional gates coordinate memory stabilization. Nature, 2025, DOI
Copyright: Tutti i diritti di testi o marchi inclusi nell'articolo sono riservati ai rispettivi proprietari.
Liberatoria: Questo articolo non propone terapie o diete; per qualsiasi modifica della propria cura o regime alimentare si consiglia di rivolgersi a un medico o dietologo. Il contenuto non rappresenta necessariamente l'opinione dell'Associazione Alzheimer OdV di Riese Pio X ma solo quella dell'autore citato come "Fonte". I siti terzi raggiungibili da eventuali collegamenti contenuti nell'articolo e/o dagli annunci pubblicitari sono completamente estranei all'Associazione, il loro accesso e uso è a discrezione dell'utente. Liberatoria completa qui.
Nota: L'articolo potrebbe riferire risultati di ricerche mediche, psicologiche, scientifiche o sportive che riflettono lo stato delle conoscenze raggiunte fino alla data della loro pubblicazione.














Associazione Alzheimer OdV