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Scoperto un fattore genetico che protegge dall'Alzheimer

Uno studio Italo-Francese, coordinato dalla Fondazione Santa Lucia IRCCS di Roma in collaborazione con il CNRS, ha individuato una variante genetica che potenzia l’attività di autopulizia delle cellule cerebrali.

lab strappazzon Fond Santa Lucia IRCCSFoto: Lab Strappazzon @ Fondazione Santa Lucia IRCCS 

Il morbo di Alzheimer (MA) è la forma di demenza più diffusa in Italia con oltre 600mila pazienti. Si distingue da altre patologie causa di demenza per l’accumulo nel cervello di amiloide-beta e proteina tau iper-fosforilata (pTau), che impediscono ai neuroni il corretto funzionamento, generando neuroinfiammazione e provocando la morte delle cellule nervose.


L’accumulo di questi prodotti di scarto all'interno del cervello si accompagna alla mancata capacità delle cellule di innescare il meccanismo di 'autofagia' ossia la capacità che hanno le cellule del nostro corpo di elaborare i rifiuti e di auto-pulirsi.


Un nuovo studio, pubblicato su Cell Death and Disease, coordinato dalla dott.ssa Flavie Strappazzon alla Fondazione Santa Lucia IRCCS di Roma, in collaborazione con il CNRS francese, ha messo in evidenza che le persone con una variante genetica del recettore autofagico NDP52 denominata NDP52GE hanno una maggiore capacità di rimuovere le forme tossiche della proteina tau, risultando quindi naturalmente più protette dal MA rispetto alla popolazione generale.


"Essere portatori di un gene espressione di un processo autofagico potenziato", spiega la dott.ssa Flavie Strappazzon, ricercatrice della Fondazione Santa Lucia IRCCS e il CNRS e autrice senior dello studio, "significa avere un importantissimo alleato nel mantenere le funzionalità neuronali prevenendo la morte cellulare e quindi la neurodegenerazione che poi porta ai sintomi clinici della malattia".


Lo studio ha comportato l'analisi dei dati genetici e clinici di oltre 1.400 persone (434 pazienti con MA e 1000 soggetti sani) e la dott.ssa Anna Mattioni, prima autrice della ricerca, post-dottoranda nel laboratorio Strappazzon, spiega che i dati emersi dai profili genetici sono stati poi verificati in vitro ed in vivo su modelli sperimentali per caratterizzare il meccanismo responsabile di questo effetto protettivo.


"Questa scoperta rappresenta un ulteriore passo avanti verso terapie personalizzate basate sulla conoscenza del genoma dell'individuo", commenta il prof. Emiliano Giardina, coautore senior dello studio e direttore della UOC di Medicina Genomica della Fondazione Santa Lucia IRCCS. "L'obiettivo di queste nuove terapie è di non limitarsi a 'lavare' la cellula sostituendo una capacità persa dal nostro organismo ma emulare e potenziare meccanismi che sono per noi naturali e normalmente espressi in soggetti sani".


Questo studio, insieme a molti altri sull'accumulo della amiloide-beta e della pTau nel cervello, conferma l'importanza di trovare terapie che agiscano su diagnosi precoci della malattia, ossia prima ancora che si manifesti la neurodegenerazione e con essa i sintomi clinici più caratteristici del MA (perdita della memoria, confusione e disorientamento).

 

 

 


Fonte: Fondazione Santa Lucia IRCCS

Riferimenti: A Mattioni, [+9], F Strappazzon. A variant of the autophagic receptor NDP52 counteracts phospho-TAU accumulation and emerges as a protective factor for Alzheimer’s disease. Cell Death Dis, 2025, DOI

Copyright: Tutti i diritti di testi o marchi inclusi nell'articolo sono riservati ai rispettivi proprietari.

Liberatoria: Questo articolo non propone terapie o diete; per qualsiasi modifica della propria cura o regime alimentare si consiglia di rivolgersi a un medico o dietologo. Il contenuto non rappresenta necessariamente l'opinione dell'Associazione Alzheimer OdV di Riese Pio X ma solo quella dell'autore citato come "Fonte". I siti terzi raggiungibili da eventuali collegamenti contenuti nell'articolo e/o dagli annunci pubblicitari sono completamente estranei all'Associazione, il loro accesso e uso è a discrezione dell'utente. Liberatoria completa qui.

Nota: L'articolo potrebbe riferire risultati di ricerche mediche, psicologiche, scientifiche o sportive che riflettono lo stato delle conoscenze raggiunte fino alla data della loro pubblicazione.


 

 

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