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Non tutti i casi di decadimento cognitivo lieve diventano demenza

Perché alcuni pazienti con MCI [Mild Cognitive Impairement = lieve deterioramento cognitivo] rimangono stabili o addirittura migliorano mentalmente?

Domenica scorsa, 29 maggio 2011, c'erano quasi due colonne di lettere alla redazione nella sezione "Opinioni" del New York Times. La maggior parte erano scritte da famigliari che si dichiaravano in disaccordo con un pezzo scritto da Margaret Morganroth Gullette, studiosa della Brandeis University. Nel suo articolo contestava la teoria prevalente che la maggior parte delle persone che hanno diagnosi di MCI passerà alla demenza.

A differenza di anziani con una normale varietà di declino mentale che di solito evitano l'Alzheimer, la diagnosi di MCI predice grave un deterioramento mentale entro pochi anni. Ms. Gullette ha sottolineato che molte persone con danno cognitivo lieve imparano a compensare le perdite cognitive. Con un atteggiamento positivo e il sostegno dei propri cari non sviluppano la demenza.

Come si può capire facilmente, quelli con parenti che hanno subito le devastazioni dell'Alzheimer e altre forme di demenza, hanno contestato il ritratto di anziani con MCI che hanno una vita felice e appagante. La loro esperienza è stata proprio l'opposto: la nonna affascinante, bellissima e orgogliosa, che con l'Azheimer diventa pazza, violenta e muta; l'uomo amato per la sua gentilezza e l'umorismo si trasforma in una persona agitata, arrabbiata, e paurosa senza alcuna connessione con il mondo che la circonda.

Anche professionisti sono interevenuti. Neurologi che hanno visto i loro pazienti con MCI lottare per continuare a operare in modo indipendente, hanno espresso preoccupazioni che, sottolineando che non tutti quelli con questa diagnosi svilupperanno una grave compromissione, si minimizzano le sfide quotidiane che quelle persone devono affrontare per condurre una vita normale.

La mia reazione a questa accesa discussione è che abbiamo bisogno di imparare di più sulle caratteristiche di quei anziani con MCI che non progrediscono alla demenza. Nella mia stessa ricerca, ho studiato a fondo gli studi in tre continenti, che hanno seguito le persone con MCI per 3-5 anni. Al controllo i ricercatori hanno classificato i pazienti (a) che hanno progredito verso la demenza, (b) quelli stabili, o (c) quelli con cognitività non più compromessa. In media, i ricercatori hanno scoperto che quasi la metà delle persone non ha fatto registrare progressi verso la demenza come previsto. Ancora più sorprendente è stato che uno su sette non avevano più compromissione.

Una grande quantità di ricerche sono state pubblicate sulle caratteristiche psicosociali di quelli che hanno più probabilità di progredire verso la demenza. Ma nessuno studio sistematico ha identificato i comportamenti o le abitudini di vita che caratterizzano quei pazienti con MCI che non progrediscono verso la demenza, quelli che restano stabili o quelli che tornano alla normalità cognitiva dell'invecchiamento. Quanto importante sarebbe questo progetto di ricerca. 25 anni fa il 26% dei cittadini statunitensi di 65 anni e più erano disabili. Le più recenti indagini fissano il numero a circa il 19%. Nel tentativo di capire le ragioni di questo declino della disabilità, è stata effettuato un grande sforzo di ricerca. Due fattori che hanno contribuito sono i progressi nella tecnologia medica e stili di vita sani praticati dagli anziani.

Non c'è carenza di teorie verificabili che spiegano perché alcuni di quelli con MCI non declinano ulteriormente. Ad esempio, potremmo ipotizzare che alcuni di questi pazienti di nuova diagnosi di MCI prendono la questione nelle proprie mani e cominciano a praticare stili di vita sani come l'esercizio fisico e il mangiare sano, che migliorano la mente con il corpo, ritardando la progressione verso la demenza. Un'altra ipotesi è che alcune persone con diagnosi di MCI chiedono e ricevono una cura di successo per fermare il declino cognitivo e/o ritornare a qualcosa di simile alle normali funzioni intellettuali. Anche se i farmaci e l'addestramento cognitivo non sono stati di grande successo con i pazienti di MCI, alcune persone sono state aiutate.

Mi chiedo se qualcuno, leggendo questo blog, sia a conoscenza di soggetti con diagnosi di MCI, che hanno stabilizzato o hanno ritrovato il normale invecchiamento cognitivo. Se siete a conoscenza di qualcuno, sarebbe utile farlo sapere a tutti gli altri visitatori.

 

Riferimenti selezionati

  •  Ravaglia, G., Forti, P., Montesi, F., Lucicesare, A., Pisacane, N., Rietti, E., et al. (2008). Mild cognitive impairment: Epidemiology and dementia risk in a large elderly Italian population. Journal of the American Geriatrics Society, 56, 51-58.
  • Lopez, O. L., Kuller, L. H., Becker, J. T., Dulberg, C., Sweet, R. T., Gach, H. A., et al. (2007). Incidence of dementia in mild cognitive impairment in the Cardiovascular Health Study Cognition Study. Archives of Neurology, 64, 416- 420.
  • Tschanz, J. T., Welsh-Bohmer, K.A., Lyketsos, C.G., Corcoran, C., Green, R. G., Hayden, K., et al ., & the Cache County Investigators. (2006). Conversion to dementia from mild cognitive disorder: The Cache County Study. Neurology, 25, 229-234.
  • Huang, J., Meyer, J. S., Zhang, Z., Wei, J., Hong, X., Wang, J., et al. (2005). Progression of mild cognitive impairment to Alzheimer's or vascular dementia versus normative aging among elderly Chinese. Current Alzheimer Research, 2, 571-578.

 


Douglas Hyde Powell, Ed.D., ABPP Douglas Hyde Powell, Ed.D., ABPPScritto da Douglas Hyde Powell, Ed.D., ABPP, docente clinico in psicologia alla Harvard Medical School, e consulente di psicologia al McLean Hospital.

Pubblicato in Psychology Today il 2 giugno 2011 - Traduzione di Traduzione di Franco Pellizzari.

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Nota: L'articolo potrebbe riferire risultati di ricerche mediche, psicologiche, scientifiche o sportive che riflettono lo stato delle conoscenze raggiunte fino alla data della loro pubblicazione.

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