Phineas Gage è probabilmente il caso di studio più famoso nella storia delle neuroscienze.
Gage era un ferroviere che nell'autunno del 1848 stava aiutando a preparare una nuova massicciata nei pressi di Cavendish nel Vermont, quando un'esplosione accidentale gli ha mandato una barra di ferro da un metro in testa.
Il missile è entrato sul lato sinistro del volto, è passato dietro l'occhio sinistro, ed è uscito attraverso la parte superiore del cranio. Gage, straordinariamente, è sopravvissuto per raccontare l'incidente.
Ma gli amici hanno detto che era cambiato, "non era più Gage", e questo è ciò che ha incuriosito gli scienziati psicologici. Quello che era prima un uomo operoso, coscienzioso e amabile, è diventato irriverente e volgare, incapace di tornare al suo precedente lavoro. Sembrava che il danno cerebrale - soprattutto al lobo frontale sinistro- avesse alterato drasticamente il suo comportamento e la personalità, l'essenza stessa di chi era.
Si è discusso molto sui fatti del caso Phineas Gage, ma ciò che resiste è l'interesse scientifico sul cervello come sede dell'identità. C'è una diffusa percezione pubblica che la demenza può portare a una perdita del senso di sé, ma questa nozione non è mai stata rigorosamente studiata, almeno non dal punto di vista di amici intimi e familiari.
Un modo per studiare questo argomento è esaminare casi concreti di degenerazione del cervello, e vedere se il danno è legato ai cambiamenti di identità percepiti da altri. Le persone con particolari tipi di danni cerebrali cessano di essere se stessi, proprio come Gage è diventato non più Gage?
Questa è la domanda fondamentale che Nina Strohminger, scienziato psicologico della Duke University ha esaminato nel suo laboratorio. Lei e il filosofo Shaun Nichols dell'Università dell'Arizona volevano capire non solo ciò che i danni al cervello provocano alla percezione dell'identità altrui, ma anche il ruolo della memoria e della morale sul senso duraturo di individualità.
Per fare questo, la Strohminger e Nichols hanno reclutato pazienti con tre tipi di danno cerebrale: Alzheimer (AD), demenza fronto-temporale (FTD) e sclerosi laterale amiototrofica (SLA). La FTD è la seconda forma di demenza più diffusa, dopo l'Alzheimer, e quella in cui la disfunzione prefrontale porta al deterioramento morale: disonestà, disprezzo per le norme sociali, perdita di empatia. La SLA è stata inclusa come condizione di controllo, poiché i suoi effetti psicologici sono molto più leggeri rispetto alle due forme di demenza.
Lo studio è stato l'unico a mettere a fuoco le percezioni dei famigliari dei pazienti. La maggior parte dei famigliari erano coniugi o partner del paziente, mentre un numero più piccolo erano figli, e tutti avevano frequenti contatti con i pazienti. Questi parenti hanno compilato un questionario online sui sintomi dei pazienti, tra cui i vari tipi di perdita di memoria.
Hanno inoltre risposto alle domande sulle caratteristiche della personalità e sul carattere morale del paziente - e il cambiamento di tali valori da quando è insorta la malattia - e sulla qualità del loro rapporto con il paziente. Infine, hanno risposto alle domande sulla loro percezione dell'identità del paziente: "Pensi ancora di sapere chi è il paziente?", "Quanto avverti che il paziente, in fondo, sia ancora la stessa persona?", "Il paziente sembra un estraneo per te?".
Dopo l'analisi dei dati, il risultato principale è stato molto chiaro: l'identità si disintegra soprattutto quando il sistema morale è compromesso. In effetti, il primato della morale, come determinante dell'identità, valeva anche quando il deterioramento morale non era più la caratteristica dominante della malattia. Altri deficit cognitivi - compresa l'amnesia - non hanno mostrato alcun impatto misurabile sulla persistenza dell'identità.
Questi risultati, che saranno riportati in uno dei prossimi numeri della rivista Psychological Science, parlano di questioni filosofiche di vecchia data sulla natura dell'identità, suggerendo che la capacità morale è più importante della memoria o la costruzione emotiva della conservazione del sé.
I risultati dei ricercatori mostrano anche che la percezione del cambiamento di identità dei parenti (il senso che una persona cara sta scomparendo, o è già andata) è la causa principale del deterioramento delle relazioni familiari in caso di demenza.
Si stima che circa 36 milioni di persone vivano oggi con la malattia degenerativa del cervello, e la devastazione di questa malattia si estende ben oltre i pazienti stessi. Strohminger e Nichols immaginano terapie future atte a preservare la capacità morale, un fattore in gran parte incompreso nel benessere del paziente e della famiglia.
Fonte: Wray Herbert su The Huffington Post (> English text) - Traduzione di Franco Pellizzari.
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