Si parla sempre più di demenza al giorno d'oggi. Ogni giorno una nuova storia: assistenza scadente, preoccupazione per l'evoluzione futura, qualche nuovo approccio al trattamento.
Da qualcosa di cui prima non si parlava mai, ora è al centro della scena, come conseguenza della doppia consapevolezza che molti di noi o dei nostri cari l'avranno perchè viviamo più a lungo, e che l'assistenza che ricevono le persone con demenza è gravemente insufficiente.
Questo è difficile da rimediare perchè l'assistenza diventerà ancora più costosa con la crescita del numero di pazienti affetti da demenza. La demenza ha sostituito il cancro come malattia terribile del XXI secolo.
Con l'aumento della consapevolezza della condizione si comincia lentamente a realizzare che le persone muoiono di, e con la, demenza - e che gli ultimi anni di demenza sono accompagnati da una grave fragilità fisica, che porta con sé la malnutrizione, un aumento del rischio di lesioni e infezioni, immobilità e incontinenza. Come rispondere alla diffusa comprensione inadeguata della demenza?
Per prima cosa, dobbiamo ammettere che molte persone muoiono di demenza, essa contribuisce a una morte su sette in Inghilterra. Dobbiamo abbandonare la tendenza a dare un'aurea di ottimismo a questa condizione; con una malattia così diffusa, l'ottimismo diventa presto logoro, perchè la maggior parte di noi ha esperienza diretta di cosa significa realmente la demenza.
Molti anni fa, nessuno parlava di cancro per non spaventare chi soffre con i dettagli delle cure inadeguate e le previsioni cupe, ma con l'apertura ci si è concentrati sull'assistenza come pure sulla cura. Da questo punto di vista la demenza è ancora indietro: la ricerca di cure è certamente di alto rilievo, ma con una malattia così sfaccettata, le cui radici, ora sappiamo, sono piantate molti anni prima che inizi a manifestarsi, c'è poca probabilità di avere presto una cura generale. Ci sono voluti un centinaio di anni per migliorare della metà il tasso di guarigione del cancro.
Pertanto, dobbiamo anche concentrarci sull'ottimizzazione dell'assistenza alla demenza. Mentre la maggior parte delle persone affette da demenza precoce o moderata vivono in casa, i due terzi muoiono nelle istituzioni. E tra coloro che vivono nelle case di cura, quattro su cinque hanno un certo grado di demenza. Quindi il nostro modello di assistenza domiciliare deve essere aggiornato.
Abbiamo bisogno di rimettere in sesto i cambiamenti disastrosi fatti negli anni '80, quando le case di riposo sono state portate fuori dal servizio sanitario e hanno perso il prezioso aiuto di geriatri e altro personale sanitario. Gli specialisti devono andare regolarmente nelle case di cura per istruire il personale. Attualmente stiamo solo reagendo al problema dopo che si è verificato, ed è spesso identificato in ritardo.
E dobbiamo gratificare il personale quando risponde all'istinto di assistere. Questo significa ripensare il modo in cui sono rimborsate le case di cura. Nella sanità l'opzione più economica è spesso molto più costosa, in quanto accumula enormi problemi per altri servizi sanitari. Nulla è più costoso di qualcosa che non funziona. Quindi l'attuale pressione sulle persone perchè muoiano a casa propria e in casa di riposo è giusta, ma deve essere abbinata ad un trasferimento di fondi per sviluppare l'assistenza domiciliare e soddisfare le esigenze delle persone con demenza nel ventunesimo secolo.
Dobbiamo rispondere al fatto che, poiché noi tutti viviamo più a lungo, i residenti in casa di riposo oggi hanno delle condizioni mediche più complesse oltre alla demenza, rispetto a prima; e poiché la società è più atomizzata, sono spesso più isolati o hanno famiglie che richiedono sostegno competente. L'infrastruttura di assistenza medica, infermieristica e sociale deve svilupparsi enormemente e le case di riposo devono mantenere negli ospiti la sensazione di essere a casa propria.
Un secondo ostacolo nell'assistenza efficace alla demenza è che la formazione infermieristica, e quella medica in misura minore, è divisa tra salute fisica e salute mentale. Essendo una condizione che colpisce entrambe così profondamente in modi interdipendenti, così non funzionerà mai. Quelli di noi che hanno lavorato con le persone con demenza allo stadio terminale hanno visto molti disturbi psichiatrici non riconosciuti dagli infermieri generici, o comportamenti disturbati dal dolore e da altri problemi fisici fatti dipendere da cause psichiatriche, da parte del personale della salute mentale.
Il nostro modello di formazione e di fornitura di assistenza non è adatto allo scopo, e finchè non lo rendiamo molto più olistico, le persone con demenza resteranno prigioniere delle incrinature. Nel frattempo, è necessaria una stretta collaborazione tra cure primarie, medicina della vecchiaia, psichiatria della vecchiaia, e le cure palliative. Al momento, le specialità in silos singoli forniscono assistenza che pende verso un solo aspetto della condizione. Allo stesso tempo, il non distinguere la complessità e non rispondere adeguatamente potrebbe essere estremamente costoso per l'economia, e il costo umano sarebbe incalcolabile.
Quindi cosa possiamo fare tutti noi nel frattempo?
Possiamo pensare a quello che vorremmo fosse l'assistenza se non potessimo più scegliere, imporla formalmente come disposizione anticipata, e parlare con la famiglia dei nostri desideri. E' importante discutere le qualità dell'assistenza che desideriamo maggiormente, in modo che i parenti possano trovare la soluzione migliore per noi, se mai dovessimo trovarci di fronte alla demenza.
E se abbiamo parenti con demenza che vivono in casa di riposo, dovremmo cercare di costruire buone relazioni dirette con il personale, e credere che questo si traduca in rapporti più umani tra loro, i nostri cari e gli altri nella loro cura. Perché solo se l'umano in ciascuno di noi riconosce l'umano nell'altro ci può essere qualche speranza che l'assistenza alla demenza diventerà quello che dovrebbe essere, sulla base delle capacità e del rispetto della dignità duratura dell'individuo.
Scritto dal dottor Victor Pace, consulente dell'Hospice San Cristoforo di Sydenham a Londra. Ha guidato un progetto di quattro anni sull'assistenza alle persone con demenza nello stadio terminale.
Pubblicato in Oxford University Press il 24 Aprile 2013(click for the English version) - Traduzione di Franco Pellizzari
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