Nel giro di due anni, il mondo di Peter Dunlop si è ridotto drasticamente: il consulente senior rispettato di ostetricia e ginecologia che un tempo lavorava sui nati ad alto rischio ed eseguiva operazioni complesse quasi tutti i giorni ora è un uomo che fatica a comprendere la posta quotidiana.
Questo padre di due figli, sposato, è passato dal ruolo di medico a quello di paziente con velocità brutale quando gli è stato detto, all'età di soli 53 anni, che aveva il morbo di Alzheimer.
Dalla sera alla mattina la sua carriera era finita. 'Anche se mi avessero detto che avrei potuto continuare per un po', come avrei potuto?' si chiede. 'L'ostetricia è una delle aree più rischiose della medicina e se qualcosa fosse andato storto, anche se fosse stato del tutto inevitabile, avrei pensato che fosse colpa mia. Mi sarebbe rimasto solo il suicidio'. C'erano stati solo nove mesi tra l'improvviso panico che induce il vuoto mentale nel mezzo di una consultazione, seguito da una serie di inspiegabili buchi nella sua memoria, e la conferma delle sue peggiori paure. 'E' stato terribile', dice di quel primo episodio. 'Improvvisamente non ho più avuto una idea di cosa stavo facendo lì, chi era il paziente o quello che dovevo fare. Per fortuna, l'infermiera ha capito che qualcosa non andava e ha proseguito con la conversazione'.
Questo episodio è stato seguito da incidenti simili: dove erano le chiavi? Dove doveva andava e perché? Come avrebbe fatto ad arrivarci? Nessuno dei suoi colleghi medici al Macclesfield General Hospital di Cheshire ha notato qualcosa di sbagliato, ma una volta che Peter ha rivisto il suo medico di famiglia meno di un mese dopo il primo blackout della memoria, era pronto il riferimento per la valutazione di un esperto.
Le scansioni del cervello hanno confermato che si stava riducendo il suo ippocampo sinistro, una delle aree chiave, responsabile della memoria e il primo ad essere colpito nell'Alzheimer. Inoltre, il livello di ritiro suggeriva che il deterioramento mentale era cominciato molto prima che Peter presentasse i sintomi.
La diagnosi è stata fatta un Venerdì dell'estate del 2009. Il Martedì seguente, Peter si era cancellato dal registro medico. 'Ho visto così tante donne nel corso degli anni che hanno sperimentato lutti e traumi terribili', dice. 'Se cose terribili accadono anche alle persone più belle, allora devo accettare che non c'è ragione per cui non dovrebbero accadere a persone come me'. L'Alzheimer colpisce più di 800.000 cittadini britannici - e per il 2021, il numero sarà di un milione, come conseguenza dell'invecchiamento della popolazione e del crescente tasso di obesità, malattie cardiache e diabete, che aumentano il rischio.
Tuttavia, l'afflizione di Pietro è venuta fuori dal nulla; era in forma, sano e non aveva una storia familiare di Alzheimer ad esordio precoce. Poiché il numero di casi senza spiegazione, come per Peter, sale costantemente, gli scienziati sono impegnati in una ricerca incessante per stabilire da dove viene la condizione e, soprattutto, come prevenirla. La malattia è caratterizzata dalla diffusione di composti cerebrali difettosi chiamate proteine beta-amiloide e tau, che portano a chiazze di proteine morte nel cervello, distruggendo la memoria e il pensiero. Da dove provengono queste proteine è ignoto. Tuttavia, ci sono indizi che potrebbero aiutare a sviluppare trattamenti efficaci e modi per fermare il progresso della condizione debilitante.
I medici hanno scoperto che la diffusione apparentemente casuale delle proteine difettose può, infatti, essere una forma di infezione. Recenti ricerche hanno dimostrato che se un piccolo numero di cellule proteiche anormali sono introdotte direttamente nel cervello di animali, 'infettano' le cellule intorno a loro, provocando la degenerazione delle proteine nei paraggi di queste cellule. Il mese scorso, Claudio Soto, professore di neurologia all'Università del Texas Medical School, ha mostrato che se si infetta il cervello di topi con tessuto cerebrale di pazienti umani di Alzheimer, anche loro, sviluppano la malattia. In altre parole, una volta che una proteina anomala arriva nel cervello, infetta le proteine attorno, con conseguenze devastanti.
La ricerca del professor Soto e di scienziati in Germania ha dimostrato che se queste proteine anomale vengono introdotte in altre parti del corpo, possono viaggiare nel liquido spinale e fino al cervello. La scoperta di questo fenomeno di 'semina' ha portato all'ipotesi che questi cosiddetti prioni - una parola che deriva dalla combinazione di proteine e infezione - possono diffondesi da trapianti di organi contaminati, strumenti medici durante le operazioni o strumenti anche dentali che sono in diretto contatto con l'apporto di sangue ricco a denti e gengive. Inoltre, come i prioni che causano la variante CJD della demenza (Malattia di Creutzfeldt-Jakob, la forma umana della malattia della mucca pazza), potrebbero venire dalla fornitura di cibo.
I medici accettano che le proteine anomale sono la causa della demenza, ma l'ipotesi che il processo possa essere causato da prioni simili a quelli della CJD è nuova e potrebbe avere implicazioni drammatiche. 'Nei nostri esperimenti, abbiamo iniettato tessuto di Alzheimer direttamente nel cervello di topi', dice il professor Soto. 'Ovviamente le persone normalmente non hanno gli agenti infettivi iniettati nel cervello, quindi abbiamo bisogno di scoprire se la malattia può essere trasmessa per vie naturali di esposizione nell'uomo'.
Mathias Jucker, scienziato senior di un centro di ricerca in malattie neuro-degenerative a Tubinga, in Baviera, uno dei centri mondiali di competenza sulle proteine che causano malattie, ha pubblicato una revisione delle evidenze sulla infettività dell'Alzheimer nell'ultimo numero della rivista Annals of Neurology. Ha ipotizzato che la chirurgia dei trapianti umani debba essere controllata per garantire che gli organi dei donatori non siano presi da soggetti anziani ad alto rischio, che potrebbero essere portatori delle proteine anormali associate all'Alzheimer. Egli pensa anche che le persone che hanno subito importanti interventi chirurgici devono essere monitorate per vedere se hanno maggior rischio di sviluppare demenza, un modo di ottenere la prova che le proteine infettive possono essere trasmesse. 'Queste scoperte potrebbero significare che finalmente troveremo il modo di prevenire e curare questa condizione,' dice. 'Ma dobbiamo tenere presente che se l'Alzheimer è davvero contagioso, così come il morbillo o l'influenza, dovremmo sapere ormai come funziona'.
In altre parole, e questo non può essere sottolineato a sufficienza, i malati di Alzheimer non sono infettivi. La malattia non può essere trasmessa ad altre persone 'naturalmente'. 'Gli studi hanno dimostrato che è possibile trasferire o "seminare" queste proteine infettive negli animali da laboratorio in condizioni particolari, ma non sappiamo cosa ci sta dicendo a proposito del processo naturale della malattia', dice il professor John Collinge, direttore del dipartimento di malattie neuro-degenerative all'University College di Londra e massimo esperto britannico della variante CJD. 'Anche se è possibile iniettare l'infezione, non penso che ci sono molte prove che si può trasmettersi naturalmente'.
Al Professore Collinge è stato chiesto di organizzare un incontro altamente confidenziale dei principali specialisti internazionali nel campo a New York la scorsa settimana. Essi hanno discusso le implicazioni del crescente corpo di conoscenze sulla contagiosità della demenza e come dare un obiettivo più efficace alla ricerca. Svelare la natura precisa del perché alcune persone sono colpite dall'Alzheimer mentre altri non lo sono, sarà un processo complesso - anche perché l'esposizione agli strumenti chirurgici è così comune che sarebbe impossibile dimostrare una differenza nei tassi di demenza tra coloro che hanno subito un intervento chirurgico e quelli che non l'hanno subito.
Il malato di Alzheimer Peter Dunlop ha subito una serie di procedure chirurgiche e di odontoiatria nel corso degli anni, a partire da quando gli sono stati rimossi i denti da latte nella prima infanzia. E' ancora sufficientemente mentalmente attento per leggere riviste mediche e partecipare a conferenze sulla demenza, anche se spesso dimentica subito quello che ha letto. Tuttavia, egli ha capito che anche se è chiaro che la demenza non è contagiosa, nel senso convenzionale, le prove mostrano che può essere trasmessa. 'Il concetto di infezione come causa sembra del tutto plausibile, ma come dicono questi ricercatori, è difficile capire come ci arriva all'inizio', dice. 'Non è chiaro se da questa ricerca arriveranno dei risultati in tempo per aiutare quelli come me. 'Per essere onesti, dopo aver avuto l'Alzheimer è sempre più difficile pensare alla scienza e da dove potrebbe provenire. Dovrò lasciare tutto questo alle spalle e concentrarmi sulle cose che posso fare con piacere'.
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Pubblicato in DailyMail.co.uk il 6 dicembre 2011 - Traduzione di Franco Pellizzari.
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