Ricerche
Studio dice che i babbuini potrebbero aiutare nell'Alzheimer
Gli scienziati del Southwest National Primate Research Center (SNPRC) del Texas Biomedical Research Institute (Texas Biomed) hanno pubblicato di recente i risultati di uno studio che indicano che i babbuini potrebbero rivelarsi un modello rilevante per testare terapie e interventi per le malattie neurodegenerative, come il morbo di Alzheimer (MA) nella fase iniziale e le demenze correlate.
Gli scienziati hanno osservato un declino cognitivo ripido legato all'età nei babbuini di circa 20 anni di età, che è l'equivalente dei 60 anni umani. Il team di scienziati, guidato dal dott. Marcel Daadi, professore associato del SNPRC, ha pubblicato i risultati nel numero di maggio di Aging. Questi studi sono un primo passo nello sviluppo del babbuino come modello animale appropriato per il MA di stadio precoce.
Secondo l'Alzheimer's Association, più di cinque milioni di americani vivono con il MA, e un anziano su tre muore della malattia o di una demenza correlata. Il dott. Daadi ha spiegato che la diagnosi precoce della disfunzione cognitiva associata all'età è fondamentale, e può fornire una comprensione del crollo dei sistemi del cervello, portando a interventi migliori.
“Noi non sappiamo come parte il MA, ed è quasi impossibile trattare un paziente con la malattia già avanzata a causa della perdita significativa di cellule cerebrali”, ha detto il dott. Daadi. “Se rilevassimo la patologia nel cervello nella fase iniziale allora potremmo puntare a interventi per prevenire la progressione, e noi siamo in una posizione migliore per aiutare. Questa è la prima volta che è stato riferito un modello naturale della fase iniziale del MA. Questo modello potrebbe essere rilevante per testare farmaci promettenti, per capire meglio come e perché la malattia si sviluppa e per studiare le aree del cervello colpite, al fine di determinare come possiamo influenzare questi percorsi”.
L'invecchiamento è attualmente irreversibile ed è un motivo importante del deterioramento progressivo della salute e della funzione generale. Le malattie neurodegenerative, in particolare, sono legate all'invecchiamento delle cellule cerebrali e alla perdita sinaptica, che è una perdita delle linee di comunicazione all'interno del cervello.
Come indicato nella ricerca, gli esseri umani e i primati non umani (NHP) condividono molte somiglianze, tra cui i cambiamenti con l'età dell'espressione genica e un calo delle funzioni neurali e immunitarie. Studi precedenti hanno individuato la corteccia prefrontale (PFC) del cervello come una delle regioni più colpite dall'età. La PFC ha un ruolo importante nella funzione della memoria di lavoro e nei comportamenti auto-regolamentati e diretti all'obiettivo, tutti vulnerabili all'invecchiamento.
Per osservare se nei babbuini queste funzioni della PFC sono influenzate dall'invecchiamento e determinare se possono discernere e imparare nuovi compiti a diversa età, il dott. Daadi e il suo team hanno separato i babbuini in due gruppi in base all'età (adulti e anziani). Sono stati eseguiti 4 test cognitivi per osservare l'apprendimento di cose nuove, la funzione motoria e la memoria, e delineare le associazioni.
“Quello che abbiamo scoperto è che i babbuini anziani restano significativamente indietro nelle prestazioni di tutti i quattro test per attenzione, apprendimento e memoria”, ha detto il dottor Daadi. “Anche il ritardo, o l'impossibilità, di cogliere ricompense (latenza di risposta), sono più alti nei babbuini anziani, suggerendo un calo della motivazione e/o delle capacità motorie. Il team ha poi usato un compito più complesso che richiede l'integrazione di diversi processi cognitivi e ha dimostrato che i soggetti anziani hanno reali carenze di attenzione, apprendimento e memoria. Gli studi hanno suggerito un rapido declino della funzione dei sistemi cerebrali e della cognizione a 60 anni come soglia potenziale. Queste scoperte sono coerenti con i nostri risultati”.
I roditori sono il modello primario di laboratorio per testare interventi terapeutici per le malattie neurodegenerative. Tuttavia, i topi non sempre riflettono i processi umani, e quindi, pur restando parte integrante della comprensione dei processi neurodegenerativi, questo modello animale non si è dimostrato efficace nel tradurre terapie promettenti agli esseri umani. “Il tasso di fallimento negli studi clinici per le terapie del MA è estremamente elevato, circa il 99,6%, e dobbiamo cambiare la situazione”, ha detto il dott. Daadi.
Un primate non umano, o scimmia, che è più simile agli esseri umani in termini di genetica, fisiologia, cognizione, emozioni e comportamento sociale, potrebbe rivelarsi un modello più efficace per testare interventi terapeutici. [...]
“Il nostro prossimo passo è indagare sulle neuropatologie alla base di questo declino cognitivo ed eseguire scansioni per capire cosa succede alle connessioni neurali e determinare dove possono esserci difetti”, ha detto il dott. Daadi. “Osserveremo anche i biomarcatori che possono darci un'idea del perché sta avvenendo questo declino ripido. Tutti questi dati ci consentiranno di caratterizzare ulteriormente il babbuino come modello naturale che può risultare utile per testare interventi terapeutici precoci”.
Fonte: Texas Biomedical Research Institute (> English text) - Traduzione di Franco Pellizzari.
Riferimenti: Stephanny Lizarraga, Etienne W. Daadi, Gourav Roy-Choudhury, Marcel M. Daadi. Age-related cognitive decline in baboons: modeling the prodromal phase of Alzheimer's disease and related dementias. Aging, 19 May 2020, DOI
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