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Fantasticare e abbandonarsi ai ricordi migliora le prestazioni mentali

Fantasticare e abbandonarsi ai ricordi migliora le prestazioni mentali Per risolvere un puzzle mentale, nel cervello deve attivarsi la rete del controllo esecutivo per il pensiero focalizzato esternamente e orientato all'obiettivo, mentre la rete del pensiero diretto internamente (come sognare ad occhi aperti) deve essere spenta, per evitare interferenze ... o almeno così si pensava finora.


Una nuova ricerca guidata dal neuroscienziato Nathan Spreng della Cornell University dimostra per la prima volta che impegnare le aree del cervello legate alle cosiddette attività mentali «off-task» [di assenza, distrazione], come fantasticare e abbandonarsi ai ricordi, può effettivamente migliorare le prestazioni su alcuni compiti mentali impegnativi.


I risultati ci permettono di capire meglio come interagiscono le reti neurali, focalizzate all'esterno e all'interno, per facilitare il pensiero complesso, dicono gli autori.


"L'opinione prevalente è che l'attivazione delle aree del cervello che compongono la cosidetta «rete predefinita» comprometta le prestazioni in compiti esigenti di attenzione, perché questa rete è associata a comportamenti come fantasticare", ha detto Spreng. "Il nostro studio è il primo a dimostrare il contrario: coinvolgere la rete predefinita può anche migliorare le prestazioni".


Ci sono molti studi di neuroimaging che mostrano che l'attivazione della rete predefinita interferisce con le attività mentali complesse; ma nella maggior parte dei casi, spiega Spreng, i processi mentali connessi con la rete predefinita confliggono con gli obiettivi dell'attività. Se si inizia a pensare a quello che si è fatto lo scorso fine settimana mentre si prendono appunti durante una lezione, ad esempio, ne risulteranno penalizzati gli appunti e la capacità di tenere il passo con la lezione.


Spreng e il suo team hanno sviluppato un nuovo approccio in cui i processi off-task, come perdersi nei ricordi, possono supportare, piuttosto che confliggere con, le finalità del compito sperimentale. Il loro compito innovativo «volti noti del passato» ha verificato se l'accesso alla memoria di lungo termine sui personaggi famosi, che impegna di solito regioni cerebrali della rete predefinita, può supportare le prestazioni della memoria a breve termine, che coinvolge in genere aree del controllo esecutivo.


Mentre sottostavano a scansione cerebrale, 36 giovani adulti guardavano serie di volti noti e anonimi in sequenza, e dovevano dichiarare se il volto attuale corrispondeva a quello visto due immagini prima. Il team ha scoperto che i partecipanti erano più veloci e più precisi quando dovevano far corrispondere volti noti rispetto ai volti anonimi, e che questa prestazione migliore della memoria a breve termine è associata ad una maggiore attività della rete predefinita.


I risultati dimostrano che l'attività nelle aree del cervello predefinite può supportare le prestazioni nei compiti basati su obiettivi, quando le richieste del compito si allineano con i processi supportati dalla rete predefinita, dicono gli autori.


"Al di fuori del laboratorio, perseguire gli obiettivi comporta l'elaborazione di informazioni piene di significato personale:  conoscenza di esperienze passate, motivazioni, progetti per il futuro e contesto sociale", ha detto Spreng. "Il nostro studio suggerisce che la rete predefinita e le reti di controllo esecutivo interagiscono dinamicamente per favorire un dialogo continuo tra il perseguimento degli obiettivi esterni e il significato interno".

 

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Lo studio, pubblicato nell'edizione di ottobre del Journal of Neuroscience, è stato finanziato in parte dal National Institutes of Health e dal Natural Sciences and Engineering Research Council of Canada.

 

 

 

 

 


Fonte:  Melissa Osgood in Cornell University  (> English text) - Traduzione di Franco Pellizzari.

Riferimenti:  R. N. Spreng, E. DuPre, D. Selarka, J. Garcia, S. Gojkovic, J. Mildner, W.-M. Luh, G. R. Turner. Goal-Congruent Default Network Activity Facilitates Cognitive Control. Journal of Neuroscience, 2014; 34 (42): 14108 DOI: 10.1523/JNEUROSCI.2815-14.2014

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