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Hunger Games: il cervello "brunisce" il grasso per aiutare a perdere peso

Hunger Games: il cervello "brunisce" il grasso per aiutare a perdere pesoIllustrazione di Michael S. HelfenbeinI ricercatori della School of Medicine della Università di Yale hanno scoperto che un processo molecolare del cervello, conosciuto per controllare l'assunzione di cibo, trasforma il grasso bianco in grasso bruno.


Questo processo impatta la quantità di energia che si brucia e quanto peso si può perdere.


I risultati sono stati pubblicati nel numero del 9 ottobre della rivista Cell.


L'obesità è un'epidemia globale in aumento. Il tessuto adiposo in eccesso è un fattore di rischio per il diabete di tipo 2, per le malattie cardiovascolari, l'ipertensione, i disturbi neurologici [ndt: compreso l'Alzheimer], e il cancro. Le persone diventano sovrappeso e obesi, quando l'assunzione di energia sovrasta il dispendio energetico, e le calorie in eccesso vengono immagazzinate nei tessuti adiposi.


L'organo adiposo è costituito da grasso sia bianco che bruno. Mentre il grasso bianco immagazzina principalmente l'energia come trigliceridi, il grasso bruno dissipa energia chimica sotto forma di calore. Più grasso bruno si ha, più peso si può perdere.


E' stato precedentemente dimostrato che il grasso bianco che immagazzina energia ha la capacità di trasformarsi in grasso «simil-bruno» brucia-energia. In questo nuovo studio, i ricercatori del Program in Integrative Cell Signaling and Neurobiology of Metabolism della Yale dimostrano che i neuroni che controllano la fame e l'appetito nel cervello controllano la "brunatura" del grasso bianco.


L'autore principale Xiaoyong Yang, professore associato di medicina e fisiologia comparata alla Yale School of Medicine, ha condotto lo studio con Tamas Horvath, professore e cattedra di medicina comparativa, e professore di neurobiologia e ostetricia/ginecologia alla Yale School of Medicine, e i loro collaboratori.


Il team ha stimolato nei topi questo processo di brunatura da parte del cervello e ha scoperto che esso protegge gli animali dall'obesità, pur con una dieta ricca di grassi. Il team ha poi studiato i cambiamenti molecolari nei neuroni che promuovono la fame nell'ipotalamo e ha scoperto che attaccare un singolo zucchero chiamato "O-GlcNAc" ai canali ionici del potassio agisce da interruttore per controllare l'attività cerebrale della bruciatura dei grassi.


"I nostri studi fanno risaltare la "brunatura" del grasso bianco come un processo fisiologico altamente dinamico, controllato dal cervello", ha detto Yang. "Questo lavoro indica che le modifiche comportamentali promosse dal cervello potrebbero influenzare come viene bruciata la quantità di cibo che mangiamo e il grasso che è conservato".


Yang ha detto che la fame e l'esposizione al freddo sono due variabili di storia della vita durante lo sviluppo e l'evoluzione dei mammiferi. "Abbiamo osservato che la privazione del cibo domina sull'esposizione al freddo nel controllo neurale della «brunatura» del grasso bianco. Questo sistema normativo può essere evolutivamente importante in quanto può ridurre la produzione di calore per mantenere l'equilibrio energetico quando siamo affamati. Modulare questa connessione dal cervello al grasso rappresenta una nuova strategia potenziale per combattere l'obesità e le malattie associate".

 

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Altri autori dello studio includono Hai-Bin Ruan, Marcelo O. Dietrich, Zhong-Wu Liu, Marcelo R. Zimmer, Min-Dian Li, Jay Prakash Singh, Kaisi Zhang, Ruonan Yin e Jing Wu. Lo studio è stato finanziato dai National Institutes of Health, dalla American Diabetes Association, dalla Ellison Medical Foundation, dall'American Heart Association, e da CNPq/Brasile. 

 

 

 

 

 


Fonte:  Karen N. Peart in Yale University (> English text) - Traduzione di Franco Pellizzari.

Riferimenti:  Hai-Bin Ruan, Marcelo O. Dietrich, Zhong-Wu Liu, Marcelo R. Zimmer, Min-Dian Li, Jay Prakash Singh, Kaisi Zhang, Ruonan Yin, Jing Wu, Tamas L. Horvath, Xiaoyong Yang. O-GlcNAc Transferase Enables AgRP Neurons to Suppress Browning of White Fat. Cell, 2014; 159 (2): 306 DOI: 10.1016/j.cell.2014.09.010

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