Le persone affette da demenza hanno più probabilità di ricevere l'impianto di un pacemaker contro le irregolarità del ritmo cardiaco (come la fibrillazione atriale), rispetto alle persone che non hanno difficoltà cognitive, secondo i ricercatori della University of Pittsburgh.
In una lettera di ricerca pubblicata ieri online in JAMA Internal Medicine, i ricercatori notano che questa scoperta è in contrasto con l'aspettativa che gli interventi meno aggressivi siano la norma per i pazienti con questa malattia incurabile e invalidante.
Per vedere il rapporto tra stato cognitivo e impianto di un pacemaker, la ricercatrice Nicole Fowler, PhD, che al tempo dello studio era alla School of Medicine della Pitt, e il suo team, hanno esaminato i dati provenienti da 33 Centri Alzheimer (ADC), inseriti tra settembre 2005 e dicembre 2011 nel «National Alzheimer's Coordinating Center (NACC) Uniform Data Set».
Sono stati analizzati i dati di più di 16.000 persone che avevano avuto una visita iniziale ed almeno una successiva di follow-up in un ADC. Al basale il 48,5 per cento dei partecipanti non aveva alcun decadimento cognitivo, il 21,3 per cento aveva un decadimento cognitivo lieve (MCI), e il 32,9 per cento aveva la demenza [ndt: 48,5+21,3+32,9=102,7%, più bravi in ricerca che in matematica).
I ricercatori hanno scoperto che i partecipanti con deterioramento cognitivo erano significativamente più anziani e con più probabilità di essere di sesso maschile, avevano una cardiopatia ischemica, e una storia di ictus. I tassi di fibrillazione atriale e di insufficienza cardiaca congestizia erano simili tra i gruppi. La probabilità di ricevere l'impianto di un pacemaker, un dispositivo che regola il battito cardiaco, era più bassa per chi non aveva difficoltà cognitive e più alta per i pazienti con demenza.
"I partecipanti che avevano avuto la demenza prima che fosse valutata la necessità di un nuovo pacemaker, avevano una probabilità 1,6 volte più alta di ricevere un pacemaker rispetto ai partecipanti senza deterioramento cognitivo, anche dopo aver preso in considerazione i fattori clinici", ha detto la dott.ssa Fowler, che è ora all'Indiana University. "Questo è stato un po' sorprendente, perché gli interventi aggressivi potrebbero non essere appropriati per queste persone, la cui vita è limitata da una malattia gravemente invalidante. La ricerca futura dovrebbe capire come i medici, i pazienti e le famiglie arrivano a prendere la decisione di impiantare un pacemaker".
Non c'è stata differenza tra i gruppi nel tasso di impianti di defibrillatori, che offrono un piccolo shock per indurre il cuore di iniziare a battere di nuovo se si ferma improvvisamente.
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I co-autori della studio includono Jie Li, MS, Charity G. Moore, Ph.D., Samir Saba, MD, Oscar L. Lopez, MD, e Amber E. Barnato, MD, MPH, MS, tutti dell'Università di Pittsburgh, e Kim G. Johnson, MD, del Medical Center alla Duke University. Il progetto è stato finanziato dall'Agency for Healthcare Research and Quality e dal National Institute on Aging, che finanzia anche il database NACC.
Fonte: University of Pittsburgh (> English text) - Traduzione di Franco Pellizzari.
Riferimenti: Nicole R. Fowler, Kim G. Johnson, Jie Li, Charity G. Moore, Samir Saba, Oscar L. Lopez, Amber E. Barnato. Use of Cardiac Implantable Electronic Devices in Older Adults With Cognitive Impairment. JAMA Internal Medicine, 2014; DOI: 10.1001/jamainternmed.2014.3450
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