Alcune regioni del cervello nelle persone con morbo di Alzheimer (MA) si riorganizzano più spesso a riposo, rispetto alle persone senza la malattia, e nelle persone sane questo rimescolamento frequente a volte prevede chi svilupperà la condizione in seguito, secondo un nuovo studio dell'Università del Michigan e della Columbia University.
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La capacità del cervello di riorganizzare varie regioni è chiamata 'flessibilità neurale', afferma Eleanna Varangis, assistente prof.ssa della U-M e prima autrice dello studio, apparso sul Journal of Alzheimer's Disease.
"Il nostro cervello sta sempre organizzando e riorganizzando regioni di diverse reti funzionali per assicurarsi che abbia le risorse di cui ha bisogno per completare vari compiti cognitivi", ha affermato la Varangis. "Abbiamo scoperto che nel MA il cervello tende a riorganizzarsi più di frequente. Nel complesso, il nostro studio suggerisce che possiamo usare informazioni sul modo in cui il nostro cervello si organizza in reti funzionali per aiutare a identificare se qualcuno ha o no la malattia".
Si pensa che 1 uomo su 10 e 1 donna su 5 svilupperà il MA nella vita e l'intervento precoce è fondamentale per mantenere l'indipendenza. La scansione cerebrale con risonamnza magnetica funzionale (fMRI) ha mostrato il potenziale come biomarcatore precoce del rischio di malattia, afferma la Varangis. In questo studio i ricercatori hanno usato i dati di fMRI raccolti da 862 anziani cognitivamente normali, con lieve compromissione cognitiva e con MA, partecipanti all'Alzheimer’s Disease Neuroimaging Initiative, mentre erano svegli, ma a riposo, per esaminare la flessibilità neurale nel cervello.
La Varangis e colleghi volevano sapere due cose: se il danno al cervello causato dal MA causa cambiamenti nella flessibilità neurale, e se questa può aiutare a prevedere chi può passare dal gruppo cognitivamente normale al MA.
Hanno scoperto che la flessibilità neurale era significativamente più alta nel gruppo MA che nel gruppo cognitivamente normale in tutte le regioni cerebrali e in 6 reti specifiche, e la flessibilità neurale era significativamente più alta nel gruppo di lieve deterioramento cognitivo rispetto al gruppo cognitivamente normale nella rete visuale. Tra i 617 partecipanti sani al basale, l'8,6% è passato alla demenza nei successivi 11 anni, in linea con le stime nazionali della prevalenza della demenza in età avanzata. Una maggiore flessibilità neurale nella rete visiva era associata alla transizione al MA.
"Sebbene questo sia un effetto solo modesto, è un buon indizio che l'attività in queste regioni visive potrebbe dirci qualcosa sul rischio di MA anni prima della diagnosi formale", ha detto la Varangis. "Dal momento che pensiamo che il deterioramento cognitivo sia il sintomo principale del MA, la scoperta che questa rete sensoriale è quella che prevede la conversione al MA era un po' inaspettata, ma non del tutto sorprendente. Nel caso tipico di MA, la patologia cerebrale che causa la malattia progredisce nelle regioni sensoriali solo nelle fasi avanzate della malattia. Potrebbe essere che queste regioni mostrino una maggiore flessibilità perché sono tra le regioni più sane del cervello, non ancora colpite dalla patologia della malattia".
I risultati hanno sfidato l'intuizione dei ricercatori perché, in generale, flessibilità e adattabilità sono considerate cose buone, afferma la Varangis:
"Ma una volta che è evidente il processo della malattia, potrebbe essere che se stiamo riposando e c'è questa frequente riassegnazione delle regioni del cervello a diverse funzioni, potrebbe essere che parti del cervello non funzionano nel modo in cui dovrebbero".
È importante ricordare che si tratta di una tecnica sperimentale ed è lungi dall'essere un'applicazione diagnostica, afferma la Varangis:
"Molte persone ritengono che nella malattia neurodegenerativa c'è questo rallentamento generale del cervello nel tempo. Ma per me, questi risultati ci dicono che il cervello è un organo molto dinamico, e anche con la cognizione che cambia o peggiora nel tempo, c'è ancora così tanta flessibilità che permette al nostro cervello di adattarsi, che penso sia anche un segno di speranza e resilienza".
Fonte: University of Michigan (> English) - Traduzione di Franco Pellizzari.
Riferimenti: E Varangis, [+4], S Lee. Neural flexibility is higher in Alzheimer’s disease and predicts Alzheimer’s disease transition. J Alz Dis, 2025, DOI
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