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Nuovo cannabinoide, non psico-attivo, può proteggere il cervello dall'invecchiamento

Cannabis Dmytro Tyshchenko / Shutterstock

Una grande varietà di disturbi cerebrali associati all'invecchiamento sono caratterizzati da una perdita progressiva di neuroni, compresi tra gli altri il morbo di Alzheimer (MA) e il Parkinson. Negli ultimi decenni, la ricerca del mio laboratorio sul meccanismo patologico alla base di queste malattie ha documentato il ruolo critico dell'infiammazione cerebrale a lungo termine.


In circostanze normali, una risposta infiammatoria nel cervello è un processo protettivo che promuove la rigenerazione neuronale. Tuttavia, se questa risposta persiste per decenni, l'infiammazione predispone regioni cerebrali specifiche alla neurodegenerazione. Le cellule cerebrali che sono principalmente coinvolte in questo processo infiammatorio distruttivo sono le microglia.


La risposta infiammatoria può essere attivata da diversi meccanismi, come geni mutanti specifici, obesità, diabete, tossine ambientali e pro-infiammogeni dovuti allo stress ossidativo. Attualmente, non esistono agenti terapeutici che possono contrastare efficacemente le azioni dannose delle microglia attivate e nemmeno rallentare la progressione di questi disturbi.


Questo fino a poco tempo fa.


La mia ricerca ha dimostrato che puntare i meccanismi alla base della neuroinfiammazione cronica, stimolando i recettori dei cannabinoidi, può essere una strategia promettente. Studi recenti hanno dimostrato che anche due acidi grassi endogeni presenti nel cervello (anandamide e palmitoiletanolamide o PEA) sono cannabinoidi che possono ridurre l'impatto di molti meccanismi patologici noti per essere coinvolti nel processo neurodegenerativo.


L'anandamide si trova naturalmente nella polvere del cacao e nei tartufi neri, mentre il PEA si trova nel tuorlo d'uovo, nella soia e nell'olio di arachidi. Entrambi i composti possono imitare diverse azioni del THC, il principio attivo presente nei prodotti della cannabis. L'anandamide si lega ai recettori dei cannabinoidi e produce euforia. Al contrario, il PEA non si lega bene ai recettori dei cannabinoidi e non ha effetti psicoattivi apparenti.


Le azioni del PEA sono utili perché attivano due recettori importanti che controllano l'infiammazione e la sensazione di dolore: PPAR-α e TRPV1. Questa doppia azione è alla base degli effetti antinfiammatori, antiossidanti, analgesici e neuroprotettivi del PEA. Il PEA è sicuro per il consumo umano; alcuni paesi hanno già autorizzato la vendita di prodotti che contengono PEA come integratori alimentari per l'uomo. La dose raccomandata è in genere da 600 a 1.200 mg al giorno. Una analisi recente della letteratura sul PEA ha esaminato gli studi clinici che giustificano questo regime di dosaggio.


Studi umani e animali hanno fornito solide prove neurobiologiche sui benefici terapeutici del PEA, in particolare quelli correlati ai cambiamenti osservati nel cervello dei pazienti con MA. L'integrazione di PEA ha ridotto l'infiammazione cerebrale, l'espressione della proteina amiloide, gli effetti negativi della proteina tau nell'ippocampo e l'attivazione delle glia. Nel loro insieme, questi effetti sono stati associati a una migliore sopravvivenza dei neuroni e a una neuroprotezione diffusa. I benefici del PEA non si limitano al cervello; ha ridotto anche gli effetti dell'infiammazione nell'intestino e ha ridotto il livello di stress ossidativo in tutto il corpo.


Coerentemente con questa visione del ruolo benefico del PEA, si è dimostrato che i livelli di PEA cerebrale erano ridotti nei pazienti con demenza vascolare e MA. Un'analisi degli studi precedenti sul PEA suggerisce anche che ha il potenziale massimo durante le prime fasi delle malattie neurodegenerative, dell'ictus e del Parkinson. Le prove finora raccolte negli studi su animali e umani sono coerenti con la raccomandazione che siano inclusi integratori di PEA dietetico come preziosa terapia aggiuntiva agli attuali approcci per la prevenzione e il trattamento delle malattie neurodegenerative legate all'età.

 

 

 


Fonte: Gary L. Wenk PhD, professore di psicologia, neuroscienze, virologia molecolare, immunologia e genetica medica alla Ohio State University.

Pubblicato su Psychology Today (> English) - Traduzione di Franco Pellizzari.

Riferimenti:

  • GL Wenk, Your Brain on Food: How Chemicals Control Your Thoughts and Feelings, 3rd Ed. Oxford Univ. Press. Amazon
  • M Colizzi, et al. Therapeutic effect of palmitoylethanolamide in cognitive decline: A systematic review and preliminary meta-analysis of preclinical and clinical evidence. Frontiers in Psychiatry, 2022, DOI



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Liberatoria: Questo articolo non propone terapie o diete; per qualsiasi modifica della propria cura o regime alimentare si consiglia di rivolgersi a un medico o dietologo. Il contenuto non rappresenta necessariamente l'opinione dell'Associazione Alzheimer OdV di Riese Pio X ma solo quella dell'autore citato come "Fonte". I siti terzi raggiungibili da eventuali collegamenti contenuti nell'articolo e/o dagli annunci pubblicitari sono completamente estranei all'Associazione, il loro accesso e uso è a discrezione dell'utente. Liberatoria completa qui.

Nota: L'articolo potrebbe riferire risultati di ricerche mediche, psicologiche, scientifiche o sportive che riflettono lo stato delle conoscenze raggiunte fino alla data della loro pubblicazione.


 

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