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Gestione non farmacologica della demenza in 6 fasi

Anziano con medicoDa prove esistenti e dalla loro esperienza clinica, i ricercatori della Johns Hopkins University hanno creato 6 strategie non farmacologiche per identificare e gestire meglio i problemi comportamentali dei pazienti con demenza.

I problemi comportamentali, che possono includere sintomi psichiatrici come depressione, psicosi, apatia, agitazione, aggressività, deliri e allucinazioni, così come un comportamento preoccupante, come le ripetizioni di frasi e il vagabondaggio, sono spesso difficili da gestire e possono sia aumentare il rischio di attività pericolose (camminare nel traffico, ad esempio) che essere estremamente stressanti per i caregivers.

I medici a volte prescrivono gli antipsicotici atipici per gestire sintomi comportamentali difficili.

In un articolo pubblicato nel numero del 21 Novembre di JAMA, Laura N. Gitlin, PhD, del Dipartimento di sanità pubblica comunitaria della School of Nursing nella Johns Hopkins University di Baltimora nel Maryland, e colleghi hanno riassunto sei approcci non farmacologici per identificare e gestire i problemi comportamentali.

Le 6 fasi

I ricercatori hanno cercato su PubMed gli studi pubblicati su riviste peer-reviewed tra Gennaio 1992 e il 1° Luglio 2012, e hanno cercato anche le pubblicazioni recenti di recensioni sistematiche, meta-analisi, revisioni Cochrane, e gli studi randomizzati di trattamenti non farmacologici sia a domicilio che nelle case di riposo.

Da questa ricerca e dall'esempio di Mr. P., un 93enne con decadimento cognitivo lieve derivante da malattia vascolare del cervello, che vive con suo cugino caregiver primario, i ricercatori hanno sviluppato 6 approcci fondamentali volti a scoprire e gestire i comportamenti distruttivi:


1. Individuare i comportamenti ed attuare azioni preventive: gli esperti consigliano una verifica proattiva annuale dei comportamenti, utilizzando uno strumento affidabile e validato (ad esempio, il Neuropsychiatric Inventory). Le misure preventive possono comprendere la discussione con i caregivers sull'importanza dell'auto-assistenza, della stimolazione adeguata, dell'alimentazione, del sonno, e dell'individuazione dei primi sintomi.


2. Descrivere i comportamenti che si presentano: quando si sviluppano i comportamenti distruttivi o preoccupanti, i medici dovrebbero fare una valutazione formale, un processo che coinvolge l'intervista sia del paziente che del caregiver. Anche se i medici dovrebbero prendere in considerazione i comportamenti dal punto di vista del paziente, il coinvolgimento del caregiver diventa essenziale, tanto più con il progredire della malattia. E' importante determinare l'onere del caregiver, poichè un caregiver depresso può avere benefici rivolgendosi ad uno psichiatra o a un consulente.


3. Identificare le cause sottostanti: i medici devono cercare di trovare le possibili cause dei comportamenti, compreso il contributo di fattori relativi al paziente come altre malattie, il dolore, o i farmaci. Essi devono osservare lo stile della comunicazione e del far fronte alla situazione del caregiver, la vicinanza al paziente, e il livello di accesso al sostegno. Si dovrebbe anche valutare l'ambiente domestico in termini di eccessiva o scarsa stimolazione.


4. Elaborare un piano di trattamento che dovrebbe mirare i comportamenti ed eliminare i fattori scatentanti modificabili. Semplici attività come le passeggiate quotidiane accompagnate possono aumentare sentimenti di benessere e migliorare il sonno. Le attività sociali e di altro tipo che piacciono al paziente possono ridurre l'agitazione. La depressione può essere ridotta con una combinazione di esercizio fisico e di formazione del caregiver nelle tecniche di gestione del comportamento. Gli autori citano uno studio clinico randomizzato con 272 pazienti residenti in comunità, e i loro caregiver che hanno mostrato che, puntando i comportamenti e modificando i potenziali inneschi, si migliorano o si eliminano i sintomi del paziente e si alzano benessere e competenze del caregiver. "Le possibili strategie, basate sull'identificazione dei fattori che contribuiscono al comportamento, potrebbero includere l'eliminazione di bevande contenenti caffeina, del sonnellino pomeridiano, e della stimolazione da distrazioni ambientali (televisione al momento di coricarsi), e l'attuazione di una routine quotidiana di esercizio fisico strutturato, di attività significative, di una routine strutturata notturna con possibile coinvolgimento di musica di sottofondo"scrivono gli autori.


5. Determinare l'efficacia delle strategie non farmacologiche: Se non ci sono miglioramenti comportamentali, è importante determinare se ci sono stati cambiamenti nelle caratteristiche del comportamento, nell'ambiente del paziente, o nello stato di salute del paziente, notano gli autori. Potrebbe anche essere una buona idea analizzare come il caregiver ha attuato le diverse strategie.


6. Determinare se stanno emergendo nuovi sintomi comportamentali: i sintomi comportamentali e lo stress del caregiver devono essere verificati su base regolare, e il controllo deve essere continuo, scrivono gli autori.

 

Essi rilevano che i sistemi di rimborso [pubblici e/o assicurativi] e di assistenza non sostengono adeguatamente le terapie non farmacologiche. "Medici indaffarati possono avere difficoltà a integrare le 6 fasi nelle brevi visite ai pazienti. Tuttavia, si può affontare questo problema formando un team di demenza con altri operatori sanitari", concludono.

 

Questo programma è reso possibile da un finanziamento della Fondazione SCAN. Il Dr. Gitlin ha ammesso di ricevere sostegno finanziario per la ricerca riportata in questo articolo dal National Institute on Aging, dal Department of Health Tobacco Settlement della Pennsylvania, dall'Istituto Nazionale di Salute Mentale, e dall'Alzheimer's Association. Inoltre è stato sostenuto dall'Alzheimer's Disease Research Center della Johns Hopkins oltre a essere membro del Fall Advisory Committee for Phillips Lifeline. Un co-autore è stato sostenuto dall'Alzheimer Disease Research Center della Johns Hopkins e ha rivelato sovvenzioni dal National Institute of Mental Health, National Institute on Aging, dall'Associated Jewish Federation of Baltimore, dalla Fondazione Weinberg, e dalle aziende farmaceutiche Forest, GlaxoSmithKline, Eisai, Pfizer, AstraZeneca, Lilly, Ortho-McNeil, Elan, Bristol-Myers e Novartis, dalla National Football League (NFL), e da Functonal Neuromodulation Inc; inoltre è consulente di AstraZeneca, GlaxoSmithKline, Eisai, Novartis, Forest, Supernus, Adlyfe, Takeda, Wyeth, Lundbeck, Merz, Lilly, Pfizer, Genentech, Elan, NFL Players Association, NFL Benefits Office, Avanir e Zinfandel; e riceve onorari o rimborsi spese da Pfizer, Forest, GlaxoSmithKline e Health Monitor. Il terzo autore non ha citato alcuna relazione finanziaria rilevante.

 

 

 

 

 

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Riferimento: Laura N. Gitlin, PhD, Helen C. Kales, MD, Constantine G. Lyketsos, MD, MHS. Nonpharmacologic Management of Behavioral Symptoms in Dementia. JAMA. 2012;308(19):2020-2029. doi:10.1001/jama.2012.36918

Pubblicato da Pauline Anderson in MedScapeToday il 27 Dicembre 2012 - Traduzione di Franco Pellizzari.

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