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Bilinguismo e demenza: alcuni pazienti perdono la 2a lingua e riscoprono la 1a

Hola ciao bilingualism

Per molte persone con demenza, i ricordi della prima infanzia sembrano più vivi del loro fragile senso del presente. Ma cosa succede quando il presente è vissuto attraverso un linguaggio diverso da quello parlato durante l'infanzia? E come potrebbero caregiver e case di cura far fronte all'ulteriore livello di complessità nella cura di persone bilingue che vivono con la demenza?


Questo non è rilevante solo per le persone con demenza e per coloro che si occupano di loro. Può fornire informazioni sulla mente umana che sono ugualmente importanti per i ricercatori del cervello, per gli scienziati sociali e perfino per gli artisti.


Questo rapporto tra la demenza e il bilinguismo è stato al centro di un simposio tenutosi di recente a Glasgow. Mettendo insieme professionisti sanitari, volontari, attivisti della comunità, ricercatori di demenza, esperti di traduzione, scrittori e attori, l'incontro è stato organizzato intorno a un nuovo lavoro teatrale del gruppo di lingua gaelica Theatre Tog-ì.


La rappresentazione Five to Midnight (cinque a mezzanotte) gira attorno a una madrelingua gaelica dalle Ebridi Esterne il cui inglese inizia a svanire con lo sviluppo della demenza. Il marito di lingua inglese si trova sempre più tagliato fuori dalla moglie mentre lei si ritira nel passato e in una lingua che lui non capisce. Il dolore e la frustrazione della coppia per la loro incapacità di comunicare è straziante.

 

 

Salute, benessere e cultura

È diventato ben presto chiaro nel simposio che il soggetto di minoranza linguistica trattato dal dramma non è un caso raro e isolato, ma piuttosto è legato a una gamma più ampia di temi importanti come la salute, il benessere e la conservazione del patrimonio culturale per le generazioni future.


Abbiamo sentito storie di persone che lavorano in case di cura in Irlanda, Scozia e Galles che raccontavano come persone bilingue con forme avanzate di demenza e quasi nessuna competenza linguistica residua, sono state trasformate da operatori di assistenza che potevano parlare la lingua madre del paziente. Come per molte persone con demenza, la musica e il canto erano spesso le chiavi per sbloccare il flusso di parole e ricordi.


In Galles, dove si stima che siano 891.000 le persone che parlano gallese, il problema dell'invecchiamento dei bilingui con demenza è molto più grave di quanto sia in Scozia. Una soluzione è stata quella di mettere targhette magnetiche “parlo gallese” sui letti ospedalieri di chi parla quella lingua, in modo che il personale che parla la stessa lingua sa di poter comunicare con i pazienti nella loro lingua madre.


Il bilinguismo nel contesto della demenza colpisce milioni di migranti in tutto il mondo. Se i genitori hanno abbandonato la loro lingua originale per parlare solo inglese (o la lingua dominante del loro paese di adozione) con i loro figli, intere generazioni crescono tagliate fuori dal loro patrimonio culturale, incapaci di parlare la lingua dei loro genitori.


Il che significa che gli immigrati di prima generazione che sviluppano la demenza possono arrivare a non riuscire a comunicare con i propri figli mentre ritornano alla lingua della loro gioventù. Al simposio, un membro di un'azienda locale di lingue chiamata Lingo Flamingo, ha spiegato è per questo che organizza programmi amichevoli per anziani e pazienti con demenza, usando lingue come il Punjabi, parlata da persone di origine indiana e pakistana.


Gli ambienti diversi di provenienza dei nostri partecipanti al workshop ha implicato che è stata discussa una vasta gamma di argomenti, compreso il problema del linguaggio e della traduzione nella valutazione cognitiva e nella diagnosi, la scienza del cervello dietro il bilinguismo, il linguaggio appropriato e l'assistenza rilevante per cultura, lingua e identità, la perdita e la riscoperta della cultura e della lingua, e la condivisione delle lingue minoritarie all'interno delle famiglie.


Il workshop ha anche esplorato il ruolo delle arti nello sensibilizzare l'opinione pubblica sulla realtà del demenza in relazione al linguaggio, oltre a fornire sbocchi creativi per i pazienti e i loro caregiver bilingui. Come ha dimostrato Five to Midnight, le storie umane che può raccontare l'arte sono un modo coinvolgente e che colpisce per educare il pubblico sulla demenza.

 

 

La diversità linguistica

La Gran Bretagna spesso si immagina un paese monolingue di lingua inglese, ma oltre alla minoranza di lingue celtiche native ci sono bi/multilingue da tutto il mondo nella maggior parte delle grandi città del Regno Unito. Lo stesso vale per molti altri paesi: la diversità linguistica è in realtà molto più comune in tutto il mondo della presenza di un unico linguaggio.


La perdita di competenze linguistiche è un effetto comune della demenza, e la ricerca suggerisce che le sfide risultanti possono essere più complesse per i pazienti bilingui con demenza e per i loro caregiver. Come ha rivelato il nostro simposio, identificare questa complessità è un primo passo per affrontare la questione a un livello politico e pratico.


Tuttavia, il workshop ha anche esplorato gli effetti positivi del bilinguismo nel contesto di demenza. La ricerca in paesi come l'India ha dimostrato che le persone che parlano più di una lingua tendono a sviluppare la demenza da quattro a cinque anni più tardi.


Questi risultati sono in linea con molti altri studi, il che suggerisce un declino più lieve correlato all'età nella capacità cognitive e un migliore recupero della funzione del cervello dopo l'ictus in coloro che sono bilingue. Quindi è importante che noi non vediamo il bilinguismo come parte del problema, ma come una parte potenziale della soluzione.


Che ci avviciniamo alla questione dal punto di vista della fornitura di salute e assistenza, oppure della scienza del cervello o dell'arte e della letteratura, il nostro incontro ha mostrato la necessità di considerare tutte le lingue parlate da una sola persona come parte integrante di quello che è, nella malattia e nella salute.

 

 

 


Fonte: David Murphy (professore Università di Strathclyde), Aedin Ni Loingsigh (docente Università di Stirling), Ingeborg Birnie (docente Università di Strathclyde) e Thomas H. Bak (docente Università di Edimburgo)

Pubblicato su The Conversation (> English text) - Traduzione di Franco Pellizzari.

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Liberatoria: Questo articolo non propone terapie o diete; per qualsiasi modifica della propria cura o regime alimentare si consiglia di rivolgersi a un medico o dietologo. Il contenuto non rappresenta necessariamente l'opinione dell'Associazione Alzheimer onlus di Riese Pio X ma solo quella dell'autore citato come "Fonte". I siti terzi raggiungibili da eventuali collegamenti contenuti nell'articolo e/o dagli annunci pubblicitari sono completamente estranei all'Associazione, il loro accesso e uso è a discrezione dell'utente. Liberatoria completa qui.

Nota: L'articolo potrebbe riferire risultati di ricerche mediche, psicologiche, scientifiche o sportive che riflettono lo stato delle conoscenze raggiunte fino alla data della loro pubblicazione.


 

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