Passo dal ritiro bagagli dell'aeroporto di Dallas al calore primordiale, e aspetto una navetta per recarmi al noleggio auto, al buio, con due sconosciuti. Mancano dieci minuti a mezzanotte, un Giovedi notte.
So che gli sportelli del noleggio auto chiudono a mezzanotte. Fisso le corsie della strada vuote, vorrei che arrivasse la navetta, con la speranza che uno dei noleggi auto possa rimanere aperto fino a tardi, così da riuscire a guidare stasera fino a casa di mia sorella, dove resterò per cinque notti.
Questo è il viaggio che faccio cinque o sei volte l'anno per aiutare ad assistere mia madre, andando in auto all'aeroporto di Philadelphia, dopo aver finito di insegnare al corso pomeridiano dell'Università, e saltando su un aereo.
Con il declino sempre più profondo di mia madre dentro l'Alzheimer, mia sorella ed io stiamo cercando di capire come prenderci cura di lei insieme. Il mio compito richiede che io assuma qualcuno per insegnare alle mie classi, che lasci la mia famiglia, e che voli tre ore per tratta.
Io sto con la mamma cinque intensi giorni di 12 ore l'uno: la accompagno dai suoi medici, pulisco i suoi vestiti, organizzo i suoi armadi e cassetti, la porto al ristorante e a passeggiare, la tengo in collegamento con i suoi amici, e le assicuro quello che lei chiama "un cambiamento", qualcosa di esotico nella sua vita sempre più monotona. Per mia sorella, che vive a Dallas, il mio arrivo rappresenta una pausa. Anche se Julie non passa periodi così pieni con la mamma, lei ne monitora i medici, paga i suoi conti, fa la spesa; Julie è quella che si alza ogni giorno sapendo di essere in servizio.
Io e mia sorella abbiamo incontrato un intoppo. Per diversi mesi abbiamo combattuto su uno dei medici della mamma. Lei mi ha detto che non le piace il suo medico di base e, francamente, non piace nemmeno a me. Sembra condiscendente e io non sono convinta che riceva sempre questa grande assistenza. Non riesco a capire se la mamma ha parlato a Julie di come si sente con questo medico. La mamma ci dice spesso due cose diverse, forse perché non riesce a ricordare quello che ha detto. Non lo so, ma sono atterrata a Dallas determinata a cambiare il medico della mamma. Ma Julie rifiuta. Il suo studio è comodo. Conosce la storia della madre. Julie afferma che è un medico conosciuto e apprezzato.
Mezz'ora dopo, questo è quello che sto pensando mentre guido nel piatto di spaghetti di superstrade che si incrociano appena fuori l'aeroporto. Così esco nel posto sbagliato, e me ne rendo conto solo dopo non aver riconosciuto per diverse miglia i punti di riferimento. In preda al panico sono uscita impulsivamente di nuovo. E ancora. In poco tempo mi trovo a guidare verso ovest (credo) lontano da Dallas.
Mentre cerco di orientarmi, l'intera fila di luci sopra la mia testa lampeggia nella notte. Non ho un GPS. Non riesco a capire come accendere le luci interne nella piccola Fiesta. E' passata l'una di notte. Penso di accostare, bloccare le porte, e cercare di dormire. Ma so che è una idea stupida e pericolosa. Sono esausta, smarrita e furiosa con mia sorella.
Questo è il dilemma di fratelli e sorelle che si occupano insieme di un genitore. Io ero la figlia fuori città. Julie era la figlia che viveva in città. Julie si sentiva spesso sovraccarica. Io a volte mi sentivo esclusa. Avevamo compiti molto asimmetrici.
Fin dall'inizio i nostri ruoli all'interno della famiglia erano molto diversi. Era la mamma che ha creato quei ruoli. Io ero la più anziana. La mamma mi aveva pensata musicista, docente, la pecora nera. Sembravo la famiglia di nostro padre morto. Julie era quella pratica che risolveva i problemi, quella che sapeva far funzionare la casa, la figlia arguta, vera e propria copia del nonno materno.
Se la mamma era quella che aveva definito i nostri ruoli quando eravamo giovani, lei era anche responsabile della maggior parte dei collegamenti tra me e mia sorella. Celebravamo il Natale a casa sua, per esempio. Lei si occupava del programma e della maggior parte della cottura. E anche in estate era la rotonda attorno alla quale girano i treni.
Poi, all'improvviso, non è riuscita più a pianificare, a cucinare, a negoziare tra noi due. In realtà, è diventata il progetto su cui Julie ed io dovevamo collaborare. Improvvisamente noi sorelle eravamo da sole insieme, ognuna vedeva nostra madre da un punto di vista diverso: discutendo su ciò che era meglio per lei, sentendo la sofferenza, cercando di elaborare una relazione una con l'altra.
Non credo che questa storia sia insolita. Nel prendersi cura di un genitore non esiste una cosa come la parità assoluta tra fratelli. In ogni famiglia ai figli vengono assegnati ruoli che potrebbero non aver voluto: il bambino accademico, il bambino sportivo, il bambino sociale, il geek [lo sfigato]. Anche le fortune economiche dei fratelli sono diverse, e se il genitore fa affidamento sui suoi figli per il sostegno finanziario, la lotta, caso mai, diventa più grande. A seconda dell'ordine di nascita e dell'area del paese dove vivono i fratelli, anche con la migliore volontà del mondo, possono raggiungere conclusioni molto diverse su ciò di cui hanno bisogno i loro genitori.
Come può allora una famiglia prendersi cura insieme di un genitore con Alzheimer?
Anche solo sapere che è normale lottare potrebbe essere parte della soluzione. Io e mia sorella abbiamo combattuto, ma non abbiamo mai tirato fuori i grossi calibri. Eravamo consapevoli che la mamma sarebbe stato presa nel mezzo. Per il suo bene, lentamente ci siamo portate verso i compromessi. Quando mia madre è morta nel 2008, ciò che rimaneva era assolutamente fondamentale: sapere che ci siamo prese cura di lei insieme. E il legame che se è instaurato tra noi due si è rafforzato ed è durato.
Fonte: Jeanne Murray Walker, Ph.D in Psychology Today (> English text) - Traduzione di Franco Pellizzari.
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