Dementia FrustrationNon molto tempo fa ho partecipato ad un convegno sull' "Assistenza Spirituale ai Deteriorati Cognitivamente". Non mi piaceva così tanto il titolo, ma ho capito di cosa trattava il convegno.
Non mi piaceva il titolo, perché identificava le persone con demenza dalla loro malattia, non come persone con una malattia. Ma questo è comune nel settore dell'assistenza sanitaria e anch'io a volte l'ho fatto.
Tuttavia, mentre sedevo nella sessione, il presentatore ha fatto una dichiarazione che ho memorizzato, perché era interessante e su cui ho iniziato a riflettere. La dichiarazione era "il Nord America è una società ipercognitiva che vede lo stato cognitivo come la misura della personalità". In altre parole, nella nostra società la personalità viene valutata in base al proprio stato cognitivo. Più è ridotto lo stato cognitivo di una persona, minore è la personalità che possiede.
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Lavorando con gente che sta vivendo il declino cognitivo e con quelli che si prendono cura di loro, purtroppo devo ammettere che si tratta molte volte di una valutazione accurata. Per essere onesti, anche se questa idea contrasta con ciò che credo della personalità, a volte fatico a considerare come persone quelle il cui declino cognitivo ha quasi raggiunto il fondo.
La chiesa, ad essere onesti, dipende terribilmente dalla cognizione, dai suoi membri ed aderenti che hanno la capacità di pensare correttamente. La chiesa dipende quasi interamente dalle parole, e dalla nostra capacità di comprenderle e rispondere ad esse. La predicazione è un'attività altamente cognitiva. Quindi, indovinate dove questo lascia le persone che una volta erano coinvolte come membri di una chiesa quando le loro capacità cognitive iniziano a diminuire? Di solito le lascia alla deriva ai margini e prima o poi le dimentica, semplicemente perché non sono più viste come una persona di valore.
Questo può sembrare duro e, ad essere onesti, è duro, ma la realtà è troppo spesso dura. Questo approccio alla personalità "spersonalizza" in un modo o in un altro tanti membri della nostra razza. Spersonalizza la persona con demenza e il grado di spersonalizzazione corrisponde circa al grado di declino cognitivo. E' vero anche per le persone nate con capacità cognitiva ridotta o per quelle che soffrono di lesioni cerebrali a causa di ictus o altre lesioni o per altre cause di declino cognitivo.
Come si evidenzia questa spersonalizzazione? Uno dei modi in cui si presenta è che coloro che si prendono cura di una persona con la cognizione menomata spesso parlano della persona quando essa è presente, come se non ci fosse. Questo è facile da fare, visto che la persona non potrà dare alcun contributo alla discussione. Ma l'atto di parlare di una persona come se non fosse neanche presente è spersonalizzante; tratta la persona come un oggetto che non ha pensieri o sentimenti o relazioni.
Un altro modo in cui facciamo ciò, è smettendo di chiedere alla persona con difficoltà cognitive le sue opinioni, le sue simpatie e antipatie, le preferenze o non rispettando ciò che sappiamo essere stato storicamente importante per quella persona. Ad esempio, Joe indossava sempre camicia e cravatta, anche anni dopo essere andato in pensione senza recarsi più in ufficio. Sabato, domenica, martedì, non aveva importanza. Era conosciuto come il camerata che indossava sempre camicia e cravatta. Uno dei modi in cui vedeva se stesso e si differenziava dagli altri era il suo modo di vestirsi. Una volta che l'Alzheimer è arrivato e il suo declino è giunto al punto di aver bisogno di essere in una casa di cura, il personale ha deciso che Joe sarebbe stato molto più a suo agio con una T-shirt. Mi chiedo se la vera ragione non era che era molto più facile vestire Joe con una T-shirt? In ogni caso, ignorando quello che tutti sapevano (che Joe identificava come suo stile indossare camicia e cravatta), il personale ha iniziato il lavoro lento ma costante di spersonalizzare Joe.
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La spersonalizzazione avviene anche quando si sottolinea ciò che una persona non può fare, al punto che non si pensa più chi è quella persona. Le nostre capacità cambiano nel corso della nostra vita. Quando avevo un anno, avevo certe abilità, erano diverse da quelle che avevo quando avevo sette anni e ancora diverse da quelle che avevo a 16 anni e ancora diverse a 24 anni, e di nuovo quando ne avevo 45 e di nuovo a 60; credo che ci siamo. Ma solo perché le mie capacità cambiano non significa che divento una persona migliore o peggiore. La personalità non si misura dalle abilità o disabilità.
Allora cos'è la personalità? Un dizionario la definisce "lo stato o la condizione di essere una persona, o essere umano individuale". Non di grande aiuto. Un altro: "la personalità è il riconoscimento culturale e giuridico dei diritti uguali e inalienabili degli esseri umani". Meglio, ma ancora piuttosto dottrinale. Proviamo questo: "Personalità è lo stato di essere un singolo membro della razza umana, a causa dei diritti e delle libertà che sono insite nell'essere umano". Quando con mia moglie ho portato i nostri ragazzi a casa dall'ospedale, è stato subito evidente che erano individui. Erano diversi, eppure gli stessi. Erano persone, ma uniche. Man mano che crescevano e si sviluppavano, questo è diventato ancora più evidente. In ogni fase della loro vita, ora trentenni, i miei ragazzi hanno dimostrato, non per volontà o decisione, ma per la loro intrinseca personalità, che sono individui unici e speciali, con gusti e preferenze diverse, con diversi livelli di abilità nelle varie aree. E nessuna di queste differenze rende una persona migliore dell'altra.
Ho la sensazione che il problema reale che si traduce nello spersonalizzare le persone con declino cognitivo è il nostro disagio con il cambiamento. Non sappiamo come relazionarci, parlare diventa sempre meno utile e la maggior parte di noi hanno così pochi strumenti relazionali oltre alla parola. Quindi, nel nostro disagio, cominciamo a vedere queste persone care in modo diverso, come inferiori, come miserevoli. Cominciamo a oggettivarle; andiamo verso ciò che è facile, invece di quello che potrebbe onorare ciò che sappiamo essere vero della loro personalità.
Che cosa possiamo fare quindi al riguardo? Beh, quelli di noi che hanno ancora le capacità cognitive, possono imparare. Possiamo leggere sella demenza, non solo la letteratura medica sulla sua causa e il trattamento, ma leggere le storie di coloro che l'hanno sperimentata nelle relazioni personali, parlare con le persone che vivono con essa nella realtà, trovare alcuni modelli di ruolo che riescono a mantenere la personalità dei loro cari anche dopo che la loro capacità cognitiva è scivolata via. Imparare a parlare con il cuore, un linguaggio che non ha bisogno di parole per farsi capire. Imparare a toccare, prendere coscienza del proprio viso e dei gesti del corpo; il linguaggio emozionale non si perde con la demenza.
Impegnarsi in conversazioni, anche se ciò che l'altro sta dicendo non ha alcun senso. C'è una ragazza dolce che visito una o due volte alla settimana. Qualche volta esce una parola comprensibile, ma per la maggior parte del tempo non so quello che mi sta raccontando. Ma ho fatto pratica di conversazione con lei, rispondo alle sue emozioni, all'inflessione della sua voce, alle sue espressioni facciali e, talvolta, abbiamo meravigliose conversazioni per 15 minuti. Lei è soddisfatta, come lo sono io, e la sua personalità è onorata.
Sì, la nostra cultura è diventata ipercognitiva. Apprezziamo così tanto il pensiero e il linguaggio che, se una persona non è più in grado di relazionarsi come dovrebbe, la possiamo facilmente respingere come sotto-umana. Possiamo emarginarla perché crediamo che una persona abbia valore solo nella misura in cui può dare un contributo ragionante alla società. Beh, vergogna su di noi. Se la regola d'oro significa qualcosa, penso che significhi in realtà che noi dobbiamo trattare gli altri come vorremmo essere trattati.
Se ti dovesse essere diagnosticata la demenza o avere un ictus che non ti rende più in grado di parlare o hai una lesione cerebrale che ti lascia senza capacità cognitive - come vorresti essere trattato? Spero e prego che coloro che mi conoscono e mi amano mi trattino con dignità e rispetto, anche se le mie capacità sono compromesse e diminuite dalla demenza, da un ictus o da qualche altra lesione cerebrale. Penso che tu ti auguri lo stesso.
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***********************Larry HirstScritto da Larry Hirst per il "Chaplain's Corner" [L'angolo del cappellano]
Pubblicato in MySteinbach.ca il 9 Settembre 2012 - Traduzione di Franco Pellizzari.
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