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Negli ultimi due secoli, i vaccini sono stati fondamentali per prevenire le malattie infettive. L'Organizzazione Mondiale della Sanità stima che la vaccinazione impedisca tra 3 e 5 milioni di decessi ogni anno per malattie come difterite, tetano, influenza, morbillo e, più recentemente, Covid-19.
Mentre c'è stato un ampio consenso scientifico che i vaccini prevengono o mitigano la diffusione delle infezioni, nuove ricerche suggeriscono che l'impatto terapeutico potrebbe andare oltre il vantaggio di prevenire le malattie infettive. Uno studio dell'aprile 2025 pubblicato su Nature ha trovato prove allettanti che il vaccino per l'herpes zoster - o fuoco di Sant'Antonio - potrebbe ridurre fino al 20% del rischio di demenza nella popolazione generale.
Siamo un team di ricercatori medici con esperienza nella scienza clinica e di base dei disturbi neurodegenerativi e della demenza. Riteniamo che questo studio potenzialmente apra la porta ad altre scoperte nella comprensione e nel trattamento della demenza e di altri disturbi degenerativi del cervello.
Ruolo dei vaccini nella riduzione del rischio di demenza?
Una delle principali sfide che i ricercatori affrontano quando cercano di studiare gli effetti dei vaccini è trovare un "gruppo di controllo" non vaccinato per il confronto - un gruppo simile al gruppo di vaccini sotto tutti gli aspetti, salvo il fatto che non hanno ricevuto il vaccino attivo. Questo perché non è etico assegnare alcuni pazienti al gruppo di controllo e privarli della protezione del vaccino contro una malattia come l'herpes zoster.
Lo studio su nature ha approfittato di un cambiamento politico in Galles che è entrato in vigore nel 2013, secondo il quale le persone nate il, o dopo il, 2 settembre 1933, erano ammissibili alla vaccinazione contro l'herpes zoster per almeno un anno, mentre quelli nati prima di quella data soglia non lo erano. Il vaccino è stato somministrato per prevenire l'herpes zoster, una condizione dolorosa causata dallo stesso virus che causa la varicella, che può essere dormiente nel corpo e riattivarsi più tardi nella vita.
I ricercatori hanno usato il cambiamento politico come una sorta di laboratorio naturale per studiare l'effetto della vaccinazione anti herpes zoster sugli esiti sanitari a lungo termine. In un'analisi statisticamente sofisticata delle cartelle cliniche, il team ha scoperto che il vaccino ha ridotto la probabilità di demenza di un quinto per un periodo di sette anni. Ciò significa che le persone che hanno ricevuto il vaccino contro l'herpes zoster avevano meno probabilità di sviluppare la demenza clinica nei 7 anni dello studio e le donne hanno beneficiato più degli uomini.
Il progetto dello studio ha permesso ai ricercatori di confrontare due gruppi senza privare attivamente uno dei gruppi della vaccinazione. I due gruppi erano anche di età comparabile e avevano simili comorbidità mediche, che significa tassi simili di altre condizioni mediche come il diabete o la pressione alta. I risultati di questo e di altri studi correlati aumentano la possibilità che i vaccini possano avere un ruolo più ampio nelle terapie sperimentali al di fuori del regno delle malattie infettive. Questi studi sollevano anche domande provocatorie su come funzionano i vaccini e su come il nostro sistema immunitario può potenzialmente prevenire la demenza.
Come i vaccini potrebbero essere protettivi
Una spiegazione scientifica per la riduzione della demenza da parte del vaccino contro l'herpes zoster potrebbe essere la protezione diretta contro il virus dell'herpes zoster, che può avere un ruolo nell'esacerbare la demenza. Tuttavia, esiste anche la possibilità che il vaccino possa aver conferito protezione attivando il sistema immunitario e fornendo 'immunità allenata', per cui il sistema immunitario è rafforzato da un'esposizione ripetuta a vaccini o virus.
Lo studio non ha distinto tra diversi tipi di demenza, come quella dovuta al morbo di Alzheimer (MA) oppure dall'ictus. Inoltre, da un'analisi delle sole cartelle cliniche i ricercatori non possono trarre conclusioni definitive su possibili meccanismi su come i vaccini potrebbero essere protettivi.
Il prossimo passo sarebbe uno studio prospettico, randomizzato, in doppio cieco, controllato con placebo, per esaminare direttamente come l'herpes zoster si confronta con un placebo nella capacità di ridurre il rischio di demenza nel tempo. Tali studi sono necessari prima che qualsiasi vaccino, come qualsiasi altra potenziale terapia, possa essere raccomandato per l'uso clinico di routine nella prevenzione della demenza.
Le sfide del districare la demenza
La demenza è una delle principali malattie non trasmissibili tra le prime cause di morte in tutto il mondo. Uno studio del gennaio 2025 ha fornito dati aggiornati sul rischio di demenza a vita attraverso diversi sottoinsiemi della popolazione degli Stati Uniti. I ricercatori stimano che il rischio di demenza dopo i 55 anni sia del 42%, più del doppio delle stime precedenti. Il rischio di demenza era del 4% a 75 anni e del 20% a 85 anni, con la maggior parte del rischio che si verifica dopo 85 anni.
I ricercatori hanno previsto che il numero di nuovi casi di demenza negli Stati Uniti raddoppierà nei prossimi 4 decenni da circa 514.000 casi nel 2020 a 1 milione nel 2060. Un tempo considerata una malattia in gran parte limitata al mondo sviluppato, gli effetti deleteri della demenza sono ora evidenti in tutto il mondo, man mano che l'aspettativa di vita aumenta in molti paesi in precedenza in via di sviluppo.
Mentre ci sono diverse forme di demenza con diverse manifestazioni cliniche e neurobiologia sottostante, quella dovuta al MA è la più comune. Studi prospettici che verificano specificamente come un vaccino cambia il rischio di demenza futura possono trarre vantaggio dallo studio delle popolazioni di pazienti con tipi specifici di demenza, perché ogni versione della demenza potrebbe richiedere trattamenti diversi.
Sfortunatamente, negli ultimi due o tre decenni, l'ipotesi amiloide del MA - che propone che l'accumulo di una proteina chiamata amiloide nel cervello contribuisce al disturbo - ha dominato la conversazione scientifica. Di conseguenza, la maggior parte degli sforzi nelle terapie sperimentali del MA si sono concentrate su farmaci che abbassano i livelli di amiloide nel cervello. Tuttavia, i risultati ottenuti fino ad oggi sono stati modesti e deludenti. Le due terapie che abbassano l'amiloide recentemente approvate hanno solo un impatto minimo sul rallentamento del declino, sono costose e hanno effetti collaterali potenzialmente gravi.
E nessun farmaco attualmente approvato negli USA dalla FDA per l'uso clinico inverte il declino cognitivo. Studi basati sulle cartelle cliniche suggeriscono che l'esposizione passata ai virus aumenta il rischio di demenza, mentre i vaccini di routine, compresi quelli contro il tetano, la difterite, la pertosse, la polmonite, l'herpes zoster e altri, riducono il rischio.
Innovazione e mente aperta
A volte c'è una tendenza tra gli scienziati ad aggrapparsi a modelli più vecchi e familiari di malattia e una riluttanza a muoversi in direzioni non più convenzionali. Tuttavia, il processo scientifico ha un modo di insegnare ai ricercatori come noi l'umiltà, ad aprire le nostre menti a nuove informazioni, a imparare dai nostri errori e ad andare dove tali dati ci portano nella nostra ricerca di terapie efficaci e salvavita.
I vaccini possono essere uno di quei percorsi meno usati. È una possibilità entusiasmante che può aprire la porta ad altre scoperte nella comprensione e nel trattamento dei disturbi degenerativi del cervello.
Fonte: Anand Kumar (professore e capo dipartimento di psichiatria) e Jalees Rehman (presidente dipartimento e professore di biochimica e genetica molecolare), Università dell'Illinois di Chicago
Pubblicato su The Conversation (> English) - Traduzione di Franco Pellizzari.
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