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Si possono usare i periciti per contrastare l'Alzheimer?

Si possono usare i periciti per contrastare l'Alzheimer?Le lunghe braccia dei periciti (in rosso) sembrano drappeggi sopra i capillari (in blu) nel cervello (Fonte: Dr. Andy Shih, Medical University of South Carolina)Ricercatori dell'Università Medica della Carolina del Sud (MUSC) hanno riferito ieri 2 gennaio 2018 su Cell Reports che i periciti, un tipo poco noto di cellule dei vasi sanguigni del cervello, crescono nello spazio vuoto lasciato quando i periciti vicini muoiono.


Tale crescita è una sorta di plasticità cerebrale che potrebbe essere imbrigliata per combattere i disturbi vascolari legati all'età, come il morbo di Alzheimer e l'ictus.


I periciti, un tipo di cellula murale, appaiono nelle immagini microscopiche come se fossero dipinti sulla superficie dei vasi sanguigni. Essi aiutano i vasi sanguigni a maturare mentre il cervello cresce; tuttavia, si sa molto poco su come funzionano nel cervello adulto. Si pensa che mantengano la barriera emato-encefalica, una struttura che aiuta a prevenire l'ingresso nel cervello di sostanze indesiderate attraverso il flusso sanguigno.


I periciti muoiono in grandi quantità durante l'ictus, il morbo di Alzheimer e altri disturbi cerebrali che tendono ad affliggere gli adulti che invecchiano. Eppure gli scienziati non sanno quanti tipi diversi ci sono di periciti o quali funzioni ha ognuno di essi, secondo Andy Y. Shih PhD, assistente professore nel Dipartimento di Neuroscienze della MUSC e primo ricercatore del progetto.


"I periciti sono probabilmente le cellule meno capite tra quelle che comprendono l'unità neurovascolare, che forma le pareti dei vasi sanguigni nel cervello", ha detto Shih, che è interessato a ciò che fanno i periciti nel cervello adulto e perché sembrano così vulnerabili all'ictus e all'Alzheimer.


Per lo studio sono stati modificati geneticamente dei topi adulti in modo che i loro periciti cerebrali brillassero sotto un potente microscopio a due fotoni. Usando questa tecnica, Shih e la dottoranda Andrée-Anne Berthiaume, che ha eseguito gli esperimenti, sono riusciti a scattare per diverse settimane delle foto dettagliate e a vedere cosa succedeva nel cervello quando perdeva dei periciti.


Nei topi vivi, i periciti apparivano come corpi cellulari ovali situati spesso vicino alle giunzioni dove si intersecavano due capillari, con lunghi bracci simili a tentacoli chiamati 'processi' che si estendono verso l'esterno lungo i capillari. Le punte di quelle lunghe braccia sembrano quasi toccare le punte dei loro vicini, così che queste insolite cellule formano una grande struttura non sovrapposta che ricopre gran parte dei capillari. Tuttavia non era ancora chiaro cosa sarebbe successo se si perdeva una delle cellule di questa vasta struttura.


Per studiare cosa succede quando si perde un pericita, il team di Shih ha usato un raggio laser di precisione per bruciare un singolo pericita alla volta, un processo chiamato «ablazione». Curiosamente, quando un pericita era reciso, il capillare a cui era aggrappato sembrava dilatarsi. Mentre i ricercatori bruciavano altri periciti e collezionavano più immagini nel tempo, osservavano uno schema curioso: per un periodo di giorni o settimane, i processi dei periciti vicini crescevano fino a coprire i capillari in cui i periciti erano stati sottoposti ad ablazione.


Quei capillari poi riguadagnavano il loro tono normale, il che implicava che non erano più dilatati. Quando i loro vicini erano persi, i periciti superstiti sembravano subentrare nel compito di mantenere tonici i capillari, una caratteristica essenziale per mantenere sano il flusso sanguigno nel cervello.


Le immagini catturate dal gruppo di Shih dei periciti che estendono le braccia per coprire i capillari esposti sono le prime del loro genere. "La maggior parte dei metodi per studiare i periciti ti dà un'istantanea nel tempo: essere in grado di farlo dinamicamente nel cervello di un animale vivo è un importante passo avanti", ha detto Shih.


E' stato sorprendente che la perdita di singoli periciti non ha indebolito la barriera emato-encefalica, come previsto. Shih ipotizza che altri tipi di cellule che si espandono più rapidamente verso i siti danneggiati nel cervello, come le cellule microgliali, agiscano rapidamente per proteggere i capillari dove sono stati bruciati i periciti.


A differenza delle cellule microgliali, che devono restringere parti di loro stesse per raggiungere i siti feriti, i periciti diventano più grandi per occupare il territorio lasciato dai vicini perduti. Eppure Shih sospetta che ci sia un limite alla quantità di periciti che possono crescere per compensare i loro vicini persi.


Sebbene questi risultati dimostrino che i periciti possono assumere il compito di sostenere il tono capillare quando un singolo vicino viene perso, non è ancora chiaro cosa succede quando un numero maggiore di periciti muore, come succede nell'Alzheimer o nell'ictus.


L'Alzheimer's Association sta finanziando i prossimi passi di Shih, che includono la verifica della salute dei vasi sanguigni nel cervello quando un numero maggiore di periciti viene ucciso. Shih e il suo gruppo stanno anche studiando la plasticità dei periciti, come si fanno strada attraverso il denso tessuto capillare che si è evoluto per fermare il passaggio anche di piccole molecole.


Risolvere quell'enigma potrebbe rivelare i modi per facilitare la nuova crescita dei periciti, che a sua volta potrebbe combattere il tipo di disfunzione dei vasi sanguigni tipico dell'Alzheimer e dell'ictus. "Ci sono modi per aumentare questa plasticità, per proteggerla e stabilizzarla, se necessario? Ci sono i meccanismi che guidano tutto questo, e dobbiamo capirli", ha detto Shih.

 

 

 


Fonte: Medical University of South Carolina via EurekAlert! (> English text) - Traduzione di Franco Pellizzari.

Riferimenti: Andrée-Anne Berthiaume, Roger I. Grant, Konnor P. McDowell, Robert G. Underly, David A. Hartmann, Manuel Levy, Narayan R. Bhat, Andy Y. Shih. Dynamic Remodeling of Pericytes In Vivo Maintains Capillary Coverage in the Adult Mouse Brain. Cell Reports, Volume 22, Issue 1, p8–16, 2 January 2018. DOI: 10.1016/j.celrep.2017.12.016

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