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Perdita udito: il cervello assegna l'area uditiva ad altri compiti e prepara il declino cognitivo

Perdita udito: il cervello assegna l'area uditiva ad altri compitiGli adulti con perdita di udito iniziale legata all'età (a destra) mostrano una minore attivazione della parte uditiva del cervello rispetto ai coetanei con udito normale (a sinistra). Fonte: Anu Sharma

I ricercatori della University of Colorado suggeriscono che la parte del cervello dedicata all'udito può essere riorganizzata (riassegnata ad altre funzioni) anche all'inizio della perdita di udito, e può avere un ruolo nel declino cognitivo.


Anu Sharma, del Dipartimento di Linguaggio e Scienze Uditive dell'Università del Colorado, ha applicato i principi fondamentali della neuroplasticità, la capacità del cervello di creare nuove connessioni, per determinare le modalità con cui esso si adatta alla perdita dell'udito, così come le conseguenze di tali modifiche. Le scoperte sono state presentate alla 169a riunione della Acoustical Society of America (ASA) ieri, 19 Maggio 2015, a Pittsburgh.


Il lavoro del gruppo della Sharma è centrato sulle registrazioni elettroencefalografiche (EEG) di adulti e bambini con sordità e ipoacusia lieve, per acquisire conoscenze sui modo in cui risponde il loro cervello, in confronto a quello delle persone con un udito normale. Le registrazioni EEG comportano l'inserimento di molti minuscoli sensori (fino a 128) sul cuoio capelluto, permettendo ai ricercatori di misurare l'attività cerebrale in risposta al suono simulato, secondo la Sharma.


La simulazione dei suoni, come sillabe vocali registrate, viene trasmessa mediante altoparlanti, per suscitare una risposta sotto forma di "onde cerebrali" che hanno origine nella corteccia uditiva (il centro più importante per l'elaborazione della voce e del linguaggio) e in altre aree del cervello. "Possiamo esaminare alcuni biomarcatori del funzionamento corticale, che ci dicono come funziona la parte uditiva del cervello di una persona sorda rispetto ad una con udito normale", ha detto la Sharma.


Lei e altri ricercatori hanno di recente scoperto che le aree del cervello responsabili dell'elaborazione visiva o tattile possono reclutare, o prendere il controllo delle aree in cui di solito è elaborato l'udito, ma che ricevono poca o nessuna stimolazione nella sordità. Questa si chiama riorganizzazione corticale "inter-modale" e riflette la proprietà fondamentale del cervello di effettuare delle compensazioni in risposta al suo ambiente.


"Abbiamo scoperto che questo tipo di adattamento compensatorio può diminuire in modo significativo le risorse disponibili del cervello per elaborare il suono e può influenzare la capacità di un paziente sordo di percepire in modo efficace il discorso con il suo impianto cocleare", ha detto la Sharma. Gli impianti cocleari sono dispositivi impiantati che non usano le parti danneggiate dell'orecchio e stimolano direttamente il nervo uditivo. I segnali generati dall'impianto vengono inviati attraverso il nervo uditivo al cervello, che riconosce i segnali come suoni, secondo il National Institutes of Health.


La Sharma, con i suoi studenti Julia Campbell e Garrett Cardon, hanno scoperto di recente anche che "il reclutamento inter-modale della parte uditiva del cervello da parte dei sensi della vista e del tatto avviene non solo nei pazienti sordi, ma è evidente anche negli adulti con un grado solo lieve di perdita di udito". "Le aree uditive del cervello si restringono in caso di perdita di udito legata all'età", ha continuato. "I centri del cervello che sono di solito usati per le decisioni di livello più alto sono poi attivate solo per sentire i suoni".


Il lavoro del gruppo suggerisce che la parte del cervello usata per l'udito può essere riorganizzata, anche nelle prime fasi della perdita di udito legata all'età. E "questi cambiamenti compensativi aumentano il carico complessivo sul cervello degli adulti che invecchiano", ha detto la Sharma. Questa scoperta ha importanti implicazioni cliniche per lo sviluppo di programmi di screening precoce per la perdita dell'udito negli adulti.


"La riorganizzazione cerebrale compensativa a seguito della perdita di udito può anche essere un fattore che spiega i recenti rapporti nella letteratura che dimostrano che la perdita di udito legata all'età è significativamente correlata con la demenza"
, ha detto la Sharma.


Inoltre, i risultati suggeriscono che la perdita di udito legata all'età deve essere presa sul serio, anche nelle prime fasi. "Un over-60 su tre ha perdita di udito legata all'età", ha osservato la Sharma. "Dato che anche gradi minimi di perdita di udito possono causare cambiamenti secondari nel cervello, devono essere considerati esami dell'udito per gli adulti e interventi in forma di apparecchi acustici molto prima, per proteggere dalla riorganizzazione del cervello".


Il gruppo della Sharma ha dimostrato che la registrazione del funzionamento del cervello nei pazienti con impianti cocleari è uno strumento prezioso per aiutare a prevederne gli esiti. "Se un bambino sordo mostra una riorganizzazione inter-modale (per esempio per mezzo della vista), questo ci permette di determinare la strategia ottimale di riabilitazione per quel particolare bambino", ha detto.


In seguito la Sharma e i colleghi continueranno ad esplorare aspetti fondamentali della neuroplasticità nella sordità che possono contribuire a migliorare gli esiti per i bambini e gli adulti con la perdita uditiva e sordità.


"Il nostro obiettivo è sviluppare tecnologie EEG user-friendly, per consentire ai medici di 'visualizzare' facilmente il cervello dei singoli pazienti con perdita di udito, per stabilire se e in che misura il loro cervello è diventato riorganizzato", ha detto. "In questo modo, il progetto di riorganizzazione del cervello può guidare l'intervento clinico per i pazienti con perdita di udito".


Il gruppo di ricerca della Sharma riceve sostegno da parte del National Institutes of Health.

 

 

 

 

 


Fonte: Acoustical Society of America via Newswise (> English text) - Traduzione di Franco Pellizzari.

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Nota: L'articolo potrebbe riferire risultati di ricerche mediche, psicologiche, scientifiche o sportive che riflettono lo stato delle conoscenze raggiunte fino alla data della loro pubblicazione.


 

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