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L'anima perduta

Una notte, tempo fa, mentre salivo sul letto accanto a mio marito, egli mi ha chiesto: "Dov'è Carol?"


Carol era la sua prima moglie. Eppure no, non viviamo in un «ménage a tre». Mio marito è colpito dalla demenza, ed è il frutto di un tiro mancino della malattia che gli eventi e le persone del suo passato siano più reali per lui di quello che è successo cinque minuti fa.


Howard e io ci siamo incontrati 17 anni fa. Siamo sposati da 15 anni - più di quanto lui fosse stato sposato con Carol - ma ricorda più di quel matrimonio che del nostro. Egli può dire quali film hanno visto insieme, i ristoranti dove sono andati, la bevanda preferita di sua suocera di allora, ma non riesce a dire nulla del giorno che mi ha sposato, o quello che abbiamo fatto per festeggiare il suo 60° compleanno, o anche quello che abbiamo fatto ieri, perché ieri per lui non esiste.


Ieri non è mai entrato nella sua memoria, e la malattia che sta distruggendo il suo cervello ha raschiato via più di 15 anni di ricordi condivisi tra noi. Mi sento come se fossimo stati derubati. In un certo senso è così, perché la demenza ha preso proprio la cosa su cui contavamo.


Avevamo entrambi 50 anni suonati quando ci siamo incontrati. I nostri rispettivi figli erano cresciuti, le nostre carriere erano praticamente già determinate. Mi sembrava che la cosa più saggia da fare fosse investire il nostro tempo e denaro nella vita, nella conservazione dei ricordi che potevano tenerci al caldo nella nostra vecchiaia. Abbiamo viaggiato molto, sperimentato vivendo all'estero, e abbiamo lavorato insieme su diversi progetti creativi sciocchi e scherzi urbani.


Ho ancora quei ricordi, naturalmente, ma sono completamente svalutati perché non li posso condividere con quella persona per la quale avrebbero avuto l'intero significato. Io non provo nemmeno più. E' un ricordo troppo crudele di ciò che ha perso Howard.


Stranamente, in realtà non mi importa quando Howard guarda alla porta della camera e si aspetta che entri la sua prima moglie. La commedia pura dell'idea toglie il mio dolore. Ma mi dispiace molto che io e lui non possiamo più condividere nulla, se non nel momento fugace.


Non mi è mai dispiaciuta la solitudine. Per uno scrittore è una condizione naturale. Ma prendersi cura di un malato di demenza conduce ad un particolare tipo di solitudine. Mio marito è con me, ma non con me, è il guscio di un uomo che era. E devo sempre pensare prima di aprire bocca. Meglio non chiedere "Cosa ne pensi del film?" all'uscita del cinema.


Ma non ci sono solo cattive notizie. Alcune cose diventano più facili. Nei primi giorni del suo declino cognitivo, Howard diventava ansioso in modo struggente. Ora sembra che sia in un posto più tranquillo. Non riesco a immaginare, però, come sembra quel posto, e non lo posso chiedere. Semplicemente è quello che è.


La demenza può evolvere in modi diversi. Molto spesso, e questo è davvero il caso di Howard, le emozioni diventano attenuate e lentamente scompaiono. Le lacrime lo sconcertano. Solo acqua che fuoriesce dagli occhi di una persona. Pochi mesi fa è morta sua madre molto anziana. Egli non ha mostrato segni di dolore, anche in quel momento terribile quando il coperchio del cofano si è chiuso per l'ultima volta. E quando, di tanto in tanto, lascio il posto a sentimenti di disperazione e piango, mi guarda con un interesse non maggiore di quello che potrebbe avere un lampione.


A volte le lacrime non sono la risposta al caso, per me. Una porta che sbatte si prende molto dal mio petto, o il baccano di un buona vecchia finestra che sferraglia, ma in realtà bisogna essere in due per discutere e Howard ha perso questa capacità.


Cerco di visualizzare la malattia. I neurologi parlano di placche e grovigli nervosi nel cervello, e la culla del gatto di fili sotto la scrivania, ora puramente simbolica, di Howard sembra abbastanza su misura. Non importa quante volte ho riordinato quei fili, non importa quanto sia difficile provare a tenere il suo ambiente ordinato e tranquillo, appena volto le spalle si aggrovigliano ancora.


Ma mi sento di essere contro qualcosa di più inquietante di fili dispettosi. Una marea incessante sarebbe una descrizione migliore, o una piaga strisciante che divora ogni cosa sul suo cammino.


Non la sto combattendo. So quando sono sconfitta. Il mio obiettivo ora è quello di essere cortese nella sconfitta. Non permettere alla demenza di Howard di infettare gli altri filoni della mia vita. Ed essere grata per gli spiccioli lasciati nel nostro conto in rapido svuotamento alla Banca della Memoria.

 

 

 

 

 


Fonte:  Laurie Graham in The Telegraph (> English text) - Traduzione di Franco Pellizzari.

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