E' autunno, le foglie cadono a terra, l'inverno è nell'aria. Sono dalla parrucchiera, per tagliarmi i capelli. La mia «shampoo guru» preferita, che è sulla sessantina, mi sta spiegando perché lei va in palestra ogni mattina: "Perché mia madre mi diceva che posso morire dall'essere pigra".
"Sembra proprio mia madre", dico io. "Lei ha sempre detto che la «fretta fa danno»". Posso sentire l'odore di mandorle, deve essere dallo shampoo. "Un'immagine vale più di mille parole", spara ancora Minnie.
Entrambe spariamo proverbi a turno, come cecchini. La bellezza è negli occhi di chi guarda. Fate come dico, non come faccio. Tieni duro, non mollare. Non stare per conto tuo.
Finisco gli adagi prima di Minnie. Lei, per aggiungere la beffa al danno, ne snocciola molti altri. Sembra che lei possa andare avanti all'infinito. Si calma. Poi: "Quei vecchi proverbi, sai, ci hanno dato delle basi. Ci hanno dato qualcosa su cui vivere".
La memoria culturale
La mia shampoo guru ha ragione. Anch'io ringrazio per la memoria culturale. Tendiamo a pensare alla memoria come ad una funzione del cervello che si snoda indietro e recupera quello che ci è successo nel passato. A noi. Ognuno di noi trae ricordi dal nostro pozzo personale. Posso ancora sentire nel mio polso l'homerun (1) in sesta (2).
Ma questo tipo di memoria è fragile. Forse non ho fatto un homerun. O forse è accaduto in seconda elementare. Forse ho solo sognato di farlo. Mi sono trasferita da Lincoln nel Nebraska, dove è successo, e non c'è nessuno in giro a confermare il mio ricordo.
Per documentare la nostra vita, salviamo le foto e le mettiamo in album. Scriviamo e leggiamo biografie. Tendiamo a dimenticare che esiste un altro tipo di memoria: la memoria condivisa. Si pensi, per esempio, a quello che si impara nel corso di aritmetica, quello che sappiamo per merito di leggende familiari, barzellette, testi sacri, filastrocche, e adagi. Pensiamo alle informazioni che ci scambiamo sui campi da gioco, prima come bambini, poi come genitori. Pensiamo alle canzoni: "Blue Moon", "Rock of Ages", "Let It Be".
La saggezza culturale è spesso confezionata in modo che possa restare con noi. Viviamo secondo essa. Trenta giorni ha settembre. E' difficile trovare un uomo giusto. Un rabbino e un prete e un avvocato entrano in un bar. Non mollare mai. In principio Dio creò il cielo e la terra. Uno sciocco e il suo denaro fanno presto a separarsi. La memoria culturale ci libera dai nostri mondi idiosincratici interamente privati. Ci offre la comunità, la conoscenza comune, il linguaggio condiviso.
La capacità di resistenza della memoria culturale
La memoria culturale è spesso radicata in noi più profondamente, o per lo meno diversamente, dai nostri ricordi personali. E' un salvavita per i pazienti che stanno annegando nella demenza. Ho guardato malati di Alzheimer che contavano, i loro volti gioiosi per ricordare. Li ho visti guardare il baseball in TV, riconoscere il campo da gioco, entusiasti per il «crack of the bat» [il suono della mazza che colpisce la palla]. Li ho visti fare la fila alla mensa per abitudine, sedersi al tavolo per mangiare. Li ho sentiti dire le preghiere che hanno imparato quando erano bambini.
E ciò che è più notevole è con quanta forza sono fissate le canzoni. The Navy Hymn, Auld Lang Syne, Row Row Row Your Boat, America the Beautiful. Ho sentito pazienti che richiedono le canzoni per nome. Ho sentito pazienti che riescono a malapena a parlare, cantare insieme, a volte ogni parola.
Ricordo mia madre a 90 anni gorgheggiare con noi in chiesa, anche se era già ben dentro l'Alzheimer: "Amazing grace, how sweet the sound that saved a wretch like me! I once was lost, but now am found, was blind, but now I see" (3).
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(1) Colpo con il quale il battitore di baseball fa un giro completo del campo e guadagna un punto.
(2) Ultima classe delle elementari in alcuni stati USA.
(3) Uno dei più famosi inni cristiani in lingua inglese, deriva da San Paolo, Lettera agli Efesini 2,8-9:
(Fonte: Creative Commons)
Fonte: Jeanne Murray Walker, PhD, in Psychology Today (> English text) - Traduzione di Franco Pellizzari.
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