Perché preoccuparsi? Questa è una delle domande che si sentono più di frequente quando si parla di diagnosi di Alzheimer.
Innumerevoli persone la pongono, dagli individui sintomatici ai familiari, dai medici alle strutture di assistenza, e l'elenco potrebbe continuare.
La domanda deriva in apparenza dalla dura realtà che non esistono trattamenti efficaci per prevenire, invertire o curare la malattia, un disturbo notoriamente etichettato come la minaccia per la salute più temuta, più costosa, ed in rapida crescita negli Stati Uniti.
Questa apatia converge con la paura, la negazione e la scarsa conoscenza sulla demenza tra i medici e il pubblico, influenzando lo stato attuale della diagnosi, o la sua mancanza. La ricerca indica che dal 29 al 76 per cento delle persone affette da demenza, o da probabile demenza, non hanno avuto la diagnosi da un medico di base.
La Alzheimer's Foundation of America (AFA), in un sondaggio rivolto ai partecipanti alla Giornata Nazionale per lo Screening della Memoria, che si tiene ogni anno in novembre, ha rilevato che solo il 17 per cento di loro aveva parlato con un medico circa le preoccupazioni della memoria.
Allora, perché la diagnosi? Primo, perché possiamo farla. I medici possono diagnosticare l'Alzheimer con un 80-90 per cento di precisione. Il governo federale ha dichiarato la diagnosi precoce un obiettivo chiave nel suo storico "Piano nazionale per affrontare l'Alzheimer". La nuova visita annuale del benessere di Medicare comprende il rilevamento del deterioramento cognitivo.
Ai primi di novembre, la U.S. Preventive Services Task Force (USPSTF) ha emesso una bozza di raccomandazione sullo screening per la demenza. La Task Force ha dichiarato di non essere in grado "di valutare l'equilibrio tra benefici e rischi dello screening per il deficit cognitivo". Ma, a differenza della sua ultima revisione nel 2003, la USPSTF ha concluso che ci sono ora prove sufficienti che alcuni strumenti di screening sono in grado di identificare con precisione la demenza.
Perché preoccuparsi? Non tutti i problemi di memoria eguagliano l'Alzheimer. Perdita di memoria, confusione, cambiamenti di personalità, e altri sintomi possono indicare anche altre condizioni, come ad esempio i problemi alla tiroide, la carenza di vitamine o la depressione. In questi casi solo se si infila la testa sotto la sabbia si può impedire il rilevamento di una condizione reversibile.
E perché preoccuparsi che i sintomi siano legati più all'Alzheimer che ad una demenza correlata? Principalmente perchè la diagnosi corretta determina la strada obbligata. Una moglie, del cui marito si stava valutando una possibile demenza frontotemporale, osserva che vuole "essere in grado di dare un nome alla sua malattia". Allo stesso modo, un sondaggio del Working Mother Research Institute ha rilevato che quasi la metà delle caregiver donne volevano che il loro genitore con Alzheimer avesse ricevuto prima la diagnosi.
Per le persone con Alzheimer, una diagnosi può significare una qualità migliore della vita. I medici possono ottimizzare la gestione medica e prescrivere farmaci disponibili che possono rallentare la progressione dei sintomi. Gli individui possono iscriversi agli studi clinici, con la speranza di aiutare se stessi e far progredire la ricerca. Gli interventi non farmacologici, gli stili di vita sani (come l'esercizio fisico, la socializzazione e le attività mentali), le modifiche ambientali, e i servizi di supporto possono aiutare a mantenere la dignità, e a compensare i comportamenti negativi e le altre sfide della malattia.
Inoltre, quando ricevono la diagnosi in una fase più precoce, gli individui possono pianificare l'assistenza, compresa la gestione degli affari legali e finanziari, esprimere i desideri per il fine-vita, e prendere altre decisioni.
Nel 2005, all'età di 57 anni, Mary Kay Baum ha saputo che aveva l'Alzheimer ad insorgenza precoce. Lei non ha rimpianti per aver cercato la diagnosi. Di conseguenza, partecipa agli studi di ricerca come "regalo" per i suoi figli e agli altri. Inoltre, ha cambiato drasticamente lo stile di vita per cercare di tenere a bada i sintomi; questi cambiamenti comprendono l'aver lasciato il lavoro stressante del ministero ed essersi trasferita nella località rurale di Dodgeville nel Wisconsin - un "luogo di guarigione" - dove trascorre diverse ore al giorno all'aria aperta, facendo attività fisica e creativa. Senza una diagnosi effettiva, "non credo che avrei avuto la forza di concentrarmi sulla mia salute cognitiva così come ho fatto", ha detto la Baum, presidente della forMemory, Inc., un'organizzazione no-profit che connette le persone colpite da demenza ad insorgenza precoce.
Anche ai caregiver familiari una diagnosi consente di mettersi in moto. Informarsi sulla malattia e cosa aspettarsi nel decorso, formare un team di assistenza, accettare le risorse per sé e per i propri cari, regolare gli orari di lavoro, e modificare i progetti per il futuro sono tra le cose da fare che possono contribuire ad alleviare il peso di questa malattia terminale. Un crescente corpo di prove supporta il valore della gestione dell'assistenza, soprattutto nel ridurre lo stress e la morbilità del caregiver, posticipare il posizionamento in casa di cura, e migliorare i risultati di salute per i caregiver e i beneficiari delle cure.
Susan Poulos, di Greensboro in Carolina del Nord, ha detto che sua madre ha mostrato i sintomi molti anni prima di andare, finalmente, da un neurologo. "E' stato come un elefante nella stanza", ha detto la Poulos. "[L'Alzheimer] è una diagnosi difficile da digerire, ma saperla ci ha dato il permesso di agire", ha detto la Poulos, che in seguito ha studiato la malattia e si è unita ad un gruppo di supporto per caregiver. "Ho raccolto più informazioni che ho potuto, così noi, come caregiver, possiamo restare stabili, solidi e con i piedi per terra, per dare la migliore assistenza possibile, data la diagnosi".
Proprio come ci "preoccupiamo" della diagnosi del cancro, delle malattie cardiache, dell'HIV/AIDS e di altre malattie con o senza trattamenti efficaci, è il momento di "preoccuparci" dell'Alzheimer.
Pubblicato da Carol Steinberg in HuffingtonPost (> English version) - Traduzione di Franco Pellizzari.
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