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La scienza dietro la demenza frontotemporale

Le devastazioni di una malattia del cervelloLo scorso aprile io e Rob Gauthier, fotografo del Times, abbiamo visitato la famiglia Bryant per iniziare a scrivere un racconto ("Malattie cerebrali poco conosciute strappano la vita delle vittime, e dei loro cari") su un raro tipo di demenza.

Ci siamo però resi conto che avevamo bisogno di esplorare la scienza che sta dietro questa malattia chiamata demenza frontotemporale (FTD).

 

La FTD è simile all'Alzheimer, ma colpisce le porzioni anteriori del cervello e porta a problemi comportamentali come i Bryants stanno sperimentando con Stu. Sapevo di Phineas Gage, il caposquadra ferroviario che nel 1848 ha perso la parte anteriore del cervello in un incidente terribile durante la costruzione, e che sopravvisse come uomo radicalmente cambiato. Avevo letto l'opera di Hanna e Antonio Damasio, neuroscienziati che quasi 20 anni fa sono stati pionieri nella comprensione della biologia delle emozioni, ed ero ansioso di vedere come la demenza frontotemporale fosse oggetto di studio per favorire questa ricerca.


Nel corso della nostra cronaca, Rob e io, abbiamo fatto una serie di viaggi all'UCLA e al West Los Angeles Veterans Affairs Hospital per intervistare Mario Mendez, il medico e neuroscienziato che sta curando Stu. Nelle nostre conversazioni, Mendez ci ha aiutato a capire che cosa intendeva Oliver Sacks quando scrisse: "Senza il grande sviluppo dei lobi frontali del cervello umano, la civiltà non avrebbe mai potuto sorgere". Studiando gli effetti della demenza frontotemporale - e il suo lento degrado della personalità - Mendez è in grado di vedere più chiaramente il cosiddetto cervello sociale, la parte dei nostri lobi frontali e temporali che ci permette di interagire con successo con l'altro e costruire relazioni. Senza questa parte della corteccia non siamo più in grado di moderare le nostre emozioni.

Dr. Mario Mendez visits with Stu and Maureen "Moe" Bryant at the UCLA Frontotemporal Dementia and Neurobehavior Clinic. During a recent visit to the clinic, Stu disappeared for nearly 15 minutes, only to be found wandering in a gift shop in a nearby building.
Il Dr. Mario Mendez visita Stu e Maureen "Moe" Bryant alla Frontotemporal Dementia
and Neurobehavior Clinic dell'UCLA. Durante una recente visita alla clinica, Stu è
scomparso per quasi 15 minuti, e trovato ad aggirarsi in un negozio di souvenir in un
edificio vicino. (Foto Robert Gauthier / Los Angeles Times)



La moderazione (l'inibizione delle pulsioni emozionali) può assumere la forma di empatia e di imbarazzo ed è fondamentale per aiutarci a negoziare complessi ambienti sociali. Senza di questo, come io e Rob abbiamo imparato durante il tempo trascorso con Stu, gli esseri umani crescono senza regole nel mondo, incapaci di leggere i sentimenti e di comportarsi in modo appropriato. By steering the discussion about morality, normally the providence of ethicists and philosophers, away from the symposium and putting it inside the laboratory where thoughts are considered to be not so much conscious choices, but instead reflexes based on a neurological network, Mendez and other neuroscientists are furthering the inquiry into the nature of right and wrong.


Guidando la discussione sulla moralità, dominio di studiosi di etica e filosofi, lontano da un simposio e mettendola all'interno del laboratorio in cui i pensieri sono considerati non tanto scelte consapevoli, quanto riflessi basati su una rete neurologica, Mendez e altri neuroscienziati stanno approfondendo l'indagine sulla natura del bene e del male. Viste così, la religione, la famiglia, e anche le nozioni di Freud sull'io, il super-io e l'ego, contano meno della biologia.

Stu Bryant
Stu Bryant, che soffre di demenza frontotemporale, si prepara per una risonanza magnetica.
(Foto Robert Gauthier / Los Angeles Times)

 

Mendez sostiene che tra gli esseri umani si sono evoluti comportamenti specifici: non nuocere a un'altra persona, rispettare la gerarchia e l'autorità, accettare gli obiettivi comuni, riconoscere equità e giustizia. Le buone maniere, quindi, hanno molto a che fare con ciò con cui siamo nati, come pure con il modo in cui siamo stati allevati e che cosa ci hanno insegnato i nostri genitori.


"Gran parte del comportamento sociale che diamo per scontato, e che spesso consideriamo dover essere imparato o culturale o di sviluppo, è in realtà un comportamento profondamente radicato nel sistema nervoso e nei lobi frontali", ha detto Mendez. Considera ciò la prossima volta che sei in un ristorante affollato e guardi il caleidoscopio delle interazioni.


Non conta la capacità di parlare e comunicare. Non conta avere i pollici opponibili. Sono i lobi frontali a rendere umani gli esseri umani.

 

 

 

 

 


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Pubblicato da Thomas Curwen in Los Angeles Times il 15 febbraio 2012 - Traduzione di Franco Pellizzari.

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