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La solitudine cronica può aumentare il rischio di demenza?

man walking alone

L'isolamento sociale causato dalla pandemia del coronavirus è il nocciolo della solitudine cronica per molti anziani, che sono rimasti a casa per evitare di contrarre il Covid-19.


Allo stesso modo, quelli nelle strutture di assistenza a lungo termine hanno sperimentato isolamento e solitudine a causa della mancanza di opportunità di impegno con altri, al di fuori dei loro ambienti.


Una revisione di studi osservazionali pubblicati, eseguita da ricercatori spagnoli, ha cercato di capire se la solitudine è associata ad un aumento del rischio di demenza. Come riferito in aprile 2019 sull'International Journal of Geriatric Psychology, i ricercatori hanno scoperto che la solitudine era associata a un aumento del 26% del rischio di demenza.


È stato anche scoperto in uno studio che la solitudine era associata a un aumento del rischio del 105% di lieve deterioramento cognitivo, un precursore della demenza.


Anche se è stato riconosciuto dai ricercatori che la relazione tra solitudine e rischio di demenza è ancora da chiarire, erano consapevoli dei modi in cui la solitudine ha influenzato quel rischio. Ad esempio, gli individui che sono soli sono inclini a impegnarsi in pratiche sanitarie scadenti, come scelte alimentari errate e mancanza di esercizio fisico, o addirittura iniziano a fumare, o ad abusare di sostanze o farmaci.


Inoltre, la solitudine è strettamente legata alla depressione, un fattore di rischio del morbo di Alzheimer (MA). E gli individui solitari spesso si ritirano e si tagliano fuori dagli altri, mancando di quella socializzazione e attività cognitiva che è così vitale nel ridurre il rischio di demenza.


Sembra che, sebbene i sottostanti meccanismi neurali nel cervello non siano pienamente compresi, la solitudine sia collegata all'accumulo di proteine ​amiloide-beta e tau nel cervello, due cambiamenti cerebrali chiave che si verificano nel MA. Le teorie suggeriscono che la solitudine e altri fattori di stress psicologico si sommano, innescando cronicamente la risposta biologica allo stress, che a sua volta sembra aumentare l'accumulo di amiloide-beta e tau nel cervello.


Mantenere l'attività sociale può essere la chiave per proteggere dal calo delle abilità intellettuali e dagli impatti negativi della solitudine. La socializzazione aiuta le persone a far fronte meglio allo stress, e coloro che si sentono meglio e sono più capaci di far fronte alle difficoltà della vita o a rimbalzare dagli eventi stressanti, mostrano meno accumulo di proteina tau nel cervello.


Ridurre la solitudine può promuovere la salute complessiva del cervello ed è importante per il nostro benessere generale. Mantenere quei collegamenti con la famiglia e gli amici, coinvolgersi in attività produttive di gruppo (come esercizio fisico, discussioni sulle arti visive, giardinaggio all'interno o volontariato per la comunità) sono tutti modi per ridurre la solitudine e il rischio di demenza.


Esplorare nuove attività come gruppi o corsi online, iniziare un nuovo hobby o imparare a suonare uno strumento, possono essere dei modi con cui qualcuno che è solo può rifocalizzare l'attenzione lontano dagli scatenanti emotivi, psicologici e/o ambientali che causano sentimenti di isolamento e solitudine.

 

 

 


Fonte: Dana Territo in The Advocate (> English) - Traduzione di Franco Pellizzari.

Copyright: Tutti i diritti di testi o marchi inclusi nell'articolo sono riservati ai rispettivi proprietari.

Liberatoria: Questo articolo non propone terapie o diete; per qualsiasi modifica della propria cura o regime alimentare si consiglia di rivolgersi a un medico o dietologo. Il contenuto non rappresenta necessariamente l'opinione dell'Associazione Alzheimer OdV di Riese Pio X ma solo quella dell'autore citato come "Fonte". I siti terzi raggiungibili da eventuali collegamenti contenuti nell'articolo e/o dagli annunci pubblicitari sono completamente estranei all'Associazione, il loro accesso e uso è a discrezione dell'utente. Liberatoria completa qui.

Nota: L'articolo potrebbe riferire risultati di ricerche mediche, psicologiche, scientifiche o sportive che riflettono lo stato delle conoscenze raggiunte fino alla data della loro pubblicazione.


 

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