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Gruppo Auto-Mutuo-Aiuto Valdobbiadene
Riscoprirsi risorsa tra persone unite dallo stesso problema, partecipando ai Gruppi ...
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Donne che si prendono cura
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Riscoprirsi risorsa tra persone unite dallo stesso problema, partecipando ai Gruppi ...
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Donne che si prendono cura
Un progetto scritto da donne per le donne, realizzato grazie al ...
Associazione ASAV, c/o distretto sanitario, Via Toniolo 2, Vedelago
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[CA Pedemontano] «Ti SOStengo. Un salvagente legale in un mare di dubbi»
Il Caffè Alzheimer è un servizio che la Casa di Soggiorno ...
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Chi l'ha detto che invecchiando non possiamo imparare cose nuove?

Un giorno, il nostro cervello non funzionerà più come prima, non saremo più 'acuti' come eravamo abituati ad essere, non saremo in grado di ricordare facilmente le cose. Questo è ciò che è stato inciso in noi. Siamo persino indotti a credere che, passata una certa età, non possiamo acquisire nuove abilità, né ad apprendere alcune informazioni, come una nuova lingua.


Ma una nuova teoria sostiene che non è necessariamente così. Infatti, come adulti, se continuassimo a imparare come facevamo da bambini, afferma Rachel Wu, professoressa di psicologia della University of California-Riverside, potremmo ridefinire ciò che significa essere 'adulti che invecchiano'.


Con la sua ricerca, pubblicata sulla rivista Human Development, la Wu ridefinisce l'invecchiamento cognitivo sano come risultato di strategie e abitudini di apprendimento sviluppate durante la vita. Queste abitudini possono favorire o sfavorire lo sviluppo cognitivo.


"Noi sosteniamo che vedendo l'intero corso della vita, quando iniziamo a lavorare passiamo da un «apprendimento ampio» (per cui acquisiamo molte abilità come infanti o bambini) a un «apprendimento specializzato» (diventando esperti di un'area specifica) e ciò porta il declino cognitivo, inizialmente in alcune situazioni sconosciute, e infine in situazioni sia familiari che sconosciute", ha detto la Wu.


Nel documento la Wu sostiene che, se re-immaginassimo l'invecchiamento cognitivo come risultato dello sviluppo, apriremmo la porta a nuove tattiche che potrebbero migliorare notevolmente la salute cognitiva e la qualità della vita degli adulti invecchiati. In particolare, se gli adulti abbracciassero le stesse «esperienze ampie di apprendimento» (caratterizzate dai 6 fattori qui sotto) che promuovono la crescita e lo sviluppo dei bambini, potrebbero vedere un aumento della loro salute cognitiva e non il declino naturale che tutti ci aspettiamo.


La Wu e i suoi collaboratori definiscono «apprendimento ampio» quello che comprende questi sei fattori:

  1. Apprendimento con mente aperta, guidato dall'input (apprendere nuovi modelli e nuove competenze, esplorare al di fuori della propria zona di comfort).
  2. Impalcature individualizzate (accesso coerente a docenti e mentori che guidano l'apprendimento).
  3. Mentalità di crescita (credere che le abilità siano sviluppate con sforzo).
  4. Ambiente che perdona (che permette di fare errori e persino di fallire).
  5. Impegno serio all'apprendimento (imparare a padroneggiare le competenze essenziali, perseverare nonostante le battute d'arresto).
  6. Imparare simultaneamente competenze multiple.

I ricercatori spiegano che l'impegno intellettuale (attraverso i sei fattori) cala dall'infanzia all'età adulta, quando passiamo dall'«apprendimento ampio» alla «specializzazione». Essi sostengono che, durante l'infanzia, l'impegno in questi sei fattori aumenta realmente le abilità cognitive di base (ad esempio la memoria di lavoro, l'inibizione, l'attenzione) e prevedono che lo stesso può valere per l'età adulta.


La Wu e i ricercatori definiscono «apprendimento specializzato» quello che comprende questi fattori:

  1. Apprendimento con mente chiusa, guidato dalla conoscenza (preferire le routine familiari, restare nelle zone di comfort).
  2. Nessuna struttura (nessun accesso a esperti o insegnanti).
  3. Ambiente che non perdona (conseguenze gravi degli errori o insuccessi, come il licenziamento).
  4. Mentalità fissa (credere che le abilità siano talenti innati, al contrario di quelli sviluppati con sforzo).
  5. Poco impegno nell'apprendimento (adulti che apprendono di solito un hobby per un paio di mesi, ma poi lo lasciano a causa di vincoli di tempo e/o difficoltà).
  6. Imparare una abilità alla volta, o nessuna.

"Quando si guarda a tutta la vita fin dalla prima infanzia, sembra probabile che il declino dell'«apprendimento ampio» abbia un ruolo causale nell'invecchiamento cognitivo. Ma, se gli adulti intraprendessero un apprendimento ampio attraverso i sei fattori che forniamo (simili a quelli delle esperienze della prima infanzia), gli adulti che invecchiano potrebbero espandere il funzionamento cognitivo oltre i limiti attualmente noti", ha dichiarato la Wu.


La Wu dice che tendiamo naturalmente a passare dall'«apprendimento ampio» a quello «specializzato» quando cominciamo la nostra carriera e in quel momento comincia l'invecchiamento cognitivo. Mentre ci insediamo nel nostro ruolo di lavoro, diventiamo più efficienti nelle nostre aspettative e attività quotidiane, e raramente ci allontaniamo da questo. Anche se ci sono alcuni vantaggi nel sistema, come ad esempio ottenere risposte più efficienti e precise in situazioni appropriate, ci sono anche lati negativi, come ad esempio presunzioni sbagliate o difficoltà a superarle.


"Dobbiamo ancora provare la nostra teoria con studi scientifici specifici, ma essa si basa su oltre cinquant'anni di ricerche. Quello che gli adulti dovrebbero trarre da questo studio è che possiamo acquisire molte nuove abilità a qualsiasi età ", ha detto la Wu. "Ci vuole solo tempo e dedizione. Sembra che vogliamo rendere molto difficile imparare, a noi stessi e agli altri. Forse è per questo che alcuni aspetti dell'invecchiamento cognitivo sono auto-imposti".

 

 

 


Fonte: Mojgan Sherkat in University of California - Riverside (> English text) - Traduzione di Franco Pellizzari.

Riferimenti: Rachel Wu, George W. Rebok, Feng Vankee Lin. A Novel Theoretical Life Course Framework for Triggering Cognitive Development across the Lifespan. Human Development, 2016; 59 (6): 342 DOI: 10.1159/000458720

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