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Test genetico non riesce a dimostrare il rischio di Alzheimer

LaboratorioSecondo ricercatori della Cornell University, i test genetici possono predire il rischio di sviluppare decadimento cognitivo lieve (MCI) nelle persone sane, ma non riescono a predire il rischio di Alzheimer.

Sfidando la convinzione diffusa che un gene specifico sia il fattore di rischio più importante dell'Alzheimer, psicologi dello sviluppo segnalano che le persone con questo gene hanno più probabilità di sviluppare MCI, ma non Alzheimer.


Lo studio suggerisce che gli anziani con funzione cerebrale sana possono avere test genetici per prevedere l'aumento del rischio di MCI futuro. Tuttavia, una volta che diventano cognitivamente deteriorati, i test non possono prevedere la loro probabilità di sviluppare l'Alzheimer.


"In questo momento, i test genetici sono utilizzati esattamente al contrario. In altre parole, le persone sane non si fanno i test per predire il rischio di decadimento cognitivo lieve, ma le persone già deteriorate li chiedono per predire il rischio di Alzheimer"
, dice Charles Brainerd, professore di sviluppo umano alla Cornell University e co-autore principale dello studio. "Perciò le persone deteriorate pensano che i test diranno loro se hanno un maggiore rischio di Alzheimer, ma questo non è possibile. E quelle sane pensano che i test non diranno loro se hanno un maggiore rischio di deterioramento cognitivo, cosa invece possibile".


Il lavoro, pubblicato sulla rivista Neuropsicology, si basa su ricerche precedenti di Brainerd, e dei suoi collaboratori, che suggeriscono che l'allele ε4 del genotipo APOE aumenta il rischio di MCI e di Alzheimer. I ricercatori hanno analizzato i dati del set di dati, unico nel suo genere, rappresentativo a livello nazionale: il National Institute on Aging's Aging, Demographics and Memory Study. Essi hanno esaminato i dati di 418 persone oltre i 70 anni per vedere se i portatori dell'allele avevano una maggiore probabilità di sviluppare decadimento cognitivo lieve rispetto a quelli senza. Hanno anche cercato di capire se i portatori di ε4 con decadimento cognitivo lieve avevano una maggiore probabilità di sviluppare l'Alzheimer rispetto ai non portatori con MCI.


La scoperta è che i portatori sani di ε4 hanno una probabilità quasi tre volte (58 per cento) maggiore di sviluppare MCI rispetto ai non portatori. Tuttavia i portatori di ε4 con MCI hanno sviluppato l'Alzheimer allo stesso ritmo dei non portatori.


"Anche se studi precedenti hanno dimostrato che l'allele ε4 è più comune nelle persone con Alzheimer, questo studio dimostra che non aumenta il rischio delle persone sane o deteriorate di sviluppare demenza. Piuttosto l'ε4 aumenta il rischio delle persone sane di sviluppare MCI, e le persone deteriorate sono la fonte primaria di nuove diagnosi di Alzheimer", scrive Brainerd. "La ragione per cui l'ε4 è un fattore di rischio per il MCI, ma non per la progressione da MCI ad Alzheimer, è che questo allele è un marcatore di declino cognitiva iniziale (ad esempio della memoria e della funzione esecutiva) associato al deficit cognitivo lieve, ma non al successivo declino di cognizione o di funzionamento quotidiano associato con le forme dell'Alzheimer".


Brainerd osserva anche che gli effetti del ε4 negli adulti sani possono essere rilevati fin dai circa 25 anni di età. Anche se l'ε4 non è un fattore di rischio del declino cognitivo grave segnalato dalla demenza, esso è un fattore di rischio per il declino più leggero che alla fine produce decadimento cognitivo lieve o MCI.


Altri ricercatori dello studio sono affiliati alla Mayo Clinic, al Duke University Medical Center, e alla University of Michigan. Il National Institutes of Health ha finanziato parzialmente la ricerca.

 

 

 

 

 


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Fonte: Cornell University

Riferimento: C. J. Brainerd, V. F. Reyna, R. C. Petersen, G. E. Smith, A. E. Kenney, C. J. Gross, E. S. Taub, B. L. Plassman, G. G. Fisher. The apolipoprotein E genotype predicts longitudinal transitions to mild cognitive impairment but not to Alzheimer's dementia: Findings from a nationally representative study. Neuropsychology, Vol 27(1), Jan 2013, 86-94. doi: 10.1037/a0030855.

Pubblicato in Futurity.org il 13 Febbraio 2013 - Traduzione di Franco Pellizzari - Foto: "genetic test" / Shutterstock

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