Nell'articolo precedente ho parlato della ricerca innovativa di lungo periodo che ha rivelato che la patologia cerebrale (amiloide e tau) non è accurata in termini di diagnosi della demenza. Anche nelle autopsie che mostrano le "anomalie patologiche" associate alla demenza, c'è solo il 50% di possibilità che il paziente avesse realmente la demenza.
Il rovescio della medaglia: se sviluppi la demenza quando invecchi, c'è solo il 50% di possibilità di avere realmente le "anomalie patologiche" della demenza. Come ha detto un esperto, "la patologia non è il destino" quando si tratta di demenza. Per dirla in termini ancora più semplici, non c'è assolutamente alcuna connessione tra le funzioni cognitive e le anomalie cerebrali patologiche che, presumibilmente, causano la demenza.
Nessuna ricerca tradizionale miracolosa e nessun trattamento per la demenza sono stati un fallimento completo. Hanno abbaiato contro l'albero sbagliato, come ho detto fin dall'inizio.
La presenza di queste cosiddette "anomalie patologiche della demenza" non prevede né spiega come prevenire o trattare la demenza. Quindi perché gli esperti dovrebbero chiamarle "prove" della demenza, tanto per cominciare? Forse non avrò mai una risposta a questa domanda, quindi cerchiamo di adottare un approccio più positivo ...
Gli esperti trovano un forte legame tra buona salute cardiovascolare e funzionamento sano del cervello.
Come ho spiegato in precedenza, questa potente associazione può coinvolgere una proteina chiamata «fattore di crescita vascolare endoteliale» (VEGF - Vascular Endothelial Growth Factor). Come suggerisce il nome, il VEGF promuove una crescita sana dei vasi sanguigni, e anche uno sviluppo sano del cervello. E, in ultima analisi, può fornire il collegamento tra un cuore sano e un cervello sano.
Uno studio effettuato nell'ambito dell'Alzheimer's Disease Neuroimaging Initiative ha collegato i livelli superiori di VEGF nel liquido cerebrale a un sano invecchiamento cerebrale. Questo risultato rimaneva valido in particolare per le persone che avevano biomarcatori della presenza di amiloide-beta e di proteine tau che si "aggrovigliano" nei tessuti cerebrali.
Gli esperti associano questi grovigli e placche nel cervello alla demenza. I vasi sanguigni intorno a queste placche amiloidi possono deteriorarsi, privando così del sangue e dell'ossigeno le cellule circostanti e provocando la morte cerebrale. Questo processo porta alla demenza. Ma il VEGF può proteggere i vasi sanguigni sani e anche promuovere la guarigione in caso di lesioni o danni.
Così, anche negli individui con la cosiddetta "patologia di Alzheimer" di placche di amiloide-beta, possono intervenire i meccanismi di protezione come il VEGF, per conservare le cellule cerebrali e la funzione cognitiva. La ricerca mostra che l'attività fisica aumenta anche il VEGF. Questo fa nascere la curiosità di che altro promuove questa importante proteina di auto-guarigione.
Il cervello è il tessuto più sensibile nel corpo. Quindi, qualsiasi privazione di sangue, ossigeno o di energia può portare a gravi lesioni e infezioni.
Il cervello ha un antico sistema di difesa
A differenza di qualsiasi altro organo del corpo, il cervello è circondato interamente da osso spesso, isolato e protettivo, e da membrane protettive durature. Inoltre, ha la barriera emato-encefalica unica per filtrare le tossine, i veleni del metabolismo, e i microbi. Tali difese fanno parte del concetto di «resilienza cognitiva».
Anche il sistema immunitario protegge il cervello. Ma la ricerca mostra che alcune persone so portatrici di una variante genetica (mutazione) che si traduce in un minor numero di recettori per le cellule del sistema immunitario nel cervello. Negli studi con scansioni PET, si è verificato che i cervelli anziani con la variante genetica, che hanno un minor numero di cellule immunitarie funzionali nel cervello, non riescono ad eliminare l'amiloide-beta. Come risultato, la placca può accumularsi nel cervello, e a sua volta può ledere i vasi sanguigni, danneggiare le cellule cerebrali e causare la demenza.
In qualche modo l'idea di avere "placche" nel cervello deve essere un modo interessante per la tradizione di pensare al problema tenace della demenza. Dopo tutto, dobbiamo lavarci i denti tutti i giorni per eliminare la placca. (Questo è il modo in cui vendono il dentifricio quattro dentisti su cinque). Allora, perché non tirar fuori il vecchio caro spazzolino da denti per ripulire quelle cellule cerebrali?
Una vera e propria cura di Alzheimer dovrà "spazzare via" le vecchie idee.
La buona notizia è ...
Il cervello stesso è senza dubbio il nostro strumento più importante nella lotta contro l'Alzheimer. Ed è diventato questo strumento complesso e sensibile attraverso diversi meccanismi adattativi e protettivi. Sono convinto che questi stessi meccanismi - come il VEGF - sono la chiave per prevenire e curare la demenza.
Credo anche che dovremmo guardare al mondo naturale di supportare il cervello e auto-guarire. Come dico spesso, il corpo umano e il cervello si sono sviluppati fin dall'inizio in un ambiente terrestre circondato da piante, che erano le migliori (e uniche) fonti possibili di cibo e di medicine.
Tutto ciò che riguarda il modo in cui cervello e corpo si sono sviluppati è basato sull'uso della potenza biologica dei composti vegetali in natura. Pertanto, è così sorprendente che tanti nutrienti efficaci e rimedi a base di erbe dalle piante possano agire per proteggere il cervello e prevenire la demenza?
La ricerca attuale dimostra che questi rimedi naturali possono anche invertire la demenza con un tasso di successo del 90 per cento. Questo sarà dettagliato nei prossimi articoli e nel mio protocollo di inversione dell'Alzheimer che uscirà più avanti nel 2016.
Nel frattempo, rimanete attivi. Restate socialmente connessi. E continuate ad usare quel cervello. E' il modo migliore per proteggerlo.
Fonte: Marc S. Micozzi MD/PhD (> English text) - Traduzione di Franco Pellizzari.
Referenze:
- “The Brain Fights Back: New Approaches to Mitigating Cognitive Decline,” JAMA Neurol. 2015; 72(5): 520-529
- “CD33 Alzheimer’s disease locus: altered monocyte function and amyloid biology,” Nature Neuroscience 2013;16(7):848-850
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