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Considerare sempre il segreto dei baby boomers: l'alcol

Un uomo settantenne ha un attacco di cuore e viene portato al Pronto Soccorso. In terapia con aspirina da un anno, l'aveva interrotta tre settimane prima, su consiglio del suo medico, dopo aver segnalato un disagio cardiaco e aver usato più nitroglicerina per arrivare a fine giornata.


Ha bisogno di un intervento chirurgico di bypass, una procedura abbastanza comune e relativamente veloce. Una volta che inizia l'intervento chirurgico però, inizia un'emorragia incontrollata. Tredici ore dopo, la vita del paziente è salva, ma deve affrontare un recupero complicato.


"Bisogna biasimare un cocktail potenzialmente mortale e fin troppo comune", dice Christine L. Savage, PhD, RN, CARN, professore e docente del Department of Community-Public Health alla Scuola di Infermieristica della Johns Hopkins (JHSON). "L'alcol è un anticoagulante. Il paziente, un bevitore cronico, stava ancora bevendo ogni giorno. Il medico non lo sapeva perché non gliel'aveva chiesto. Inoltre, il paziente aveva sentito parlare solo di «aspirina», non di «aspirina per bambini», così aveva preso un dosaggio più alto del previsto di quel fluidificante del sangue. (Anche la nitroglicerina apre i vasi sanguigni per migliorare il flusso)".

 

Domande semplici, risposte difficili

Entro il 2015, tutti i figli del baby boom avranno almeno 50 anni. In un editoriale sul Journal of Addictions Nursing, la Savage scrive che, a differenza delle generazioni precedenti, molti di questi individui hanno fatto uso di alcol (e altre droghe) per tutta la loro vita adulta. Ci sono conseguenze.


"L'alcol è una droga sporca, e causa ogni sorta di problemi a lungo termine", dice la Savage. Citando un rapporto del National Institute on Alcohol Abuse and Alcoholism del 2013, lei dice che l'alcol contribuisce ad un aumento del rischio di più di 65 malattie e condizioni, tra cui i tumori al pancreas, alla mammella, all'orecchio, al naso e alla gola, le malattie del fegato, le lesioni e il deterioramento cognitivo.


"E' un problema di pari opportunità che attraversa le linee socioeconomiche e di genere"
, aggiunge Deborah Finnell, DNS, PMHNP-BC, CARN-AP, professore associato del Department of Acute and Chronic Care alla JHSON. "Quando le persone vengono qui ... la pratica migliore è chiedere sull'uso di alcol, tabacco e altre droghe. Ci sono misure molto affidabili e valide - misure molto semplici - che possono essere usate" per lo screening di questi problemi. Purtroppo, dice, "queste non vengono eseguite ampiamente".


La Savage dice: "Tendiamo a non pensare al paziente più anziano di fronte a noi come a qualcuno messo a rischio dal consumo di alcol, e siamo a disagio nel chiedere alla nonna carina o all'anziano signorile sul loro uso di alcol". Nancy Hodgson, PhD, RN, professore assistente nel Department of Acute and Chronic Care della JHSON, sottolinea l'importanza di fare lo sforzo. Quel paziente più anziano potrebbe sperimentare "lutto, isolamento, solitudine, depressione o dolore sottostanti, quindi si auto-curano come un agente paralizzante, usando l'alcool".


Il sistema incentiva un approccio di cura acuto quando ciò che serve richiede più tempo, dice Laura N. Gitlin, PhD, professore e direttore del Center for Innovative Care in Aging alla JHSON. "Le assicurazioni sanitarie cosa stanno pagando? Stanno pagando per una visita di sei minuti. Stanno pagando per i test. Questi non sono test. Sono dei modi di parlare alle persone e trovare le strategie che non richiedono una radiografia toracica o una risonanza magnetica".


Un approccio utile per lo screening e l'intervento è lo SBIRT (Screening, Breve Intervento, e Rinvio al Trattamento), che identifica i pazienti con uso di sostanze a rischio, li impegna in una breve conversazione su quel comportamento, e segnala chi ha bisogno di ulteriori trattamenti. La Finnell dice che questo tipo di screening dovrebbe essere la prassi normale, come prendere la pressione, il polso e il peso. Lei descrive il breve intervento come una conversazione di 5/10 minuti che inizia con "chiedere il permesso di parlarne. A causa del modo in cui la società vede l'alcol e le altre droghe, è importante mettere le persone a proprio agio".


La Hodgson dice che l'infermiere è la persona perfetta per iniziare questa conversazione. "Hanno il rapporto con i pazienti, hanno le competenze cruciali di valutazione necessarie per percepire i sottili cambiamenti (cose come la storia delle cadute, la letargia inspiegabile o la confusione) e per scavare più a fondo. Gli anziani sono probabilmente più propensi a parlare con l'infermiera dei temi più sensibili, di quanto non farebbero forse con il medico".

 

Indicare la strada

In definitiva, dice la Finnell, l'obiettivo è che gli infermieri siano in grado di identificare tutti i pazienti con uso di sostanze rischiose e di alzare la consapevolezza. I pazienti "potrebbero dire «ho intenzione di continuare a bere allo stesso livello con cui ho bevuto». Ma se riesco almeno a indurli a cominciare a pensarci, allora lo vedo come un vero successo". E se sono d'accordo di diminuire il consumo di alcol, dice, "allora questo sarebbe un grande successo".


Savage e Finnell fanno parte di un team che lavora su programma di formazione finanziato dalla «Substance Abuse and Mental Health Services Administration» per integrare più contenuti sull'alcol e le droghe nei programmi di laurea per preparare gli infermieri a rispondere a questa sfida. (Per lo studio attuale, la Finnell ha sviluppato un video di 20 minuti che illustra come l'alcol colpisce il cervello. Lei spera di usarlo con i pazienti nelle cure primarie che sono identificati come a rischio per l'uso di alcol).


"Vogliamo che gli infermieri che si laureano dalla Scuola di Infermieristica della Johns Hopkins siano i leader nazionali nello sviluppare questo insieme di strategie cliniche ... in tutte le strutture sanitarie, tutte le popolazioni, tutte gli ambienti"
, dice la Finnell, aggiungendo che anche gli infermieri che lavorano hanno bisogno di questa formazione. "Abbiamo oltre 3 milioni di infermieri nella nazione", dice la Finnell. "Se quei 3 milioni di infermieri fossero tutti adeguatamente formati, allora potremmo avere un impatto enorme in termini di danno globale associato all'uso di alcol".

 

 

 

 

 


FonteJohns Hopkins University School of Nursing(> English text) - Traduzione di Franco Pellizzari.

Riferimenti:  Christine Savage. The Baby Boomers and Substance Use. Journal of Addictions Nursing, 2014; 25 (1): 1 DOI: 10.1097/JAN.0000000000000015

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