Ogni volta che i paesi del G8 portano l'attenzione su un particolare argomento, si sa che il risultato dovrà essere qualcosa che impatta sui media.
Il primo summit del G8 sulla demenza è certamente riuscito a produrre qualche retorica accattivante, ma ora che la polvere si deposita il vero compito è trasformare quelle parole in azioni significative.
Come attivista, accolgo con favore l'attenzione globale sulla demenza che solo un vertice del G8 avrebbe potuto produrre. Gli impegni a sviluppare un piano d'azione internazionale per la ricerca, condividere informazioni e dati tra tutti i paesi del G8 per fornire collaborazione senza precedenti, favorire l'accesso aperto a tutta la ricerca sulla demenza finanziata dai governi, introdurre un nuovo plenipotenziario globale per l'innovazione sulla demenza, e l'ambizioso obiettivo del G8 di "trovare una cura o terapia modificante-la-malattia entro il 2025", hanno tutti il potenziale di migliorare il modo di prevenire, trattare e, speriamo un giorno, sradicare la demenza.
Ma mi chiedo: sarei stata altrettanto entusiasta e ottimista come lo sono adesso, se fossi ancora nel mio ruolo di caregiver di mio padre? Prendersi cura di una persona cara con demenza ha una inesorabilità che è onnicomprensiva. In tale situazione, gli impegni a trovare nuovi trattamenti e a lavorare verso una cura sembrano molto lontani dalla realtà della vita quotidiana con la demenza e dal suo stigma.
La discussione se cercare miglioramenti a breve o a lungo termine è eccezionalmente difficile. Bisogna essere attenti alle 800 mila persone (solo nel Regno Unito) che vivono con una forma di demenza, molte delle quali sono in una fase avanzata ed è improbabile che beneficieranno di eventuali miracoli della medicina futura. Per loro, migliorare la qualità della vita immediata e sostenere quelli che li assistono è di vitale importanza.
Al tempo stesso, se vogliamo rispondere al numero di persone che si prevede svilupperanno una forma di demenza in futuro, dobbiamo migliorare la nostra comprensione di ciò che accade nel loro cervello, i trattamenti che si possono offrire, e trovare il modo per prevenire o curare le oltre 100 varianti della malattia.
Come collegare queste diverse esigenze generazionali è il ruolo in cui dovrà eccellere, spero, quel plenipotenziario globale per l'innovazione sulla demenza. La vera innovazione ha lo scopo di comprendere una vasta gamma di iniziative che potrebbero aiutare le famiglie che hanno un disperato bisogno di una migliore cura adesso (pur facendo anche passi avanti nella lotta contro lo stigma), riducendo la prevalenza della demenza, e rivoluzionando il modo in cui trattiamo le persone che vengono diagnosticate in futuro.
Quello che sospetto deluderà molte persone è che, nonostante il governo britannico si sia impegnato a raddoppiare i finanziamenti per la ricerca sulla demenza, questo livello comunque non corrisponde agli impegni esistenti per il cancro e le malattie cardiache. I risparmi da effettuare nella sanità e nell'assistenza sociale (riducendo il numero di persone che vivono con demenza), per non parlare delle parole di David Cameron "la demenza ruba la vita, rovina le famiglie, spezza il cuore ed è per questo che tutti noi qui siamo così assolutamente determinati a batterla", non riusciranno a pareggiare le sovvenzioni per altre malattie.
Quello che ci ha dato il G8, però, è uno straordinario sentimento di benevolenza verso l'enorme ampiezza dei problemi che sono associati alla demenza. Seduto tra i delegati al vertice, uno dei sentimenti più sorprendenti che ho avuto è stata la fusione delle ambizioni. Le aspirazioni politiche corrispondono alla corsa delle aziende a vantare un futuro più brillante per le persone con demenza, il tutto miscelato con il sapore multiculturale offerto dal G8.
Per quelli di mentalità aperta, le probabilità di imparare erano abbondanti, e gli esempi di buone pratiche come il modello francese di assistenza alla demenza e il modello giapponese di asssitenza agli anziani sono chiaramente già rispettati ampiamente. Eppure, come per gran parte della storia della demenza, non sono altrettanto ampiamente replicati.
Ad ogni delegato non poteva sfuggire che storicamente abbiamo fallito con le persone affette da demenza. Per molti aspetti con mio padre ho fallito. Tra i molti milioni di persone affette da demenza e le loro famiglie in tutto il mondo, ho il sospetto che la maggior parte direbbero che non vivono bene con la demenza nella loro vita. Quando i delegati hanno guardato i film che io e altri con un'esperienza personale di demenza avevamo fatto, erano semplicemente contenti di non essere sotto quei riflettori.
Quando si dovranno realizzare nel 2014 gli impegni del vertice, vedremo se il G8 avrà davvero messo sostanza dietro le parole di David Cameron, che l'11 dicembre 2013 è stato "il giorno che è inizata la reazione globale".
Pubblicato da Beth Britton in The Guardian (> English version) - Traduzione di Franco Pellizzari.
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