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L'impianto dei semi della demenza

Ricercatori hanno districato alcuni degli eventi neurologici che possono portare all'Alzheimer.

Due nuovi studi dimostrano che una proteina implicata in questa forma di demenza può infettare altri neuroni e diffondere la malattia in tutto il cervello. Queste proteine problematiche si raggruppano insieme, facendo insorgere problemi cognitivi.


Modello al computer di una molecola peptidica
beta-amiloide. Immagine: Leonard Lessin, Photo Researchers, Inc.

La forma di una proteina (il modo in cui si piegano le sue catene di aminoacidi) ne determina la funzione. Se un proteina si piega male, cambiano sia la sua struttura che la funzione. Nell'Alzheimer, i ricercatori sospettano da molto tempo che le versioni mal ripiegate di una proteina chiamata beta-amiloide potrebbero viaggiare da cellula a cellula e indurre più proteine beta-amiloidi ad assumere una forma deformata.


Per verificare questa idea, il biofisico Jan Stöhr della University of California di San Francisco, e i suoi colleghi, hanno iniettato proteine beta-amiloide sintetiche nel cervello di topi e hanno scoperto che le placche hanno cominciato a formarsi in meno di sei mesi. I ricercatori hanno scoperto che, anche quando le proteine sintetiche sono state iniettate solo in un lato del cervello, nel tempo le placche si sono materializzate in tutto l'organo.


"Se questi aggregati non vengono eliminati dal cervello, inizieranno a reclutare più peptidi beta-amiloidi nella conformazione malata, e inizierà la diffusione in tutto il cervello", dice Stöhr. I risultati sono apparsi nei Proceedings of the National Academy of Sciences USA di giugno


In uno studio separato, usando una coltura cellulare, un team di ricercatori guidato da Martin Hallbeck di Linköping in Svezia, ha tracciato per la prima volta la trasmissione da neurone a neurone della beta-amiloide. I risultati, pubblicati il 27 giugno nel Journal of Neuroscience, mostrano anche che i neuroni contenenti beta-amiloide mal piegata, possono indurre i neuroni connessi vicini a distruggersi, infettando alla fine l'intera cultura.


Il compito attuale per gli scienziati è capire come le altre proteine e macchine cellulari favoriscono il processo di infezione. Puntare a questi aiutanti può costituire un'opzione efficace per lo sviluppo di terapie di Alzheimer, dice Stöhr.

 

 

 

 

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Pubblicato da Carrie Arnold in Scientific American Ottobre 2012 - Traduzione di Franco Pellizzari.

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