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Quando il testamento non è valido per incapacità (esempio per demenza)

L’incapacità di intendere e volere è causa di nullità del testamento solo se si esclude totalmente la coscienza del testatore di comprendere il significato dei propri atti.  

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Di solito, si fa testamento quando si è molto anziani o malati, situazioni queste che implicano già di per sé una ridotta lucidità. Ma ciò non basta per far dichiarare nullo il testamento se il soggetto non è già stato interdetto dal tribunale. Ad esempio, una demenza senile, i primi sintomi del Parkinson, la diagnosi precoce di un tumore non sono sufficienti per poter chiedere al giudice, in un momento successivo, l’annullamento del testamento.


Ed allora, ci si chiederà: quando il testamento non è valido per incapacità? La risposta viene offerta da numerose sentenze che hanno affrontato il tema [1]. Ecco alcuni importanti chiarimenti pratici. 

 

Chi non può fare testamento?

Non possono fare testamento gli incapaci. Tali sono (a) i minorenni, (b) gli interdetti per infermità di mente e (c) coloro che, sebbene non interdetti, sono, per qualsiasi causa, anche transitoria, incapaci di intendere e di volere nel momento in cui fanno testamento. In tali casi, il testamento può essere impugnato da chiunque vi ha interesse. L’azione si prescrive in cinque anni dal giorno in cui è stata data esecuzione alle disposizioni testamentarie.

 

Incapacità del testatore: quando il testamento è nullo?

In presenza di un soggetto interdetto, ossia già dichiarato incapace dal giudice, non si pongono dubbi: il testamento è già, a monte, invalido.

I problemi sorgono per coloro che, pur non essendo stati privati della capacità d’intendere e volere da un provvedimento giudiziario, si siano però trovati, al momento della redazione del testamento, in una situazione di assenza o di ridotta capacità per una infermità momentanea (si pensi a un soggetto sotto psicofarmaci o ubriaco) o definitiva (si pensi alla presenza di una grave forma di demenza senile).

Ebbene, secondo i giudici, l’esistenza di una semplice alterazione delle facoltà psichiche ed intellettive del de cuius non basta a rendere invalido il testamento. 

Serve piuttosto la prova di una infermità (transitoria o permanente) che abbia determinato, nel testatore, al momento della redazione dell’atto di ultima volontà, una privazione assoluta della coscienza dei propri atti (ossia della capacità di comprenderne il significato) o della capacità di autodeterminarsi (ossia della capacità di scelta). 

 

Come dimostrare che il testatore era incapace?

Spetta al giudice, attraverso una perizia eseguita ex post sulla base delle cartelle cliniche e delle testimonianze, accertare se il testatore versasse effettivamente in condizioni intellettive tali da dover far escludere la permanenza di qualsiasi facoltà di discernimento o della possibilità di potersi determinare liberamente e autonomamente nelle proprie scelte. 

In tale prospettiva, come detto sopra, non ogni anomalia o alterazione delle facoltà intellettuali implica incapacità di testare, ma occorre, a tale effetto, che l’anomalia incida totalmente sulla coscienza dei propri atti ovvero di quell’attitudine ad autodeterminarsi. E tale condizione non si identifica in una generica alterazione del normale processo di formazione ed estrinsecazione della volontà ma richiede che, a causa dell’infermità, il soggetto, al momento della redazione del testamento, sia assolutamente privo della coscienza del significato dei propri atti e della capacità di autodeterminarsi.

 

A chi spetta dimostrare l’incapacità del testatore?

Poiché lo stato di capacità costituisce la regola e quello di incapacità l’eccezione, spetta a chi impugna il testamento provare l’incapacità del de cuius, salvo che il testatore non risulti affetto da incapacità totale e permanente, nel qual caso grava, invece, su chi voglia avvalersene provarne la corrispondente redazione in un momento di lucido intervallo.

Il giudice può trarre la prova dell’incapacità del testatore dalle sue condizioni mentali in epoca anteriore o posteriore al testamento, sulla base di una presunzione, potendo l’incapacità essere dimostrata con qualsiasi mezzo di prova [2].

Dunque, quanto alla ripartizione dell’onere della prova, chi deduce l’invalidità del testamento deve dimostrare che il testamento venne redatto in una condizione di permanente e stabile demenza poiché, in questo caso, l’incapacità di testare si presume e spetta a chi intenda avvalersene dimostrare che lo stesso fu redatto in un momento di lucido intervallo. 

Qualora, invece, detta infermità sia intermittente o ricorrente, poiché si alternano periodi di capacità e di incapacità, non sussiste tale presunzione e, quindi, la prova dell’incapacità deve essere data da chi impugna il testamento.

 

Testamento pubblico e incapacità d’intendere e volere

Non si deve cadere nell’errore di ritenere impugnabile per incapacità d’intendere e volere solo il testamento olografo, ossia quello fatto direttamente dal testatore, senza l’assistenza del pubblico ufficiale. Anche il testamento pubblico, ossia quello alla presenza del notaio, può essere annullato per vizio di mente. E ciò perché lo stato di sanità mentale del testatore, seppure ritenuto e dichiarato dal notaio per la mancanza di segni apparenti di incapacità del testatore medesimo, può essere contestato da chi ne abbia interesse con qualsiasi mezzo di prova.

L’atto pubblico fa piena prova solo delle dichiarazioni delle parti e degli altri fatti che il pubblico ufficiale attesti essere avvenuti in sua presenza o da lui compiuti, ma nei limiti della sola attività materiale, immediatamente e direttamente richiesta, percepita e constatata dallo stesso pubblico ufficiale nell’esercizio delle sue funzioni. Il notaio non è un medico in grado di accertare le condizioni mentali del proprio cliente; quindi, in assenza di evidenti sintomi di incapacità, deve procedere alla redazione del testamento che potrebbe però poi essere impugnato per difetto di capacità. 

Attenzione: per chiedere l’annullamento del testamento notarile per incapacità d’intendere e volere non c’è bisogno di procedere con la cosiddetta querela di falso, la procedura cioè rivolta a togliere la validità agli atti pubblici [3]. E ciò proprio perché il notaio non è chiamato ad accertare la capacità del testatore.

 

 

 


Fonte: La Legge per Tutti

Riferimenti:

  1. C. App. Torino sent. n. 340/2022.
  2. Cass. sent. n. 42124/2021.
  3. Trib. Bologna, sent. n. 2726/2021.


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