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Abbiamo visto che la demenza è caratterizzata dalla perdita progressiva delle funzioni che permettono a ognuno di noi di conoscere e riconoscere il mondo che ci circonda, ma anche percepire correttamente gli stimoli interni, cioè quelli che provengono dal corpo e di dar loro un significato. Queste funzioni sono dette cognitive e, come è facile capire, sono indispensabili perché una persona possa interagire in modo adeguato con il mondo e con gli altri.

Le funzioni cognitive comprendono: la memoria, la capacità di apprendimento, l’attenzione, il linguaggio, la capacità di riconoscimento degli stimoli, di pianificazione di azioni e gesti complessi, di elaborazione di pensieri astratti, di valutazione delle situazioni in modo adeguato.

 

La memoria

La memoria è la funzione cognitiva maggiormente colpita nelle varie forme di demenza; un deficit di memoria prende il nome di amnesia.

Cos’è la memoria? Ognuno di noi ha una definizione propria di memoria, ma le sue caratteristiche vanno ben al di la della nostra immaginazione. La memoria è la capacità di immagazzinare informazioni attraverso tutti i sensi (vista, udito, olfatto, gusto e tatto) e di averne successivamente accesso, ossia di ricordarle. Abbiamo quindi una memoria visiva, uditiva, olfattiva ed anche emotiva che ci permette di ricordare eventi legati a forti emozioni! }

La memoria è una capacità fondamentale per tutti gli esseri umani perché permette di generare nuove conoscenze e di mantenere una continua e aggiornata valutazione del mondo esterno. Quindi la memoria non ci permette esclusivamente di ricordare, ma ci permette anche di apprendere continuamente nuove informazioni. Ed è proprio questo secondo aspetto della memoria ad essere colpito principalmente nell’invecchiamento e in particolare nelle demenze.

Non abbiamo però un sola memoria, ne abbiamo molte! Vediamo quali sono. In base alla capacità e alla durata del ricordo, possiamo distinguere due tipi di magazzini, uno è quello della memoria a breve termine (ricordo di quantità limitate di informazioni che devono essere rievocate immediatamente) e l’altro quello della memoria a lungo termine (permette di immagazzinare grandi quantità di informazioni per un lungo periodo di tempo, a volte anche per sempre!). Possiamo distinguere la memoria anche in base al tipo di informazione che viene immagazzinata: quella che ci consente di archiviare esperienze passate che siano specifiche (memoria episodica) o personali (memoria autobiografica), così come avvenimenti che riguardano la “conoscenza generale del mondo” (memoria semantica) o comportamenti che richiedono l’acquisizione di gesti da eseguirsi in una sequenza corretta (memoria procedurale, ad esempio, capacità di andare in bicicletta o di fare una torta) e infine la memoria che ci permette di progettare eventi per il futuro (memoria prospettica).

Questa breve descrizione della suddivisione della memoria ha lo scopo di sottolineare come una sua compromissione non sia necessariamente globale, ma possa colpire solo uno o più aspetti di questa complessa funzione cognitiva, in base al tipo di demenza e quindi all’area del cervello principalmente compromessa.

È noto che la maggior parte dei pazienti affetti da demenza giunge alla prima consultazione medica in seguito al manifestarsi di disturbi della memoria nella vita quotidiana (ad esempio, non ricorda dove ha riposto oggetti di uso comune o cosa ha mangiato per pranzo). Anche la memoria prospettica è colpita dalla malattia e tale deficit si manifesta ad esempio con la dimenticanza per gli appuntamenti o per gli impegni presi. Con il progredire della malattia, il disturbo di memoria peggiora in modo lento, ma progressivo fino a compromettere anche i ricordi del passato; la persona affetta da Malattia di Alzheimer presenta un disturbo abbastanza precoce della memoria autobiografica (ricordi confusi sul proprio passato, trasposizione di eventi di un’epoca lontana al periodo presente). La perdita progressiva della memoria che si vede nelle persone con demenza segue un generale andamento a ritroso: vengono dimenticati prima i fatti recenti, successivamente gli eventi di qualche anno prima ed infine i ricordi della giovinezza.

I disturbi di memoria possono comparire per gradi nel tempo e di solito non tutti contemporaneamente, tuttavia rendono al malato difficile relazionarsi con il mondo circostante, sia esso formato da cose, oggetti, persone o ambienti. Questa condizione crea nel malato disagio caratterizzato da frustrazione, ansia e talvolta anche depressione perché queste difficoltà lo fanno sentire inefficiente.

“Forse un giorno stai riflettendo su un dato pensiero quanto mai essenziale,
e un minuto dopo, ti sfugge. Perdi quello che stavi cercando di dire".
Da «Visione parziale. Un diario dell’Alzheimer», libro scritto da Cary Smith Henderson,
professore universitario di storia che ha documentato la sua malattia,
registrando, finché ha potuto, i suoi pensieri, i suoi sentimenti, le sue paure]

Alcuni consigli pratici:

  • Nelle fasi iniziali della malattia, può essere utile aiutare il malato a ricordare per facilitare e allenare la memoria. Bisogna tenere presente tuttavia che non bisogna insistere se ci si rende conto che questo crea disagio al malato;
  • Possono essere utili, nelle fasi iniziali, le terapie di ri-orientamento nella realtà, di stimolazione della memoria (giochi di memory con l’abbinamento di figure e luoghi), schede di causa effetto (nuvola – pioggia), giochi di incastro.
  • È bene tener presente che quando la malattia è in fase avanzata, le correzioni sono solo fonte di ulteriore disagio. Sembra infatti che le persone con disturbi di memoria facciano fatica a “passare sopra” ai propri errori;
  • Utilizzare le associazioni di parole per aiutare il malato a ritrovare il significato delle parole o il semplice ricordo delle stesse;
  • Non aspettarsi che il malato ricordi impegni per il futuro anche prossimo, è importante quindi l’utilizzo di biglietti e cartelli distribuiti nei punti strategici della casa che ricordino le “cose da fare”;
  • Annotare gli impegni e gli appuntamenti sul calendario o fare tenere al malato una sorta di diario che può essere consultato ogni volta che vi siano dei dubbi;
  • Proprio per il fatto che abbiamo molti tipi di memoria e che solo alcuni di questi non funzionano al 100% nelle persone con demenza, è possibile che il malato ricordi meglio alcune cose e ne dimentichi altre che a noi magari sembrano più semplici. Non si tratta ne di un tentativo di prenderci in giro ed ne di “farlo apposta”, è purtroppo un sintomo della malattia;
  • Il malato ripete molte volte le stesse cose mettendo a dura prova la pazienza di chi gli sta accanto. Le ripete perché dimentica di averle dette, quindi si deve cercare di rispondere aggiungendo di volta in volta particolari dell’informazione da immagazzinare, anche di tipo emotivo, che favoriscano il ricordo.

 

 

Il disorientamento

Con il termine disorientamento si indica l’incapacità di una persona di orientarsi nel tempo e nello spazio intorno a sé e di muoversi nell’ambiente circostante a causa di una alterata percezione delle relazioni temporali, spaziali o personali. Spesso è accompagnato da confusione.

Abitualmente il primo disturbo a comparire è l’incapacità di orientarsi nel tempo; solo successivamente anche lo spazio diventa estraneo. Per il malato, il problema più grave non è solo quello di non sapere che ora è o di non riconoscere un luogo o di non trovare le diverse stanze, bensì l’ansia che ne deriva.

“La cosa più paurosa penso sia che non ho alcun senso del tempo.
Non ho la più pallida idea di cosa vuol dire fra dieci ore o fra due ore.
Per una ragione che mi sfugge, non riesco sempre a ricordare la mia età”.

Da «Visione parziale. Un diario dell’Alzheimer».

Alcuni consigli pratici:

  • E’ utile installare in modo ben visibile strumenti che possano favorire le informazioni essenziali riguardanti lo spazio e il tempo (calendari e orologi con i caratteri ingranditi su sfondo colorato, cartelli sulle porte indicanti le stanze e sui cassetti dei mobili della camera da letto per la scelta degli indumenti, disegni appropriati);
  • Nelle fasi iniziali può risultare importante la rievocazione di momenti personali significativi attraverso l’uso di oggetti e di fotografie perché il ricordo può diventare motivo di gratificazione.
  • È opportuno creare condizioni di routine che aiutino il malato ad orientarsi nel corso della giornata e che gli diano sicurezza.
  • Quando usciamo all’esterno dell’abitazione, è utile descrivere il percorso che stiamo facendo e far notare i eventuali punti di riferimento (bar, supermercati, etc).
  • Assicuratevi che quando esce di casa abbia sempre in tasca o in portafoglio un foglio con l’indirizzo e i numeri di telefono da chiamare in caso di bisogno.

 

 

L’attenzione

L’attenzione regola l’attività dei processi mentali e filtra e organizza le informazioni provenienti dall’ambiente per dare una risposta adeguata. Svolge quindi un’importante funzione di filtro tra le migliaia di stimoli che, in ogni momento, bombardano i nostri organi di senso (immagini, suoni, stimolazioni tattili, sapori, gusti).
Anche di attenzione, così come di memoria, non ne abbiamo una sola. Invecchiando, diminuisce la capacità di mantenere alta l’attenzione per un tempo prolungato (attenzione sostenuta); con l’insorgere di una demenza, viene persa progressivamente la capacità di filtrare e selezionare gli stimoli per noi rilevanti (attenzione selettiva) tralasciando quelli non importanti. Ciò si traduce nell’incapacità del soggetto affetto da demenza di svolgere più di una azione contemporaneamente (attenzione divisa) e, talvolta, anche compiti che prima venivano svolti abitualmente, possono risultare in seguito all’insorgere della malattia, di difficile svolgimento.

“Riesco a pensare a una cosa sola alla volta.
Gli incontri allargati, di qualsiasi tipo, mi riesce molto difficile seguirli…
Se non c’è troppa confusione riesco a ricordare meglio. Posso pensare meglio.”

Da «Visione parziale. Un diario dell’Alzheimer.»

Vedremo più dettagliatamente nei paragrafi successivi come l’ambiente assuma una valenza terapeutica in determinate condizioni di malattia. Alcuni consigli pratici:

  • E’ importante che il malato svolga una attività per volta, bisogna evitare di chiedergli di svolgere due compiti nello stesso momento (facendo anche attenzione al livello di complessità del compito per non creare una situazione frustante).
  • Evitare la presenza di rumori di sottofondo, come televisione o radio mentre si comunica con il malato perché sono fonte di distrazione.
  • Evitare interruzioni durante lo svolgimento di un particolare compito. Questo potrebbe distogliere l’attenzione da ciò che sta facendo e compromettere il raggiungimento dello scopo prefissato.

 

 

Il linguaggio

Il linguaggio è un complesso sistema di comunicazione che permette di trasmettere informazioni e conoscenze da un individuo all’altro attraverso un complesso repertorio di comportamenti. L’uomo trasmette informazioni, idee, sentimenti agli altri sia attraverso la comunicazione verbale che la comunicazione non verbale (tono della voce, postura, espressione del volto, gesti, etc.).


Comunicazione verbale
Nel corso della demenza si verifica una progressiva difficoltà di comunicare con le parole e di comprendere ciò che viene detto da altri, alterazione che prende il nome di afasia.

Il crescente impoverimento del vocabolario da un lato (utilizzo di frasi dal contenuto sempre più povero e parole semplici e di uso comune) e l’incapacità di tradurre il proprio pensiero in parole (le parole si svuotano pian piano del loro significato) e quello degli altri nei concetti corrispondenti (difficoltà di comprensione), può a lungo andare indurre il malato al silenzio.

La persona affetta da demenza incontra inizialmente difficoltà a ricordare i propri dati personali, ma conserva i convenevoli (ad esempio saluti e ringraziamenti) e gli automatismi (ad esempio canzoni e preghiere). Spesso fa uso di parole “passe-partout” (ad esempio roba, cosa, coso), che gli permettono di sostenere una conversazione all’apparenza adeguata. Al tempo stesso, il discorso della persona affetta presenta anche meno coesione dovuta a difficoltà nel trovare la parola giusta al momento giusto (anomia) e all’uso di una parola per un’altra (parafasia verbale) in base alla somiglianza nella pronuncia (ad esempio “caraffa” al posto di “giraffa”), nella categoria di appartenenza (ad esempio “forchetta” anziché “cucchiaio” o “tigre” piuttosto che “leone”) o ad entrambi (ad esempio “accappatoio” invece di “cappotto”).

Oltre alle difficoltà di produzione del linguaggio il paziente affetto da demenza ad un certo punto dimostra difficoltà anche nella comprensione del linguaggio, infatti le nostre richieste non vengono comprese subito, ma hanno bisogno di essere rinforzate o ripetute in modo semplice. Per farci meglio comprendere è utile utilizzare la gestualità o comunque accompagnare la nostra comunicazione a gesti che rafforzano ciò che vogliamo esprimere.

Successivamente il malato si esprime più lentamente e si ripete spesso sia nelle affermazioni sia nelle domande; l’eloquio sussiste ma é vuoto, privo di contenuto. Un altro aspetto che influisce sul deterioramento del linguaggio è collegato ai deficit di memoria: la capacità di memorizzare il contenuto di ciò che viene riferito si affievolisce sempre più e quindi il malato non riesce a “tenere il filo del discorso”. Nell’ultimo stadio della malattia il linguaggio risulta gravemente compromesso sia nella componente espressiva, che di comprensione.

“Le parole si confondono facilmente tra loro e quando non trovo una parola provo un senso di frustrazione.”,
“…la parola stampata mi mette in difficoltà. Riesco a vedere le lettere e a capire per metà di cosa si tratta,
ma se cerco di ordinarle in una sequenza logica probabilmente non sarei in grado di leggere.
Vedo le parole, so pronunciarle, ma per me non hanno molto senso".
Da «Visione parziale. Un diario dell’Alzheimer.»

 

 

Comunicazione non verbale
Un aspetto molto importante nella comunicazione con una persona affetta da demenza è la comunicazione non verbale. La comunicazione non verbale è utile non solo al familiare, ma anche al malato per esprimere il suo stato d’animo e i suoi bisogni.}

L’espressione del viso (anche se il malato talvolta non riconosce il volto, ne coglie sempre il sorriso), lo sguardo (uno sguardo sfuggente può essere interpretato come indifferenza e sottovalutazione), l’intonazione della voce (mai troppo alta), il linguaggio corporeo (il modo di muoversi e di comportarsi), il contatto fisico (prendergli la mano, appoggiare mano o braccia sulle sue spalle o stringerlo tra le braccia) contribuiscono di più a trasmettere alla persona con demenza lo stato d’animo e i sentimenti dell’interlocutore che le parole stesse. Man mano che perde la capacità di comprendere le parole, il malato si aggrappa sempre di più alla comunicazione non verbale. Diminuisce quindi l’importanza del contenuto delle parole dette o sentite e diventano più importanti gli aspetti non verbali del linguaggio. Per questo motivo, chi si prende cura di una persona con demenza deve essere consapevole del proprio linguaggio corporeo e apparire sempre coerente, cioè le sue parole non devono mai essere in contrasto con il suo atteggiamento.

A questo punto è importante sottolineare che bisogna fare molta attenzione quando si parla del malato e della malattia con altre persone in sua presenza convinti che questi non capisca. Esiste la possibilità che egli possa cogliere dal tono della voce o dalla gestualità o da qualche determinata parola del discorso l’idea principale, che potrebbe ferirlo o che potrebbe essere causa di incomprensioni.

Come fare allora a comunicare con il malato?

  • E’ opportuno scegliere un ambiente tranquillo e ben illuminato per facilitare la comunicazione al fine di ridurre gli episodi di ansia o agitazione.
  • E’ molto importante che il malato possa dedicarsi all’atto della comunicazione senza dover svolgere contemporaneamente altri compiti.
  • Parlargli con chiarezza e molto lentamente, usare parole e frasi molto brevi, semplici e concrete, accompagnare il linguaggio verbale con una gestualità coerente, comunicargli un messaggio per volta, usare frasi affermative.
  • Può essere utile rispondere sempre alle sue domande, anche se sono ripetitive: per il malato è sempre come fosse la prima volta! Questa ripetitività può essere tuttavia espressione di ansia, allora risulta più efficace spostare l’attenzione su qualcos’altro, piuttosto che continuare a rispondergli;
  • Solitamente il malato ha, fin dall’inizio, grosse difficoltà nello svolgere due attività in contemporanea, anche quelle più semplici e automatizzate; quindi é molto importante che il malato possa dedicarsi esclusivamente all’atto di comunicare senza svolgere altri compiti compresi quelli di routine quali mangiare, lavarsi o vestirsi.
  • Evitare di cambiare senza preavviso l’argomento di conversazione.
  • Di frequente il malato sente il forte bisogno di stare in silenzio rifiutando di entrare in contatto con chiunque. Bisogna rispettare quei momenti per non rischiare che egli viva che il contatto in modo stressante e spiacevole.
  • Talvolta il malato non comprende ciò che stiamo dicendo, non tanto per la complessità del nostro discorso, piuttosto per la difficoltà di mantenere elevata l’attenzione per lungo tempo. Occorre quindi attirare spesso l’attenzione del malato, chiamandolo, ad esempio, per nome quando gli si parla.

 

 

Altri disturbi cognitivi

Con il termine agnosia si intende l’incapacità a riconoscere e/o interpretare il significato o la forma delle informazioni visive, uditive o tattili, pur essendo intatta la capacità di percepire tali stimoli sensoriali. Questa incapacità può riguardare anche stimoli provenienti dal nostro corpo (endogeni) e manifestarsi nella difficoltà a localizzare il dolore o ainterpretare le informazioni relative alla posizione assunta dal corpo in un dato momento. Il disturbo agnosico insorge tipicamente nelle fasi avanzate della malattia e può caratterizzarsi quindi nel:

  • mancato riconoscimento di oggetti di uso comune (vestiti, pettine, forbice etc.) e quindi nell’incapacità di utilizzarli correttamente;
  • difficoltà a riconoscere la posizione del proprio corpo nello spazio e a riconoscere le varie parti del corpo; deficit che peggiorano la capacità di vestirsi e camminare;
  • difficoltà a riconoscere volti familiari (anche il proprio nelle fotografie o allo specchio) rispetto a volti sconosciuti che si traduce in mancati riconoscimenti di persone familiari oppure falsi riconoscimenti di persone estranee.

Tutti questi errati o mancati riconoscimenti possono generare paura, atteggiamenti di opposizione, ostilità/aggressività, aumento dello stato di ansia e agitazione. Nelle persone che lo assistono determina spesso una difficoltà a comprendere il fenomeno e quindi sconforto, frustrazione e rabbia. È fondamentale ai fini di una migliore gestione comprendere che i comportamenti “strani” del malato sono conseguenza della malattia, non di un atteggiamento volontario o di un dispetto. Bisogna perciò cercare di evitare atteggiamenti punitivi o di rimprovero.

“Prima riuscivo a parlare con le persone e a camminare senza dovermi chiedere se c'è il pavimento
[…]. Credo proprio che l’Alzheimer riguardi, oltre al cervello, anche quello che fanno mani e piedi.”

Da «Visione parziale. Un diario dell’Alzheimer.»

Alcuni consigli pratici:

  • Rimuovere dall’ambiente quegli oggetti che non essendo riconosciuti diventano fonte di ansia e di pericolo. Anche gli specchi, ad esempio, possono far scatenare nel malato paura e agitazione, in quanto a volte i malati non si riconoscono più quando si riflette la loro immagine;
  • Di fronte a un mancato riconoscimento di un familiare, seguito da un comportamento ostile o aggressivo, è importante non insistere per cercare di fargli comprendere come stanno realmente le cose.

Nelle fasi iniziali della malattia, il malato talvolta non riesce a programmare alcuni movimenti che ci permettono di realizzare sequenze di movimenti più o meno complessi (aprassia). L’aspetto curioso di questi disturbi è che la persona malata può non essere in grado di compiere un gesto se gli viene chiesto, ma può farlo autonomamente nel caso in cui si trovi nel contesto adeguato. Ad esempio, può essere in grado di fare un gesto, come soffiare, se deve spegnere una candela, ma non essere capace se gli viene ordinato di soffiare e basta. Esistono due grandi gruppi di aprassie, quelle “ideatorie” in cui il soggetto ha perso lo schema motorio appreso e “non sa cosa fare” e quelle “motorie” in cui lo schema è noto, ma il soggetto non sa come metterlo in pratica. Esiste anche l’aprassia dell’abbigliamentonel momento in cui anche vestirsi diventa difficile. Si tratta dell’incapacità ad eseguire correttamente i movimenti appropriati a vestirsi, in assenza di altre alterazioni. Il malato può inizialmente indossare gli abiti nell’ordine sbagliato (ad esempio, mettere prima la camicia e poi sopra la canottiera), oppure infilare gli abiti nelle parti errate del corpo, e non riuscire ad abbottonare o allacciare le scarpe, eccetera.

Alcuni consigli pratici:

  • Le attività complesse devono essere scomposte in azioni semplici. Ad esempio, la richiesta “lavati i denti” deve essere scomposta in “prendi lo spazzolino… ora prendi il tubetto di dentifricio… ora metti un po’ di dentifricio sullo spazzolino… etc”.
  • E’ utile dare un esempio, cioè mostrare al malato l’azione da compiere; imitare un gesto o un movimento, talvolta è più semplice che eseguirlo quando ti viene semplicemente chiesto di farlo.
  • Iniziare il movimento o l’azione assieme potrebbe aiutare il malato a ricordare come fare.
  • Si può provare a far fronte ai disturbi dell’aprassia dell’abbigliamento, preparando sopra il letto o sopra la sedia i vestiti che il malato deve indossare già nell’ordine corretto.

 

 

 

Fonte: Vademecum 2010 Associazione Alzheimer Riese, a cura di Dr.ssa Daniela Bobbo, Dr.ssa Elena Mascalzoni

Si ringraziano per i preziosi consigli: Dr.ssa Marzia Pelloia (Logopedista), Dr. Massimo Zanardo (Geriatra), Dr.ssa Emma Ziliotto (Medico di Medicina Generale).

 

 

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