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Controllo cognitivo, riserva cognitiva e memoria nel cervello bilingue che invecchia

Negli ultimi anni, il bilinguismo è stato collegato a vantaggi sia nel controllo esecutivo sia nell'impatto positivo sull'invecchiamento. Tali effetti cognitivi positivi del bilinguismo sono stati attribuiti alla maggiore necessità di controllo del linguaggio durante l'elaborazione bilingue e a una maggiore riserva cognitiva, rispettivamente.


Tuttavia, manca ancora una spiegazione meccanicistica di come l'esperienza bilingue contribuisce alla riserva cognitiva.
Questo documento propone una nuova focalizzazione sulla memoria bilingue come una strada per esplorare il rapporto tra controllo esecutivo e riserva cognitiva. Noi sosteniamo che questo obiettivo può migliorare la nostra comprensione dei meccanismi neurali funzionali e strutturali sottostanti gli effetti cognitivi indotti dal bilinguismo.


Con questa prospettiva discutiamo e integriamo il recente lavoro cognitivo e di neuroimaging sul vantaggio bilingue, e suggeriamo una considerazione che collega controllo cognitivo, riserva cognitiva e riserva cerebrale nell'invecchiamento e nella memoria bilingue.


La ricerca sul bilinguismo (vedi nota 1) ha recentemente generato molto entusiasmo nello studio di mente e cervello (vedi Diamond, 2010; Bialystok, 2011). Che cosa ha portato il bilinguismo al centro della scena nella scienza cognitiva? Un motivo chiave potrebbe essere la prospettiva (e le scoperte) che l'esperienza bilingue, con due o più lingue, trasmette benefici cognitivi a lungo termine. Tali benefici si riflettono nel fatto che, rispetto ai monolingui, i bilingui di solito evidenziano capacità avanzate di controllo cognitivo, mostrano una maggiore flessibilità mentale, e possono gestire meglio compiti che coinvolgono il passaggio tra compiti, l'inibizione e il monitoraggio dei conflitti (vedi Bialystok and Barac, 2013 per una rassegna).


Negli ultimi dieci anni sono stati dedicati un gran numero di studi all'esame dei benefici cognitivi del bilinguismo. In questi studi, i bilingui in genere mostrano effetti minori di conflitto (misurati come tempo ridotto di reazione) attraverso una serie di attività di controllo esecutivo, tra cui l'Attention Network Test (es.: Costa et al., 2008; Tao et al., 2011), il compito Simon (es.: Bialystok et al., 2004), e il compito Stroop (es.: Coderre et al., 2013).


Inoltre, questi vantaggi cognitivi hanno dimostrato di verificarsi nel corso della vita di popolazioni che vanno dai bambini (es.: Bialystok and Feng, 2008) ai giovani adulti (es.: Bialystok et al., 2008), agli anziani (es.: Bialystok et al., 2006). Inoltre, i bilingui, rispetto a monolingui, mostrano una insorgenza ritardata del declino cognitivo correlato all'età in varie forme di demenza, come l'Alzheimer, di una media impressionante di 4-4,5 anni (Bialystok et al., 2007; si veda anche Alladi et al., 2013).


In questo lavoro, cerchiamo di fornire un resoconto degli effetti cognitivi (e dei vantaggi) indotti dal bilinguismo da una prospettiva neurocognitiva. In particolare, i nostri obiettivi sono (1) valutare le basi comportamentali e neurali del vantaggio cognitivo bilingue, e (2) suggerire una considerazione meccanicistica per capire le basi neurali della riserva cognitiva bilingue negli anziani per esaminare la relazione tra controllo esecutivo, memoria e riserva cerebrale.


Un certo numero di ricercatori hanno suggerito che l'esperienza bilingue negli anziani può fornire riserva cognitiva, un meccanismo protettivo che aumenta la capacità del cervello di far fronte alla patologia (Bialystok et al., 2007; Luk et al., 2012; Abutalebi et al., 2014a, b). In una revisione della riserva cognitiva, Stern (2009) ha distinto la riserva cognitiva dalla riserva cerebrale. Un'ipotesi precedente della riserva cerebrale era l'«ipotesi di soglia», secondo la quale c'è una soglia critica oltre la quale il paziente mostra deficit cognitivo marcato clinicamente (vedi Satz, 1993).


Stern (2009, p. 2016) ha definito la riserva cerebrale come "differenze individuali nel cervello stesso, che permettono ad alcune persone di affrontare meglio di altre la patologia cerebrale". In questa prospettiva, il meccanismo alla base della riserva cerebrale è considerato come quantitativo: più neuroni, più sinapsi, migliore resistenza all'apoptosi, e così via, sono usati dall'individuo per proteggersi dal declino legato all'età.


La riserva cognitiva, al contrario, è stata definita da Stern (2009, p. 2016) come "le differenze individuali nel modo in cui le persone elaborano le attività, permettendo a certuni di affrontare meglio di altri la patologia cerebrale". Bialystok et al. (2007) sostengono che il bilinguismo contribuisce alla riserva cognitiva, migliorando l'efficienza dell'elaborazione del controllo esecutivo via esperienze intense e quotidiane nel maneggiare due lingue concorrenti (ad esempio, inibendo la lingua non in uso, vedere altra discussione di seguito). Anche se questi autori non distinguono formalmente tra riserva cognitiva e riserva cerebrale come ha fatto Stern (2009), la loro assunzione implicita era che la riserva cognitiva comporta la riserva cerebrale (vedi Luk et al., 2011).


Per capire come l'esperienza bilingue fornisce all'individuo la riserva cognitiva, dobbiamo esaminare sistematicamente il rapporto cognizione-cervello-comportamento. Da una parte, ci deve essere una base cerebrale della riserva cognitiva, forse riflessa in livelli potenziati di cambiamenti neuroanatomici: ad esempio, maggiore densità di materia grigia, integrità della sostanza bianca e spessore corticale (vedi Li et al., 2014, per una recente revisione). Questa ipotesi sarebbe coerente con l'idea di una corrispondenza riserva cognitiva-riserva cerebrale.


D'altra parte, ci deve essere anche una base comportamentale perchè sorga la riserva cognitiva, forse a causa di un aumento dei livelli di coinvolgimento in compiti o attività che si basano sul controllo esecutivo, sull'attenzione, sul monitoraggio e sulla commutazione dei bilingui. Questo lavoro si propone di fornire i collegamenti mancanti tra cognizione, cervello e comportamento per quanto riguarda i vantaggi cognitivi del bilinguismo, con particolare attenzione a come possono essere identificati nel cervello bilingue che invecchia. Iniziamo esaminando la corrispondenza tra comportamento e cognizione qui sotto, e poi discuteremo le basi neurali della riserva cognitiva.

 

Base comportamentale del vantaggio cognitivo bilingue

Limite, natura e tempi dell'esperienza bilingue

A differenza di molti compiti cognitivi che possono essere confinati a competenze o attività specifiche, l'esperienza linguistica bilingue è in genere ad alta intensità, a lungo termine, e praticata quotidianamente con alta frequenza per la maggior parte delle persone che vivono in un ambiente bilingue. E' questa intensità o dimensione dell'esperienza a cui i ricercatori attribuiscono gli effetti cognitivi vantaggiosi del bilinguismo.


Un lavoro recente da laboratorio di formazione o da studi longitudinali ha dimostrato anche che il grado dell'esperienza bilingue spesso si correla con i livelli di competenza della seconda lingua e con il grado dei cambiamenti neuroanatomici (Mechelli et al., 2004; Grogan et al., 2012; Mårtensson et al., 2012; Schlegel et al., 2012). Tuttavia, l'intensità dell'esperienza da sola non è sufficiente a spiegare il ruolo unico del bilinguismo. Altri due fattori devono essere presi in considerazione: la natura dell'esperienza e la sua tempistica (vedi Bates, 1999; Li et al., 2014).


Per quanto riguarda la natura dell'esperienza bilingue, è stato suggerito che il bilinguismo può essere paragonato a un "giocoliere mentale" (Kroll and Bialystok, 2013). Cioè, parlare una lingua spesso comporta l'attivazione parallela di entrambe le lingue del bilingue (vale a dire, l'attivazione non selettiva di elementi da entrambe le lingue, vedi De Groot, 2013 per una rassegna recente), e quindi, il controllo inibitorio è tenuto a sopprimere l'attivazione del linguaggio non richiesto nel processo di produzione o riconoscimento linguistico del bilingue.


Questo uso attivo del controllo inibitorio nel bilinguismo è stato formalizzato come ipotesi nel modello «Controllo Inibitorio» (Green, 1998) e nel modello «Bilingual Interactive Activation» (BIA+; Dijkstra and van Heuven, 2002). Per produrre efficacemente o capire il flusso del discorso corrente ed evitare interferenze costanti dalla lingua non intenzionale, il bilingue deve impegnare il sistema di controllo esecutivo per monitorare le due lingue e inibire l'attivazione dell'altra lingua. Questo è ancora più importante in un ambiente bilingue dove l'oratore deve passare da una lingua all'altra conversando con oratori di lingue diverse.


Per quanto riguarda i tempi dell'esperienza bilingue, anche se è vero che, in generale, prima si apprende la seconda lingua (L2), più probabile è ottenere una competenza di tipo nativo [cioè, l'effetto «età di acquisizione» (AoA - age of acquisition); vedi Hernandez and Li, 2007], ora è stato riconosciuto che livelli molto elevati di competenza nella L2 sono possibili anche quando si impara la L2 tardi nella vita. Ancor più incoraggiante è la prova che il cervello mostra una notevole malleabilità come risultato dell'esperienza di apprendimento, per cui nel corso della vita possono insorgere sia cambiamenti funzionali che neuroanatomici (vedi Li et al., 2014 per la revisione).


Comunque c'è la questione di come i tempi dell'esperienza linguistica interagiscano con l'intensità o la misura e con la natura dell'esperienza linguistica. Ad esempio Abutalebi et al. (2014a) hanno mostrato che quando vengono esaminati i bilingui anziani nella gamma 60-80 anni, l'effetto AoA può non essere così importante (cioè, l'apprendimento della L2 dopo i 30-50 anni, rispetto a qualche anno di differenza nell'età iniziale di esposizione della L2). Questa situazione è diversa dai bilingui più giovani (per esempio, gli studenti universitari, i nostri soggetti tipici sperimentali) che si trovano nella fascia 18-22 anni di età, quando pochi anni di differenza AoA possono essere significativi.

 

Potenziamento cognitivo per dominio o generale?

Alla base dell'ipotesi vantaggio cognitivo del bilingue c'è il presupposto che l'esperienza in un dominio (bilinguismo) può avere un impatto positivo più in generale tra i domini (il controllo esecutivo nella cognizione generale). Questo perché l'esperienza linguistica bilingue impegna costantemente il sistema di controllo esecutivo, in alcuni casi una esperienza di vita, nel monitorare, selezionare, controllare e commutare tra più lingue che possono essere contemporaneamente attive e competere nella mente bilingue. Tali esperienze potrebbero a loro volta affinare la mente bilingue e portare a miglioramenti nel dominio generale e non linguistico trattando le informazioni (Bialystok and Barac, 2013).


Ci sono diversi problemi che dobbiamo risolvere prima di poter abbracciare completamente questo argomento del potenziamento cognitivo nel dominio generale.

  1. In primo luogo, dobbiamo collegare aspetti specifici dell'esperienza bilingue a componenti specifici del sistema di controllo esecutivo (vedi Dong and Li, 2014). Questo include lo studio delle somiglianze e delle differenze tra, per esempio, la commutazione della lingua e la commutazione tra compiti non linguistici. Un certo numero di studi sono stati ora dedicati a questo problema, compresi i substrati neurali delle differenze tra attività linguistica e non linguistica (es.: Abutalebi et al., 2008; van Heuven et al., 2008; Prior and Gollan, 2011).

  2. In secondo luogo, abbiamo bisogno di capire se l'esperienza linguistica è unica nel fornire un miglioramento al dominio generale nel controllo esecutivo, o se l'acquisizione di altri compiti cognitivi o competenze può portare allo stesso modo ad effetti nel dominio generale. Finora le prove in questo senso sono state scarse, anche se ci sono state dichiarazioni che le attività intensive, come i videogiochi d'azione, possono migliorare le capacità di allocazione delle risorse e, quindi, la cognizione generale (es.: Bavelier et al., 2012). Collegata a questo c'è la sfida di come separare gli effetti dovuti all'esperienza bilingue dagli effetti dovuti ad altre attività cognitive, nonché agli effetti dell'ambiente culturale, alla somiglianza o alla distanza del linguaggio, all'istruzione e allo status socio-economico, tra gli altri (vedi Bialystok and Barac, 2013).

  3. In terzo luogo, c'è la questione se gli effetti cognitivi del bilinguismo si riflettono in particolare nell'enfatizzare le capacità di controllo esecutivo, o invece in un generale vantaggio di elaborazione cognitivo. Hilchey and Klein (2011) hanno recensito un gran numero di studi e hanno dimostrato che le prove dei vantaggi bilingui nell'inibire, commutare o aggiornare, non si sono rivelate sempre affidabili. Tuttavia, i bilingui dimostrano costantemente RT più veloci, nel complesso, di quanto non facciano i monolingui (ad esempio, sia negli studi congruenti che in quelli incongruenti del compito Flanker), suggerendo che si tratta di un vantaggio di elaborazione generale che caratterizza i benefici cognitivi dell'esperienza bilingue.

Un'ultima questione riguarda il dubbio se il vantaggio cognitivo del bilinguismo dipende dall'età della popolazione (vedi anche la discussione sugli effetti AoA nella sezione "Limite, Natura e tempi dell'esperienza bilingue"). Ad esempio sono state trovate capacità robuste di controllo esecutivo, soprattutto di controllo inibitorio misurate dal compito Flanker, nei bambini (es.: Bialystok et al., 2005; de Abreu et al., 2012) e negli anziani (Bialystok et al., 2004, 2008), ma spesso non nei giovani adulti (Bialystok et al., 2005; Salvatierra and Rosselli, 2011; Paap and Greenberg, 2013).


Bialystok and Barac (2013) hanno notato che, anche quando gli effetti dei vantaggi cognitivi bilingui si trovano nei giovani adulti, tendono ad essere più modesti in termini di dimensioni rispetto a quelli presenti nei bambini e negli anziani, e solo a determinate condizioni sperimentali (ad esempio compiti cognitivi più impegnativi, si veda Costa et al., 2009). Nel resto di questo articolo, ci concentreremo sull'esame dei meccanismi neurali che sottendono i vantaggi cognitivi bilingue negli anziani, nel tentativo di comprendere il rapporto tra riserva cognitiva e riserva cerebrale.

Base neurale del vantaggio bilingue nel cervello che invecchia

Viste le differenze sopracitate nella probabilità di osservare un vantaggio bilingue nel controllo esecutivo tra i diversi gruppi di età, quali prove abbiamo della base di una maggiore capacità di controllo esecutivo nei bilingui che invecchiano? In che modo questo miglioramento fornisce un meccanismo di protezione, vale a dire la "riserva cognitiva", contro il declino cognitivo legato all'età nelle popolazioni sane e in quelle anormali? In ciò che segue, passiamo in rassegna gli studi che indicano gli effetti positivi del bilinguismo sull'invecchiamento, e stabiliamo il rapporto tra riserva cognitiva e riserva cerebrale sulla base delle evidenze esistenti nella letteratura dell'invecchiamento dei bilingue.

 

Riserva cognitiva, declino da età ed effetto bilingue

In uno studio di esame delle cartelle cliniche dei pazienti, Bialystok et al. (2007) hanno identificato un campione di 184 pazienti con diagnosi di demenza, la maggior parte con Alzheimer. Di questi pazienti, la metà erano monolingui (91) e la metà erano bilingui da tutta la vita (93). Le loro analisi hanno mostrato che questi due gruppi differivano in modo significativo: i bilingui hanno mostrato un ritardo medio di 4 anni nell'età di insorgenza della demenza rispetto ai monolingui. Per vedere se una tale differenza potrebbe aver avuto origine da altri fattori potenzialmente confondenti come l'istruzione, gli autori hanno esaminato lo status professionale dei pazienti e hanno scoperto che in realtà il gruppo di monolingue aveva più istruzione rispetto al gruppo bilingue, rendendo i loro risultati ancora più sorprendenti, poichè si è in precedenza osservato che l'istruzione ritarda l'insorgenza della demenza (Stern, 2009).


Questi risultati sono stati successivamente replicati in altri due studi. Craik et al. (2010) hanno raccolto dati di 211 pazienti che avevano sofferto di Alzheimer e hanno scoperto che i bilingui da tutta la vita (102 pazienti) avevano sperimentato i sintomi di demenza oltre 5 anni più tardi dei monolingui (109 pazienti). Anche in questo caso, i due gruppi avevano capacità cognitive equivalenti e i monolingui avevano più istruzione rispetto ai bilingui. In modo analogo, Alladi et al. (2013) hanno trovato un vantaggio equivalente di bilingui e multilingui sui monolingui in termini di età di insorgenza della demenza, compreso l'Alzheimer, e la demenza frontotemporale e vascolare (vedi Nota 2). Mettendo in comune un'ampia coorte di pazienti, hanno trovato che i bilingui (391) hanno mostrato sintomi di demenza 4,5 anni più tardi rispetto alle loro controparti monolingui (257). Inoltre, questo vantaggio non è stato influenzato da potenziali fattori di confondimento quali istruzione, sesso, professione o lingue parlate.


Oltre a ritardare il deterioramento cognitivo, il bilinguismo è stato associato anche al miglioramento della salute mentale generale nella popolazione che invecchia. Ad esempio, Bak et al. (2014) ha richiamato 853 partecipanti (262 bilingui con varie AoA) che erano stati testati in precedenza nel 1947, nell'ambito del Lothian Birth Cohort e ritestati tra il 2008 e il 2010. Con i dati del 1947 sono riusciti a controllare intelligenza infantile, sesso, stato socio-economico, e immigrazione. Nel complesso, hanno scoperto che il bilinguismo ha fornito un effetto protettivo sull'intelligenza generale. Hanno anche scoperto che il multilinguismo, rispetto al bilinguismo, fornisce anche maggiore protezione rispetto all'intelligenza generale, ai punteggi di lettura, e alla fluenza verbale. È interessante notare che gli effetti protettivi sull'intelligenza generale e sulla lettura sono stati individuati indipendentemente dall'età di acquisizione della L2, dove la memoria e il ragionamento verbale erano sensibili agli effetti dell'età. In conclusione, questi studi suggeriscono che il bilinguismo contribuisce alla riserva cognitiva nelle popolazioni che invecchiano, sia sane che con disturbi.

 

Substrati neurali strutturali della riserva cognitiva

Oltre ai dati provenienti da cartelle cliniche dei pazienti, gli studi che hanno valutato gli effetti del bilinguismo sulla riserva cognitiva hanno usato anche varie metodologie di neuroimaging. Dato che le differenze osservate si trovano su diverse misure dell'integrità strutturale, compresa una sostanza grigia e bianca enfatizzata, così come una maggiore connettività a lungo raggio nei bilingui rispetto ai monolingui, si è suggerito che il funzionamento cognitivo e neurale rafforzati nei bilingui possono contare su questa architettura neurale arricchita.


Luk et al. (2011) hanno valutato le modifiche della connettività funzionale e i cambiamenti strutturali del cervello di bilingui da tutta la vita che invecchiano. I bilingui, rispetto ai monolingui, hanno mostrato una integrità superiore della sostanza bianca nel corpo calloso che si proietta sui fascicoli bilaterali superiori longitudinali, il fascicolo destro inferiore fronto-occipitale e il fascicolo uncinato. Inoltre, la connettività funzionale seed-based centrata sul giro bilaterale inferiore frontale ha mostrato differenze tra i gruppi, simili in tutti gli emisferi.


In particolare, i bilingui hanno mostrato una connettività funzionale più forte a lungo raggio tra la corteccia frontale e le regioni posteriori compresa la corteccia occipitale e parietale; mentre i monolingui hanno esibito una maggiore connettività a corto raggio principalmente centrata all'interno della corteccia frontale.


Questi risultati suggeriscono che l'esperienza bilingue di tutta la vita può portare a una elaborazione e integrazione delle informazioni tra aree cerebrali diverse, maggiore di quella presente nei monolingui. Evidenziando questi schemi, gli autori hanno suggerito che l'atrofia della materia grigia osservata nei pazienti con Alzheimer può essere compensata da una maggiore integrità della sostanza bianca dei bilingui. Una maggiore integrità della sostanza bianca è un esempio di riserva cerebrale, e in questo caso può costituire la base neurale per la creazione della riserva cognitiva dei bilingue.


Abutalebi et al. (2014a) hanno recentemente osservato un'altra forma di riserva cerebrale nei bilingui. Hanno confrontato il volume della materia grigia (GMV) di monolingui e tardi bilingui invecchiati. La loro analisi ha rilevato che, sebbene entrambi i gruppi presentassero effetti dell'invecchiamento, i bilingui hanno mostrato un GMV significativamente maggiore nel polo temporale sinistro (cioè la parte anteriore del giro temporale inferiore sinistro). Inoltre, i bilingui hanno mostrato più GMV nel polo temporale destro e nella corteccia bilaterale orbitofrontale rispetto ai monolingui. Tuttavia, solo la differenza nel polo temporale sinistro era predetta in modo significativo dalle prestazioni su un compito di denominazione della L2.


Gli autori sostengono che le esigenze dell'elaborazione del linguaggio bilingue non toccano solo le regioni di controllo frontali, ma anche più aree posteriori (temporali e parietali) associate con l'elaborazione semantica. Corroborando questo argomento, Abutalebi et al. (2014b) hanno dimostrato che i bilingui cantonese-inglese e cantonese-mandarino, rispetto ai controlli monolingue, avevano maggiore GMV nel lobulo parietale inferiore (IPL) sinistro e destro. L'IPL è implicato nella rappresentazione lessicale, nell'integrazione semantica, e nella memoria di lavoro fonologica, e più GMV in questa regione potrebbe essere attribuito all'esperienza del bilingue con un grande nuovo vocabolario in L2 (Mechelli et al., 2004; Richardson and Price, 2009; Della Rosa et al., 2013; cfr Li et al., 2014 per le revisioni).


Al contrario dei risultati osservati da Luk et al. (2011), le ricerche di Gold et al. (2013a), e Abutalebi et al. (2014a,b) hanno scoperto che i bilingui mostrano più riserva cognitiva che cerebrale. Vale a dire che nelle loro analisi DTI e VBM di 20 bilingui di tutta la vita, sani e di 63 monolingui sani, hanno scoperto che i due gruppi non hanno alcuna differenza nel GMV, e che i bilingui dimostrano realmente una diminuzione dei livelli di integrità della sostanza bianca (come misurato dalla anisotropia frazionaria e diffusività radiale) rispetto ai monolingui. Nonostante questi deficit strutturali, i bilingui hanno svolto una serie di compiti in modo equivalente ai monolingui, compreso IQ, memoria episodica e di lavoro, e commutazione tra compiti.


Questo modello di risultati si adatta esattamente alla definizione di riserva cognitiva: pari prestazioni a fronte di patologia strutturale (Stern, 2009). Gli autori interpretano questi risultati come causati potenzialmente da una maggiore incidenza dell'Alzheimer preclinico all'interno del loro campione, tanto più che hanno osservato deficit in tratti di sostanza bianca (in particolare all'interno del fascicolo longitudinale inferiore/fascicolo inferiore fronto-occipitale), di solito colpiti dall'Alzheimer. È interessante notare che, secondo gli autori, i tratti associati alla rete di controllo esecutivo, che vanno dalla corteccia frontale laterale indietro alla corteccia parietale (es.: il fascicolo longitudinale superiore e il ramo anteriore della capsula interna), sono in gran parte conservati nel loro gruppo bilingue.


Ulteriore supporto a questo legame tra bilinguismo e riserva cognitiva viene dall'unico studio che ha esaminato le differenze funzionali tra i bilingui e i monolingui nell'invecchiamento (Gold et al., 2013b). Essi hanno scoperto che i bilingui anziani (lo stesso campione di Gold et al., 2013a) hanno mostrato una minore attività in diverse regioni frontali in associazione con minori costi proporzionali di commutazione, rispetto ai monolingui di pari età, anche se entrambi i gruppi hanno mostrato maggiore attivazione frontale rispetto ai gruppi di confronto più giovani. La combinazione di un ridotto reclutamento neurale e una migliore performance cognitiva è spesso caratterizzata nel campo dell'invecchiamento come riflesso di una maggiore efficienza neurale in soggetti con prestazioni alte in confronto a quelli con prestazioni basse (Rypma et al., 2005, 2006; Grady, 2008).


Per ricapitolare, i risultati di imaging strutturali e funzionali, coerenti con i dati di pazienti precedenti recensiti finora, suggeriscono che le differenze cerebrali tra bilingui e monolingui possono essere alla base delle differenze di gruppo associate a funzioni cognitive migliori nei bilingue anziani, rispetto ai monolingui di pari età. Questi effetti strutturali e funzionali si estendono attraverso le reti di linguaggio e di controllo esecutivo, che si sovrappongono in settori chiavi, compresa la corteccia prefrontale (PFC), l'IPL, la corteccia cingolata anteriore, e i gangli basali (Hervais-Adelman et al., 2011).


È importante sottolineare che le reti neurali connesse con il bilinguismo si sovrappongono considerevolmente con le reti neurali che di solito declinano nell'invecchiamento (vedi la discussione sotto sulla sovrapposizione tra sistemi di memoria e del linguaggio). Tali vaste conseguenze dell'esperienza bilingue sull'architettura anatomica del cervello e sull'elaborazione cognitiva sono sia uniche sia importanti in quanto riflettono i risultati di un contesto esperienziale permanente di destreggiarsi su più lingue, un processo che coinvolge sia il controllo del linguaggio che il controllo esecutivo.


Rispetto alla maggior parte delle altre esperienze formative, che di solito producono risultati positivi in un singolo dominio, l'esperienza bilingue sembra avere conseguenze di vasta portata per la mente e il cervello (Dye et al., 2009; Kroll and Bialystok, 2013).

Vantaggi cognitivi dei bilingue: prospettive per memoria e invecchiamento

Data la misura in cui l'esperienza bilingue sembra influenzare il cervello, come discusso nella sezione "Base neurale del vantaggio bilingue nel cervello che invecchia", è sorprendente che le prestazioni della memoria bilingue siano rimaste relativamente poco studiate fino ad oggi. Ed è ancora più sorprendente se si considera la quantità di attenzione dei media alla ricerca degli effetti protettivi del bilinguismo, in particolare gli studi sull'Alzheimer, una malattia che colpisce soprattutto la memoria (Dubois et al., 2007).


Inoltre, gli studi sulla memoria, soprattutto quella episodica e il richiamo, hanno dimostrato che il richiamo di solito suscita attività non solo nel lobo temporale mediale (MTL), ma anche sui sistemi di controllo frontali e sulle aree sensoriali associate con il ricordo che è recuperato, suggerendo una considerevole sovrapposizione tra le aree associate alla memoria e quelle associate alla riserva cerebrale bilingue (Dobbins and Davachi, 2006).


Questo collegamento è ulteriormente supportato dalla presenza di sovrapposizione tra aree cerebrali coinvolte nella memoria e nel linguaggio, più in generale. Ad esempio, Rodríguez-Fornells et al. (2009) ipotizzarono che l'MTL è cruciale per l'apprendimento iniziale delle parole della seconda lingua, e dati di altri studi sono in linea con questa ipotesi. Mårtensson et al. (2012) hanno rilevato che il volume dell'ippocampo è maggiore dopo una formazione intensiva di interprete simultaneo, così come lo spessore corticale del PFC sinistro (in particolare il giro frontale inferiore), una regione che è stata implicata anche nella codifica riuscita (Rizio and Dennis, 2013).


Inoltre, Stein et al. (2012) e Hosoda et al. (2013) hanno entrambi trovato un aumento di densità della materia grigia nel lobo anteriore temporale sinistro (ATL), una zona cruciale per la memoria verbale (Bonelli et al., 2013), e gli aumenti si correlavano positivamente con il livello di competenza dello studente nella L2. Lo stretto rapporto lingua-memoria ha portato alcuni ricercatori a proporre che l'apprendimento delle lingue straniere dovrebbe essere esplorato come potenziale trattamento per costituire riserva cognitiva nei pazienti anziani (es.: Antoniou et al., 2013).


E' anche importante, però, esaminare la relazione tra bilinguismo e i sistemi di memoria nella popolazione anziana bilingue corrente, poiché la ricerca nella memoria degli anziani ha il potenziale di aiutarci a capire non solo il vantaggio bilingue applicato a un invecchiamento sano, ma anche al declino cognitivo legato all'invecchiamento.

 

PASA: l'ipotesi «scambio posteriore-anteriore nell'invecchiamento»

Una ipotesi specifica, che ci aiuta a fare il legame tra memoria e bilinguismo è lo «scambio posteriore-anteriore nell'invecchiamento» (Posterior-to-Anterior Shift in Aging = PASA), un'ipotesi basata su studi di neuroimaging funzionale della memoria e dell'invecchiamento (vedere Figura 1 sotto, per una recensione vedi Dennis and Cabeza, 2008).

Bilingualism1.jpgFIGURA 1. Lo scambio posteriore-anteriore nell'invecchiamento (PASA) postula che con l'età arriva uno scambio, tale che gli anziani mostrano una maggiore attività nella corteccia sinistra prefrontale dorsolaterale (DLPFC) e meno attività nella corteccia visiva sinistra, durante compiti di memoria, mentre gli adulti più giovani mostrano il modello inverso.

Il modello PASA di risultati è stato osservato in molti compiti cognitivi nell'invecchiamento sano (vedi recensione Dennis and Cabeza, 2008). Per capire le conseguenze del PASA, dobbiamo capire che il richiamo è di solito associato all'attività dei sistemi esecutivi frontali e delle zone sensoriali associate a tale esperienza (ad esempio, l'attività nel giro fusiforme per il ricordo di un volto), così come nel MTL (Dobbins and Davachi, 2006).


L'ipotesi di fondo del PASA è che nel normale invecchiamento sano, almeno per i monolingui, in confronto ai giovani adulti gli anziani mostrano riduzioni legate all'età nell'attività neurale nelle aree sensoriali posteriori della corteccia, mentre allo stesso tempo mostrano aumenti nell'attività PFC [soprattutto corteccia dorsolaterale prefrontale (DLPFC)]. Il PASA è generalmente considerato una forma di compensazione neurale nell'invecchiamento, dato che questo far più affidamento sulle aree corticali frontali invece di quelle posteriori permette agli anziani di preservare le prestazioni cognitive a un livello paragonabile ai giovani adulti.


All'interno della popolazione invecchiata, una migliore funzionalità dei bilingui (rispetto ai monolingui) è coerente con l'ipotesi PASA. Precedenti ricerche (es.: Ossher et al., 2013), si erano concentrate sul ruolo del bilinguismo nel migliorare i sistemi frontali coinvolti nella funzione esecutiva, creando così una maggiore riserva cognitiva nel bilinguismo e nella memoria.


Anche se l'attività frontale osservata nel PASA si caratterizza come compensatoria per l'attivazione ridotta nelle aree cerebrali posteriori, gli studi di invecchiamento bilingue recensiti finora suggeriscono che l'esperienza bilingue è un altro meccanismo di compensazione che aiuta a mitigare il declino correlato all'età, non solo impegnando i sistemi frontali, ma anche preservando le strutture nelle aree posteriori della corteccia e le loro connessioni con la corteccia frontale. In altre parole, anche se i monolingue anziani sperimentano lo scambio posteriore-anteriore, negli adulti bilingui che invecchiano, le aree posteriori non declinano in modo così sostanziale, e dunque i bilingui mostrano meno spostamento reale nei modelli PASA dei monolingui.


I risultati recenti di Abutalebi et al. (2014a, b) supportano questa ipotesi di conservazione, con particolare attenzione per le regioni temporali e parietali. Come accennato in precedenza, Abutalebi et al. (2014a, b) hanno scoperto che i bilingui invecchiati mostrano migliore GMV rispetto ai monolingui coetanei nell'ATL sinistro e nell'IPL. Inoltre, a differenza dei monolingue che si basano principalmente sulla corteccia frontale per compensare le prestazioni compromesse dall'invecchiamento, i bilingui preservano anche la connettività frontale-posteriore, oltre al funzionamento delle regioni posteriori. Ad esempio, Luk et al. (2011) hanno scoperto che i monolingui invecchiati esibiscono modelli di connettività congruenti con il PASA a riposo, ma i bilingui invecchiati mostrato una maggiore connettività tra l'IFG e le aree posteriori compreso il giro medio temporale e occipitale, il precuneus, l'IPL destro e il caudato.

 

Ruolo della connettività del PFC e dei gangli frontale-posteriore e frontale-basale

L'evidenza disponibile finora suggerisce che i bilingui nell'invecchiamento esibiscono GMV preservati nelle aree posteriori (in particolare le regioni temporali e parietali) e una migliore connettività tra il PFC e le regioni posteriori (Luk et al., 2011; Abutalebi et al., 2014a, b). Tenuto conto di questa evidenza, proponiamo che il potenziamento della funzione PFC, insieme alla corteccia temporale conservata e a una maggiore connettività frontale-posteriore può essere alla base della riserva cerebrale del bilinguismo. La Figura 2 illustra questa proposta.

BilingualBrainVsMonolingualFigura 2. Un esempio di invecchiamento cerebrale di monolingue contro bilingue. Nei monolingue, l'invecchiamento è associato ad un aumento del ricorso alle regioni frontali, secondo l'ipotesi PASA. Nei bilingui, l'invecchiamento cerebrale mostra una conservazione delle regioni posteriori (comprese corteccia temporale e parietale), così come una maggiore connettività tra aree frontali e posteriori, costituendo la riserva cognitiva.

La nostra proposta è coerente con un modello recente di Stocco et al. (2014) che descrivono come il vantaggio nel controllo esecutivo può svilupparsi nel quadro del modello di routing [instradamento] condizionale. Secondo Stocco et al. (2014), i gangli basali lavorano per aumentare la forza delle connessioni corticali che altrimenti non sarebbero state selezionate a causa della minore attivazione a riposo (vedi Figura 3). Stocco et al. (2014) hanno sostenuto che la commutazione tra lingue è un processo analogo a prendere il collegamento con minore attivazione a riposo.


Poiché il bilinguismo per necessità coinvolge la commutazione della lingua, gli autori hanno suggerito che il bilinguismo migliora la capacità di controllo alto-basso, che comprende sia il controllo della lingua che il controllo cognitivo generale. Questo modello è congruente con una serie di studi di neuroimaging che implicano i gangli basali e specificamente il nucleo caudato come cruciali per la lingua e il controllo cognitivo (es.: Crinion et al., 2006; Tan et al., 2011), così come un recente studio neuropsicologico che ha trovato prove dirette tramite stimolazione elettrica intra-operatoria del ruolo del caudato sinistro sia nel linguaggio che nel controllo cognitivo (Wang et al., 2013). In sintesi, il modello di routing condizionale suggerisce che il ruolo dei gangli basali è quello di rafforzare i collegamenti stabiliti in precedenza per prevalere sul collegamento attualmente più attivo, poiché è necessario durante il passaggio tra lingue o compiti.

Bilingualism3.jpgFigura 3. Il modello di routing condizionale, adattato da Stocco et al. (2014). In questa figura, il lato 1 rappresenta una situazione prototipica, dove la corteccia prefrontale (PFC) riceve segnali multipli simultanei. In questa situazione, il segnale concomitante forte (dall'area B) è più suscettibile di incidere sul PFC (per cui la figura mostra l'impatto della connessione B sulla corteccia prefrontale). Il Lato 2 esemplifica il ruolo dei gangli basali, che servono come meccanismo per modificare i percorsi corticali. In questo caso, i gangli basali rafforzano il segnale particolare dalla zona C (per cui la figura presenta l'impatto della connessione C).

Come abbiamo suggerito in precedenza, questi benefici dovrebbero sostenere anche le prestazioni della memoria. In particolare, l'enfatizzazione delle aree frontali dovrebbe consentire la conservazione della capacità di memoria che coinvolgono il controllo esecutivo, come il richiamo dei ricordi, mentre la riserva cerebrale nelle regioni corticali posteriori e una connettività migliorata a lungo raggio possono potenziare la capacità dei bilingui anziani di codificare e recuperare i dettagli di eventi passati, una funzione che è di solito ridotta nell'invecchiamento sano (es.: Park et al., 2004; Dennis et al., 2007; Gutchess et al., 2007).


Mentre i monolingui compensano la ridotta connettività a lungo raggio con l'aumento della connettività a corto raggio e con l'attività all'interno della corteccia frontale (cioè PASA, Dennis and Cabeza, 2008), la ricerca che abbiamo esaminato finora suggerisce che i bilingui invecchiati compensano meno drasticamente in questo modo dei monolingui invecchiati (Luk et al., 2011; Gold et al., 2013a). Suggeriamo che questo cambiamento ridotto PASA dei bilingui è causato dai loro miglioramenti nelle aree posteriori (ad esempio, quelle mediali temporali, il polo temporale e la corteccia parietale inferiore), così come la connettività tra queste aree con il PFC e con i gangli basali (Stocco et al., 2014).

 

Il ruolo del controllo esecutivo e della riserva cerebrale nel recupero della memoria episodica

Esaminata in confronto a quanto proposto sopra, la riserva cerebrale derivante dal bilinguismo non solo supporta le attività di controllo esecutivo, ma pure il funzionamento della memoria. Anche se ci sono ancora studi di neuroimaging che indagano su questa relazione, una piccola parte di letteratura, anche se in crescita, ha esaminato le prestazioni della memoria nei bilingui anziani a livello comportamentale. I risultati di questi studi hanno il potenziale di aiutarci a capire la natura della riserva cerebrale bilingue e la sua relazione con l'incidenza e la progressione della demenza.


Uno dei primi studi in questo campo di Wodniecka et al. (2010) ha trovato che i bilingui anziani sono avvantaggiati nei compiti particolarmente difficili di recupero dei ricordi, rispetto ai monolingui anziani, anche se i partecipanti più giovani (monolingue e bilingue) hanno superato in prestazioni entrambi i gruppi di anziani. Allo stesso tempo, non c'era alcuna differenza tra le capacità di monolingui e bilingui anziani nel ricordare oggetti familiari.


Questa distinzione è importante perché il richiamo della memoria, in particolare, richiede l'uso del controllo esecutivo per selezionare i dati specifici della memoria sulla sostanza del contenuto, mentre la familiarità è caratterizzata da una incapacità di ricordare dettagli nonostante la sensazione che l'oggetto è stato visto prima. Questi risultati suggeriscono quindi che il vantaggio nel controllo esecutivo dei bilingue in effetti si estende alla memoria, perchè si è scoperto che i bilingui erano selettivamente avvantaggiati nel richiamo, in contrasto con i giudizi di familiarità.


Ulteriori prove del ruolo del bilinguismo sulle prestazioni della memoria vengono da un altro studio condotto da Ljungberg et al. (2013). Come lo studio longitudinale di Bak et al. (2014) che aveva trovato prestazioni di memoria mantenute nei bilingui precoci (vedi Riserva Cognitiva, Declino da età e Effetto Bilingue), Ljungberg et al. (2013) hanno presentato il caso convincente di un vantaggio bilingue nella memoria episodica, sotto forma di uno studio longitudinale di 20 anni. I partecipanti erano principalmente bilingui abbinati per nazionalità, sesso, istruzione e intelligenza generale, che andavano da 35 a 70 anni di età nella prima sessione di test. I loro dati sono stati tratti da uno studio più ampio, il Betula Prospective Cohort Study, e comprendevano le prestazioni su tre tipi di attività di richiamo, così come la fluidità di lettere e categoria.


Ljungberg et al. (2013) hanno trovato che i bilingui sono significativamente avvantaggiati sui compiti di richiamo episodici, e che questo vantaggio non interagisce con l'età. Un vantaggio simile è stato trovato per la fluidità delle lettere, ma non per la categoria. Mentre la fluidità di categoria permette di selezionare gli elementi in modo relativamente libero da una rete semantica esistente, la fluidità di lettera richiede che si inibiscano le connessioni semantiche e, occasionalmente, fonologiche, per ricordare altre parole che si adattano al criterio ortografico, e di conseguenza possono essere interpretate come un compito di controllo esecutivo (vedi Martin et al., 1994). In breve, Ljungberg et al. (2013) hanno scoperto un vantaggio dei bilingui nel richiamo episodico compresente con migliori prestazioni su un altro compito di controllo esecutivo.


In uno studio recente, Schroeder and Marian (2012) hanno ulteriormente replicato il modello di risultati di questi due studi che mostrano i benefici del bilinguismo nel richiamo dei ricordi in condizioni che richiedono il controllo esecutivo. Essi hanno scoperto che i bilingui anziani (AoA di circa 15 anni) ottengono risultati migliori rispetto ai monolingui anziani su un compito di recupero della memoria episodica. Questo compito richiedeva loro di ricordare aspetti specifici di scene, dove serve il controllo esecutivo tramite l'inibizione dell'essenza della scena.


C'era anche, in modo cruciale, una correlazione tra i risultati di tale compito e il compito Simon, un'azione comune di controllo esecutivo. In particolare, l'accuratezza dei bilingui nel compito Simon era correlata positivamente con il numero di scene richiamate. I monolingui hanno mostrato una correlazione simile, ma non era significativa. Schroeder and Marian (2012) hanno interpretato questi risultati per suggerire che una migliore prestazione dei bilingui sul compito di memoria episodica è dovuto al miglioramento delle capacità di controllo esecutivo.


Gli autori hanno continuato suggerendo che "l'affidamento aggiuntivo dei bilingui sul sistema di memoria MTL può esercitare e migliorare il suo funzionamento" (p. 9), consentendo un migliore richiamo. Anche se Schroeder and Marian (2012) non avevano dati di neuro-imaging per sostenere questa idea, c'è supporto all'ipotesi che le basi neurali del vantaggio bilingue potrebbero coinvolgere la corteccia temporale e parietale, come è stato discusso.

Conclusione e strade future

Gli studi della memoria bilingue eseguiti fino ad oggi sembrano suggerire che i bilingui mostrano un vantaggio su aspetti della memoria che richiedono il controllo esecutivo, come il richiamo episodico e verbale. Come discusso nella sezione "Vantaggi cognitivi dei bilingue: prospettive per memoria e invecchiamento", proponiamo che questo vantaggio può derivare da due meccanismi complementari, un vantaggio frontale e un vantaggio nel produrre collegamenti a lungo raggio tra il PFC e zone posteriori della corteccia, che sono fondamentali per riuscire nel richiamo (Dobbins and Davachi, 2006).


Come illustrato in figura 2, questi due meccanismi funzionano in modo diverso tra monolingui e bilingui, a causa della loro esperienza differenziale nel controllo della lingua. Poichè la selezione della lingua e il recupero non avvengono soltanto nella corteccia frontale, ma anche nella corteccia temporale e parietale (es.: Abutalebi et al., 2008, 2014a, b), ci aspettiamo di vedere un rafforzamento dei percorsi sia frontali che corticali temporali come risultato del bilinguismo.


Le attuali teorie della memoria semantica hanno implicato la corteccia temporale e parietale inferiore come zone di convergenza per lo stoccaggio delle rappresentazioni (per una rassegna, vedi Binder and Desai, 2011), e la comprensione della connettività tra queste regioni e il sistema di controllo esecutivo presenta una interessante opportunità per nuove ricerche nel bilinguismo.


Quindi gli studi di invecchiamento e memoria nei monolingui, rispetto ai bilingui, rappresentano un ponte per capire il vantaggio bilingue nel controllo esecutivo e nella riserva cognitiva verso la demenza di Alzheimer, che è stato osservato nelle popolazioni bilingui (es.: Craik et al., 2010; Alladi et al., 2013). Da un lato, la capacità migliorata di controllo esecutivo fornisce la base per una maggiore riserva cognitiva, e dall'altro la riserva cognitiva è sotto-servita dalla riserva cerebrale in termini di maggiore integrità neuroanatomica, o densità.


Le analisi presentate in questo documento rappresentano solo un primo tentativo di identificare le relazioni tra l'esperienza linguistica bilingue, il controllo esecutivo, la memoria episodica, e i meccanismi che supportano il vantaggio bilingue attraverso la riserva cognitiva e quella cerebrale.


Le nostre analisi suggeriscono finora che riserva cognitiva e cerebrale dei bilingui condividono lo stesso meccanismo dell'elaborazione avvantaggiata del controllo esecutivo, come per esempio, l'uso nei bilingui dei gangli basali per rafforzare i circuiti corticali deboli (Stocco et al., 2014). Tale rafforzamento porta a conseguenze funzionali e strutturali, come l'aumento della materia bianca e materia grigia. Questi cambiamenti strutturali suggeriscono sinaptogenesi e morfologia dendritica (nel caso della materia grigia) e aumento della mielinizzazione (nel caso della materia bianca), che consente una comunicazione più efficiente dei segnali (vedi Antoniou et al., 2013; García-Pentón et al., 2014; Li et al., 2014).


La grande scala delle reti associate al bilinguismo rende tali miglioramenti fondamentali per consentire un discorso fluente, e la natura sovrapposta di questa rete (tra il bilinguismo e la rete di controllo esecutivo) rende probabile che i benfici indotti dal bilinguismo si traducano in benefici di controllo esecutivo e, di conseguenza, in riserva cerebrale per il declino della memoria legato all'invecchiamento.


E' necessaria ulteriore ricerca per chiarire i meccanismi del bilinguismo e i suoi substrati cognitivi e neurali. Per comprendere le implicazioni della connettività funzionale tra corteccia frontale e aree corticali posteriori sulla memoria, è necessario condurre studi che esaminano la connettività funzionale nei bilingui giovani e anziani, durante il completamento di compiti di memoria completi.


Tali esperimenti potrebbero consentire potenzialmente la differenziazione e la specificazione del ruolo di ciascuno dei tipi di riserva a causa del bilinguismo, cioè connettività strutturale e volume della rete della funzione esecutiva. La nostra previsione generale è che, come i monolingui sani, i bilingui che invecchiano evidenzieranno un modello PASA di reclutamento neurale, rispetto ai giovani adulti, durante i compiti di memoria e altre funzioni cognitive. Per stabilire tale parallelo saranno fondamentali gli esperimenti futuri che confrontano bilingui giovani e anziani, in confronto a solo monolingui e bilingui invecchiati.


Un'altra direzione importante potrebbe essere una ricerca longitudinale per monitorare l'uso e lo sviluppo di più lingue. Come abbiamo accennato nel paragrafo "Estensione, Natura, e tempistica dell'esperienza bilingue", l'acquisizione di una seconda lingua sembra avere effetti strutturali profondi sul cervello (es.: Mårtensson et al., 2012; Della Rosa et al., 2013; vedi Li et al., 2014 per la revisione).


Tuttavia, l'unico studio longitudinale sulle prestazioni di memoria dei bilingui fatto fino ad oggi (Ljungberg et al., 2013), si è concentrato sulle prestazioni comportamentali, come rivisto sopra. Di conseguenza, noi non sappiamo ancora come cambia il cervello dei bilingui nel corso del tempo nelle attività che attingono alla memoria di lungo termine o a quella di lavoro. Comprendere tali modifiche in bilingui e monolingui sani che invecchiano e le differenze tra di loro ci aiuterà a capire meglio non solo la riserva cognitiva, ma anche l'invecchiamento anormale in generale.


Una linea finale promettente della ricerca potrebbe essere lo studio degli effetti della formazione in lingue straniere sulla memoria negli anziani. Antoniou et al. (2013) hanno di recente richiesto un programma di formazione, per spiegare il ruolo del bilinguismo nella riserva cognitiva, specialmente in relazione alle attività di controllo esecutivo. Come abbiamo suggerito in questo articolo, tuttavia, il controllo esecutivo sembra avere un'influenza significativa anche sulla memoria, e visti i risultati che suggeriscono che gli anziani mostrano anche variazioni di sostanza grigia in risposta alla formazione (Lövdén et al., 2013), siamo d'accordo che un simile studio potrebbe essere estremamente informativo, non solo per quanto riguarda la riserva cognitiva delle abilità di controllo esecutivo, ma anche della memoria. Se, come si prevede, tale studio dovrebbe mostrare delle capacità di memoria migliorate o conservate, così come le abilità di controllo esecutivo, è implicito che le scoperte della riserva cognitiva bilingue di fronte alla demenza sono in effetti relative a miglioramenti del sistema di controllo cognitivo.


In conclusione, la ricerca della giunzione tra bilinguismo, memoria, riserva cognitiva e cerebrale può fornire spunti significativi nei dibattiti attuali sui vantaggi cognitivi bilingue. Sulla base delle prove di neuroimaging attuale, riguardanti il vantaggio bilingue degli anziani e sui modelli di invecchiamento e memoria, suggeriamo di esaminare la riserva cerebrale non solo nella corteccia frontale, ma anche la sua connettività con le aree temporale, parietale e sottocorticale, e come questi correlati neurali sottostanno la riserva cognitiva nei bilingui anziani per proteggere dal declino cognitivo correlato all'età.

 

Note

  1. Qui usiamo i termini "bilinguismo" o "bilingue" inclusivamente per riferirci a situazioni sia bilingue (2 lingue) che multilingue (più di 2 lingue).
  2. Ma vedi Chertkow et al. (2010) per la prova di un vantaggio multilingue ma non bilingue, e Zahodne et al. (2014) per una discussione su un risultato nullo.
  3. Gli autori dichiarano che la ricerca è stata condotta in assenza di rapporti commerciali o finanziari che potrebbero essere interpretati come un potenziale conflitto di interessi.

 


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Fonte: Angela Grant, Nancy A. Dennis e Ping Li (Dipartimento di Psicologia, Pennsylvania State University, USA e Center for Brain, Behavior and Cognition, Pennsylvania State University)

Pubblicato in Frontiers in Psychology (> English text) - Traduzione di Franco Pellizzari.

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