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Ecco perchè l’Alzheimer colpisce molto più le donne che gli uomini

Dei ricercatori hanno determinato che una singola variante genetica è responsabile del rischio molto più elevato che hanno le donne, quando invecchiano, di sviluppare l’Alzheimer, rispetto agli uomini della stessa età.


Secondo i dati dell’Alzheimer’s Association, ora quasi i due terzi di tutti i pazienti affetti dalla malattia debilitante sono donne. E più sorprendente ancora, ogni anno la malattia uccide più persone del cancro al seno e alla prostata messi insieme.


È interessante notare che il rapporto spiega anche che le donne tra 60 e 70 anni hanno quasi il doppio delle probabilità di sviluppare i primi sintomi dell’Alzheimer di quelli del cancro al seno, nonostante la maggior parte delle attenzioni mediche siano date a questi ultimi, quando si affronta la salute delle donne.


E questa dovrebbe essere una sorpresa, soprattutto perché una ricerca recente ha stabilito che le donne sono più resistenti alla perdita di memoria convenzionale (da età) rispetto agli uomini.


Ora, uno studio pubblicato sulla rivista Annals of Neurology suggerisce il motivo esatto per cui le donne hanno maggiori probabilità di sviluppare la malattia rispetto agli uomini.


L'autore senior dello studio, Michael Greicius, si è interessato inizialmente alla differenza maschio- femmina del rischio Alzheimer nel 2012 dopo aver trovato un articolo pubblicato sulla rivista scientifica JAMA nel 1997. La ricerca di dieci anni prima suggeriva che una ApoE (una «proteina ricetta genetica» utile al processo di trasporto delle sostanze grasse lungo le membrane delle cellule nervose) potrebbe essere espressa in tipi potenzialmente più dannosi nelle donne. Una variante in particolare, chiamata ApoE4, comune nelle donne, è stata associata ad un aumento del rischio di sviluppare l’Alzheimer.


Anche se lo studio del 1997 non aveva più avuto un seguito, per vari motivi, Greicius ha deciso di mettere insieme un team per studiare questo fenomeno con tecniche moderne che valutano l'espressione genica.
Analizzando i dati pubblici di più di 8.000 persone attorno ai 60 anni, che erano state ricoverate in centri di Alzheimer negli Stati Uniti, il team ha determinato che il rischio di sviluppare l’Alzheimer conclamato è più alto negli individui con la variante genetica ApoE4.


È interessante notare che, quando i ricercatori hanno in seguito confrontato i tassi di rischio delle donne con il gene, rispetto agli uomini con il gene, sono riusciti a determinare che il gene porta solo un lieve aumento del rischio tra i maschi. Dall'altra parte, le donne che hanno la variante espressa vantavano quasi il doppio del rischio di sviluppare Alzheimer rispetto alle donne che non hanno il gene espresso in quel modo.


Scansioni cerebrali dei portatori del gene hanno mostrato un tema simile: gli uomini con il gene di solito mostrano scansioni cerebrali non diverse dalle loro controparti senza ApoE4 espresso, mentre le donne con la variante del gene mostrano collegamenti cerebrali notevolmente diversi dalle non-portatrici della variante.


"Attualmente molte persone vengono genotipizzate in clinica o commercialmente. Vengono da me e dicono «Ho un gene ApoE4, cosa devo fare?»",
ha detto Greicius, che si prende delle pause dalla ricerca per vedere i pazienti. "Se quella persona è un uomo, gli dico che il suo rischio non è molto più alto o uguale. Se si tratta di una donna, il mio consiglio è diverso".


Lui ed i suoi colleghi aggiungono che non è ancora chiaro il motivo per cui la variante ha un effetto più grave sul cervello delle donne, ma anche solo individuare l'influenza della variante è un enorme passo avanti nella giusta direzione.

 

 

 

 

 

 


Fonte: Brian Stallard in Natural World News (> English text) - Traduzione di Franco Pellizzari.

Riferimenti: Andre Altmann PhD, Lu Tian ScD, Victor W. Henderson MD, Michael D. Greicius MD and for the Alzheimer's Disease Neuroimaging Initiative Investigators. Sex modifies the APOE-related risk of developing Alzheimer disease. Annals of Neurology, Volume 75, Issue 4, pages 563–573, April 2014. DOI: 10.1002/ana.24135

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Nota: L'articolo potrebbe riferire risultati di ricerche mediche, psicologiche, scientifiche o sportive che riflettono lo stato delle conoscenze raggiunte fino alla data della loro pubblicazione.


 

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