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I ricercatori trovano territori inesplorati nell'Alzheimer pre-clinico

Le prime mappe di una nuova terra, se viste accanto alle mappe attuali, spesso hanno l'aspetto del disegno di un bambino. I confini sono approssimativi, intere regioni sono mancanti, altre rappresentate male.

Se le persone seguissero una tale mappa, si perderebbero sicuramente. Eppure, una qualche mappa è meglio di niente.

 

Questa settimana, alla Conferenza Internazionale dell'Alzheimer's Association a Vancouver, i ricercatori della Mayo Clinic hanno riportato i risultati del loro studio su potenziali biomarcatori per l'Alzheimer preclinico. "Biomarcatore", un termine relativamente nuovo in medicina, è una definizione generica che indica una delle varie tracce che ci indicano che una malattia si sta sviluppando. Nella ricerca sull'Alzheimer, i biomarcatori più studiati sono le immagini di scansione MRI e PET del cervello. I loro risultati suggeriscono che tra gli anziani cognitivamente normali c'è una popolazione potenzialmente numerosa che occupa un territorio inesplorato. I risultati dei loro biomarcatori non sono né normali, né chiaramente anormali. Il Dr. David Knopman, il ricercatore che ha presentato i risultati, ha ammesso che lui e i suoi colleghi "non si aspettavano di incontrare questo risultato".


Uno dei biomarcatori in questione si presenta sotto forma di immagini MRI che mostrano parti del cervello atrofizzate, aree in cui la morte delle cellule cerebrali ha "rimpicciolito" il cervello. L'altra serie di biomarcatori coinvolge due tipi di immagini PET: una che misura il metabolismo del cervello e l'altra misura le placche amiloidi, densi depositi di proteine che si ritiene siano la "firma" della malattia di Alzheimer. I ricercatori hanno adottato questi biomarcatori perché, anche se non hanno scoperto ciò che provoca questa malattia complessa che si sviluppa per tutta la vita, sono convinti che scoprire i suoi biomarcatori sia la chiave per trasformare la diagnosi. Essi sperano che questi progressi significhino che un giorno potremmo passare dal fare affidamento sulla storia di un medico e su un esame fisico per determinare se un paziente soffre di demenza, a un continuum che un medico può diagnosticare prima ancora che una persona sia malata, semplicemente misurando la presenza dei cosiddetti "biomarcatori firma".


I ricercatori della Mayo Clinic si sono concentrati sui biomarcatori proposti per l'Alzheimer preclinico, un concetto che descrive lo sviluppo di individui che sono esteriormente normali, ma sui quali si possono notare le placche amiloidi tipiche dell'Alzheimer. I ricercatori stanno supponendo che, se seguite nel corso del tempo, queste persone passeranno al decadimento cognitivo lieve (perdita notevole di memoria con ridotta capacità di impegnarsi nelle attività giornaliere) e, in ultima analisi, alla demenza. Il loro obiettivo era utilizzare i risultati dei biomarcatori MRI e PET per classificare i soggetti nelle fasi proposte della malattia di Alzheimer preclinico, seguirli per almeno un anno, e poi riclassificarli.


L'Alzheimer preclinico è veramente alla frontiera inesplorata tra ciò che è un cervello normale rispetto a uno malato, una frontiera che ci induce ad esplorarla. Scoprire i suoi biomarcatori promette di rivelare una diagnosi precoce e gli interventi per prevenire disturbi cognitivi. Ma l'esplorazione non è senza rischi. Se scopriamo che biomarcatori si comportano in un modo che non si adatta a quanto ci aspettavamo, allora si rischia di etichettare gli anziani sani con qualcosa che non capiamo.

 

Alla ricerca dell'Alzheimer, quando sorgono nuove questioni

I ricercatori della Mayo Clinic hanno esaminato un gruppo di adulti cognitivamente normali di 70 anni e oltre. Circa la metà di loro mancava dei biomarcatori che stavano cercando. Hanno escluso questi casi e hanno diviso i soggetti rimanenti in tre gruppi:

  1. Il primo gruppo, che hanno chiamato "fase 1", evidenziava placche amiloidi alla scansione PET.
  2. Il secondo gruppo, "fase 2", aveva queste placche, oltre a segni di atrofia cerebrale.
  3. Il terzo gruppo, denominato "fase 3", mostrava le stesse placche e la stessa degenerazione del cervello vista nella fase 2, ma aveva anche segni di cambiamenti cognitivi.

L'ipotesi dei ricercatori è che le fasi dell'Alzheimer preclinico seguano un semplice schema stadio-dopo-stadio, cioè la persona si muove in linea retta da uno stadio all'altro, a partire da quando cominciano a formarsi le placche amiloidi, procedendo alla neurodegenerazione come visto su MRI o PET scan, e poi a sottili cambiamenti cognitivi. E questo è quello che hanno scoperto. I soggetti rientrano in una delle fasi e, nel tempo, si trasferiscono allo stadio successivo, come previsto. Nel corso del tempo, quasi la metà hanno sviluppato problemi cognitivi abbastanza gravi da essere diagnosticati da un medico come deterioramento cognitivo lieve, una condizione ampiamente ritenuta uno stato intermedio tra il normale invecchiamento e la demenza.


Ma i ricercatori hanno anche scoperto un territorio inaspettato. Almeno un quarto dei loro soggetti non si conformava alla mappa delle fasi. Al contrario, avevano un profilo misto di biomarcatori: il loro cervello non era "normale" ma chiaramente non era "anormale". Questi anziani avevano biomarcatori MRI o PET metabolica che mostrano uno schema neurodegenerativo di Alzheimer, ma non avevano la caratteristica patologica della malattia. Cioè una scansione PET che rileva amiloide era del tutto normale, una scoperta che i ricercatori hanno descritto come "notevole". Cos'hanno queste persone? Sono malate? O si tratta di una variante del normale processo di invecchiamento? The investigators labeled these people with MRI or PET scans seen in persons with Alzheimer's disease but without amyloid plaques as having "sNAP," shorthand for "Suspected nonAmyloid Pathway," a name that reveals that we know more about what disease these people do not have than we know about what disease, if any, they do have. I ricercatori hanno definito queste persone (con MRI o PET simili alle persone con Alzheimer, ma senza placche amiloidi) affette da "sNAP", abbreviazione di "Suspected nonAmyloid Pathway - Sospetto percorso non amiliode", un nome che rivela che sappiamo più su quale malattia le persone NON hanno rispetto a quella che hanno, se ne hanno una.


Non avevano altre cause comuni di neurodegenerazione, compresa la malattia vascolare cerebrale e Parkinsonismo. Avevano meno probabilità (dei soggetti che rientrano in uno dei tre stadi di Alzheimer preclinico) di avere un gene APOE4, uno dei fattori di rischio genetici più ampiamente riconosciuti per lo sviluppo di demenza di Alzheimer. Nel tempo non avavano più probabilità delle persone che non avevano biomarcatori, di sperimentare declino cognitivo.


Le persone con questo curioso mix di alcuni, ma non tutti, biomarcatori di Alzheimer ci avvertono che, se ci affrettiamo a diagnosticare l'Alzheimer il più presto possibile, potremmo lascaire ben un quarto dei nostri pazienti in una sorta di limbo diagnostico. Essi mettono in discussione il fondamento stesso della ipotesi amiloide nell'Alzheimer. Come può una persona avere una scansione MRI o PET metabolica che sembra Alzheimer, e tuttavia non ha le placche amiloidi sull'imaging PET? Questo risultato richiama altri risultati anomali delle ricerche che erano in realtà la chiave per avviare rivoluzioni scientifiche, tipo la misteriosa radiazione del corpo nero che ha inaugurato la fisica quantistica. Ignorare le persone con "sNAP" o comunque buttarla sotto il tappeto è perdere una occasione. Potrebbero essere il segreto per capire non solo ciò che è l'Alzheimer, ma anche ciò che è un cervello normale.

 

 

 

 

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Scritto da Jason Karlawish, professore di medicina, etica medica e politica sanitaria alla University of Pennsylvania School of Medicine Perelman.

Pubblicato in ABC News il 18 Luglio 2012 - Traduzione di Franco Pellizzari.

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