Hai mai sentito una vocina parlare nella tua testa, riempiendoti di insicurezza? Forse l'hai sentita dire "Non sei abbastanza bravo", "Sei così pigro" o addirittura "Sei proprio un idiota". È la voce dell'autocritica che dice di te cose che non vorresti mai dire a nessun altro. Ma ti sei così abituato a lei, cercando di andare avanti o di stare al sicuro, che ora hai paura di dirle di smetterla. La chiamo la mia voce "ragazza sgarbata". E, tra te e me, può essere feroce.
Quando eri un bambino, è probabile che i tuoi genitori o gli insegnanti usassero alcune parole dure per cercare di cambiare il tuo comportamento e farti fare la cosa giusta. Che abbiano funzionato o no, queste prime esperienze sembrano lasciarci con una profonda convinzione che se siamo davvero duri con noi stessi su ciò che abbiamo fatto o non fatto, su chi siamo e come dovremmo essere, noi potremo diventare le persone che dovremmo essere.
Ma funziona veramente?
I ricercatori suggeriscono probabilmente di no. Kelly McGonigal della Stanford University ha scoperto che l'autocritica è in realtà molto più distruttiva che utile. In una serie di studi che hanno seguito centinaia di persone che cercavano di raggiungere una vasta gamma di obiettivi (dalla perdita al peso al raggiungimento degli obiettivi scolastici e al miglioramento delle relazioni sociali o delle prestazioni lavorative), i ricercatori hanno scoperto che più le persone si auto-criticavano, più erano lenti i loro progressi nel tempo e meno probabilità avevano di raggiungere il loro obiettivo.
In effetti, i neuroscienziati suggeriscono che l'autocritica mette realmente il nostro cervello in uno stato di auto-inibizione e auto-punizione che ci induce a disimpegnarci dai nostri obiettivi. Lasciando che ci sentiamo minacciati e demoralizzati, questa autocritica sembra frenare i nostri piani di azione, lasciandoci bloccati in un ciclo di rimuginazione, procrastinazione e auto-disgusto.
Vorrei essere chiara: non è che la mia voce 'ragazza sgarbata' mi impedisca di ottenere risultati. Spesso faccio di tutto dentro il vociare solo per cercare di dimostrare che non ha ragione. È solo che il suo vetriolo mi distrae, mi rallenta e mi logora. Mi piacerebbe trovare un modo più delicato e più efficace per ottenere le cose che mi interessano.
Ma c'è un'alternativa?
Kristin Neff e i suoi colleghi dell'Università del Texas suggeriscono che attingere alla nostra auto-compassione o, come mi piace definirla, la mia "ragazza gentile", può aiutarci a rompere i nostri schemi trincerati di autocritica, permettendoci comunque di essere sinceri riguardo alle nostre paure.
Permettetemi di essere chiara: non si tratta di concedersi il permesso di non rivelarsi, di tirarsi fuori dai guai o di incolpare gli altri. Piuttosto, pensa alla tua voce auto-compassionevole come una guida saggia e solidale, o ad un amico gentile che ti incoraggia a vedere le cose in modo più chiaro ed equilibrato, per aiutarti a ricordare che nessuno è perfetto, e di essere gentile, comprensibile, e responsabile di te stesso.
La Neff spiega che queste tre qualità fondamentali (consapevolezza, connessione e auto-gentilezza) ci aiutano a vedere che le nostre voci autocritiche non stanno in realtà cercando di danneggiarci, ma spesso sono inutilmente dure in uno sforzo fuorviante di proteggerci. Invece di domare, vergognarsi o incolpare queste voci per indebolire la nostra fiducia, l'auto-compassione ha dimostrato di aiutare a ridurre i nostri livelli di stress, ansia e insicurezza permettendoci di vederli per quello che sono: solo storie per cose che temiamo, e non la verità su chi siamo o di cosa siamo capaci.
Di conseguenza, gli studi hanno scoperto che l'auto-compassione ci aiuta a generare più sentimenti positivi che bilanciano le nostre paure, permettendoci di sentirci più gioiosi, calmi e fiduciosi. Ci aiuta ad attivare i sistemi del nostro cervello di prendersi cura e di auto-consapevolezza, rendendo più facile credere che siamo capaci e degni. Ci rende meno auto-coscienti, meno propensi a confrontarci con gli altri e con meno probabilità di sentirci insicuri. Lungi dall'essere auto-indulgente o "lieve", l'uso deliberato di frasi auto-compassionevoli ha dimostrato di essere un mezzo efficace per migliorare la nostra motivazione, le prestazioni e la capacità di recupero.
Come puoi praticare più auto-compassione?
La Neff suggerisce che l'auto-compassione è un'abilità insegnabile, e "dose-dipendente": più la si pratica, meglio ci si sente. Ecco tre modi per iniziare:
- Identifica ciò che vuoi veramente, pensando ai modi in cui usi l'autocritica come motivante (sono troppo sovrappeso, sono troppo pigro, sono troppo impulsivo) perché pensi che essere duro con te stesso ti aiuterà a cambiare. Che linguaggio userebbe un mentore o un amico saggio e amorevole per sottolineare delicatamente come il tuo comportamento è improduttivo, incoraggiandoti a fare qualcosa di diverso? Qual è il messaggio più supportivo al quale puoi pensare, che sia in linea con il tuo desiderio di essere sano e felice in relazione a questi cambiamenti? Scrivi questo e mettilo da qualche parte dove lo puoi vedere ogni giorno.
- Tieni un diario di auto-compassione per una settimana (o più a lungo se vuoi). Annota tutto ciò per cui ti sei sentito male, tutto ciò per cui ti sei giudicato o qualsiasi esperienza difficile che ti ha causato dolore. Per ogni evento, fai pratica usando la tua gentilezza, il senso di connessione con l'umanità e la consapevolezza per elaborare l'evento in un modo più compassionevole.
- Crea un mantra di auto-compassione. Ho scoperto che la mia voce autocritica mi ricordava che non ero abbastanza brava, così ho iniziato a contrastarla delicatamente con la mia voce auto-compassionevole, che mi ha ricordato: "Nella maggior parte delle situazioni, sei meglio di quanto pensi di essere". Questo tipo di suggerimento è stato sufficiente a rallentare la spirale negativa di paura e auto-dubbio, così ho potuto prendere coscienza di ciò che stava effettivamente accadendo e fare scelte meglio informate su ciò che volevo fare. Prova a creare il tuo mantra di auto-compassione pensando a ciò che direbbe un mentore saggio o un amico gentile in questi momenti, e concentrati su questi durante i momenti di insicurezza.
Se dovessi provare un po' di auto-compassione in questo momento, e dovessi parlarti come farebbe un altro buon amico, da dove cominceresti?
Fonte: Michelle McQuaid, insegnante di benessere sui luoghi di lavoro, che traduce la ricerca della psicologia positiva e della neuroscienza in strategie pratiche per la salute, la felicità e il successo aziendale.
Pubblicato in Psychology Today (> English text) - Traduzione di Franco Pellizzari.
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