L'analisi dei biomarcatori digitali ha permesso di identificare i meccanismi strutturali discriminanti tra invecchiamento sano e Alzheimer. (Fonte: Amato et al / Alz Res Teraphy)
Vuoti di memoria, amnesie temporanee che portano a dimenticare nomi, luoghi o appuntamenti. Può succedere a tutti, in particolare alle persone anziane. Ma come si fa a capire quando questi sintomi derivano da un normale invecchiamento o da un periodo di stress o quando invece sono la spia di una possibile alterazione del cervello, come ad esempio dell’insorgere del morbo di Alzheimer (MA)?
Uno studio pubblicato su Alzheimer's Research & Therapy, coordinato dalla Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, in collaborazione con l’Azienda Ospedaliero Universitaria Careggi e l’Università degli Studi di Firenze, ha avviato lo sviluppo di un nuovo metodo che, grazie alla combinazione di modelli matematici ed elettroencefalogramma, potrebbe aiutare a riconoscere sempre più precocemente i sintomi del MA, aprendo la strada a nuove tecniche diagnostiche che, con le necessarie verifiche, in futuro potranno supportare i medici nella pratica clinica.
“Non solo saremo in grado in grado di fornire una previsione sempre più affidabile del rischio di sviluppare il MA in persone che non hanno ancora evidenti sintomi clinici, ma siamo riusciti a farlo con un metodo completamente nuovo, potenzialmente molto più semplice da utilizzare per ospedali e pazienti rispetto ai metodi attualmente in uso” dichiara Alberto Mazzoni, professore associato di Bioingegneria all’Istituto di Biorobotica della Scuola Sant’Anna e coordinatore dello studio.
Capire in anticipo i sintomi dell’Alzheimer
Il MA rappresenta una delle principali sfide della medicina moderna, con un impatto crescente su pazienti, famiglie e sistemi sanitari. Negli ultimi anni, la ricerca ha rivolto sempre maggiore attenzione alle fasi prodromiche della malattia, ovvero a quel periodo che precede la comparsa dei sintomi conclamati di demenza.
“La tecnologia è promettente", afferma Valentina Bessi, responsabile del Centro per i disturbi cognitivi e le demenze all’Azienda Ospedaliero Universitaria Careggi di Firenze e prof.ssa associata di Neurologia all’Università di Firenze, "e può essere un ulteriore strumento per aiutare nella diagnosi il medico, conoscitore della complessità fisica, psichica e sociale del paziente. Identificare il MA quando i segni clinici sono ancora lievi, ma sono già presenti alterazioni biologiche, è oggi considerato fondamentale. La diagnosi precoce sta aprendo nuove possibilità di intervento, consentendo l’accesso a trattamenti innovativi che potrebbero rallentare la progressione della malattia e migliorare la qualità della vita”.
L’obiettivo di questa ricerca, durata oltre quattro anni, è quello di fornire una prognosi riguardo al possibile emergere di demenza di MA in persone che non hanno ancora sintomi così gravi da essere a livello clinico. Finora l’unico modo per capire se eventuali vuoti di memoria siano i primi segnali del MA è ricorrere a esami complessi come la PET cerebrale o l’esame del liquido cerebro-spinale.
Lo studio ha analizzato i dati di 124 persone, di cui 86 con lievi disturbi cognitivi solo soggettivi. L'approccio ha consentito di predire nell’88% dei casi l’esito dell’esame del liquido cerebro-spinale basandosi solo sull’elettroencefalogramma. Inoltre, è stato in grado di predire 7/7 conversioni ad un declino cognitivo obiettivabile. Naturalmente si tratta di numeri non molto grandi e soprattutto di un tempo di osservazione relativamente limitato per fenomeni che richiedono anni a svilupparsi, quindi sarà necessario ampliare i dati a disposizione e continuare a seguire i pazienti nei prossimi anni.
“Abbiamo usato un modello matematico che descrive il cambiamento dell’attività del cervello al progredire del MA per investigare i segnali che annunciano l’inizio della malattia", spiega Lorenzo Gaetano Amato, dottorando in Biorobotica della Scuola Sant’Anna e primo autore della scoperta. "Il passo successivo è stato quello di analizzare l’attività cerebrale di oltre cento anziani con lievi problemi di memoria tramite una semplice registrazione dell’elettroencefalogramma. Combinando queste analisi, per ognuno di loro è stato sviluppata una versione personalizzata del modello del cervello che ci ha consentito di capire quali di loro fossero a rischio di sviluppare il MA”.
“Questa combinazione di metodi di simulazione del cervello avanzati combinati con un semplice elettroencefalogramma funziona meglio dei metodi usati finora. Per ora questo è stato uno studio tutto italiano ma stiamo lavorando a una validazione più ampia che comprenda anche collaborazioni con centri europei”, conclude Alberto Mazzoni.
Fonte: Scuola Superiore Sant’Anna
Riferimenti: LG Amato, [+18], A Mazzoni. Digital twins and non-invasive recordings enable early diagnosis of Alzheimer’s disease. Alz Res Therapy, 2025, DOI
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