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Caregiving e orgoglio non vanno d'accordo nell'Alzheimer

Una sera stavo aiutando Ed, il mio compagno di vita rumeno per 30 anni, a pagare le fatture. Aveva già i segni della demenza e aveva sempre bisogno di assistenza in tale compito. Purtroppo, ho messo il francobollo su una busta un po' di traverso. Quando Ed lo ha notato, si è perso.


"Marie", gridò, mettendo giù con impeto il bicchiere di vodka e sbattendo il pugno sul tavolo. "Guarda cosa hai fatto. E' storto. Hai r-r-rovinato un francobollo perfetto!"

"Ed", ho risposto ad alta voce, colta alla sprovvista ed arrabbiata per il suo sfogo, "Non importa. All'ufficio postale non interessa se è dritto. A loro interessa solo che ci sia".

"No!" urlò, alzandosi in piedi e venendo verso di me. "Sai che stai s-s-sbagliando!"

"Ed", gridai, "Non importa com'é lo stupido francobollo sulla busta. Mi senti? Non importa!"

"Fuori!" egli gridò.

"Con piacere" dissi, sbattendo la porta.


Ho capito, dopo, che tutta questa scena avrebbe potuto essere evitata se avessi semplicemente ammesso che mettere il bollo storto era sbagliato, se mi fossi scusata e avessi promesso di essere più attenta in futuro. Ma ero troppo orgogliosa per dire che mi sbagliavo quando sapevo di aver ragione.


Alcune persone con Alzheimer sono docili ed è facile andare d'accordo, ma altre possono essere estremamente difficili e capricciose. Lui, Ed, era in quest'ultima categoria, almeno durante quel periodo di tempo. La discussione sul bollo era solo l'ultima di una lunga serie di dispute futili, ma amare, che avevamo avuto per mesi. Queste comprendevano le nostre lotte monumentali su come sbucciare una patata, come dovevo mettere il cappotto, che tipo di t-shirt dovevo indossare e sul non lasciare la mia borsa sul divano del soggiorno. E l'elenco cresceva e cresceva.


In precedenza, quando avevamo un disaccordo si discuteva a lungo e ad alta voce, ma quando era finito, era finito. Avevamo avuto un sacco di piccole discussioni e di norma una molto importante circa due volte l'anno. Ma a quel tempo abbiamo iniziato ad avere brutte dispute in media una volta alla settimana, e lui non le finiva tanto facilmente. Aveva scoppi d'ira durante le quali mi urlava addosso, mi diceva di uscire, mi sbatteva giù il telefono e rifiutava di parlare con me per giorni. E faceva scene come queste anche in pubblico.


L'unico modo per andare avanti dopo queste manifestazioni di rabbia era di mandargli una lettera di scuse, anche se non avevo fatto nulla di male. Ciò mi irritava non poco. Ero molto orgogliosa. Avevo ragione e mi piaceva avere ragione. Odiavo scusarmi - fingendo di aver fatto qualcosa di sbagliato, quando non lo avevo fatto.


In preda alla disperazione ho pranzato con Irene, un'amica assistente sociale geriatrica. Dopo essermi sfogata per un bel po' di tempo, ho detto che dovevo fare qualcosa, o altrimenti cessare la relazione - l'ultima cosa al mondo che volevo fare. Irene mi ha dato tre consigli, ed erano buoni consigli, anche se all'inizio non mi piaceva niente di tutto ciò. Ecco le sue linee guida:

  1. Non cominciare nemmeno a parlare di argomenti che pensi possa sconvolgerlo.
  2. Non si può vincere una discussione con una persona che ha l'Alzheimer. Dichiarati d'accordo con quello che dice - non importa quant'è assurdo - a meno che non ci sia un motivo valido per non farlo, e raramente c'è.
  3. Se inizia ad agitarsi, cambiare rapidamente l'oggetto della discussione.


Mentre pensavo a queste "regole", mi sono resa conto che seguendole avrei cambiato il nostro rapporto in maniera significativa. Non saremmo più stati in grado di discutere di politica. Le nostre opinioni differiscono così tanto che avrei violato la regola numero uno. E non avrei più potuto parlare del mio lavoro o dei problemi personali perché si arrabbiava quando non seguivo i suoi consigli. Ciò avrebbe violato la regola numero due. E molto seriamente, non potevo immaginarmi d'accordo con tutto quello che avrebbe detto perché così spesso era sbagliato. Non potevo immaginarmi con la testa china e seguire qualsiasi assurdità veniva fuori dalla sua bocca.


"Non posso promettere che seguendo queste linee guida si fermeranno tutte le lotte", ha detto Irene. "Ma ti aiuteranno. Perché non provare per un po' e vedere cosa succede?"

"Ma Irene", dissi. "Non posso essere d'accordo con lui quando dice cose stupide".

"Quando ciò accade, basta che ti chiedi: 'Voglio avere ragione o voglio vivere in pace?'"


Quella era una domanda difficile. Seguire il suo consiglio significava che non saremmo più stati in grado di parlare di qualsiasi cosa volessimo, o degli argomenti che nascevano in modo naturale. E - ciò che temevo di più - io non sarei riuscita più ad essere sincera. Non importa quanto ero in disaccordo con lui, avrei dovuto far finta di concordare. Il nostro rapporto sarebbe diventato superficiale, insincero e irreale. E peggio di tutto, avrei dovuto ingoiarmi l'orgoglio.


Ciò nonostante, ho seguito il suo consiglio, e una volta che ho imparato le regole (che ha richiesto un po' di tempo), ha funzionato. Quasi come un miracolo. La frequenza e l'intensità delle nostre discussioni sono diminuite in modo significativo. Per la maggior parte del tempo siamo tornati al nostro precedente rapporto accomodante, con solo un lieve disaccordo ogni tanto.


Ho anche notato che quando le altre persone non seguivano queste linee guida, interagendo con Ed, di solito arrivavano brutte discussioni. Ho finalmente imparato che è in realtà meglio vivere in pace che avere ragione. E' stato davvero meglio a lasciar andare il mio orgoglio.

 

 

 

 

 


Scritto da Marie Marley, autrice del libro Come Back Early Today: A Memoir of Love, Alzheimer's and Joy.

Pubblicato in The Huffington Post (> English version) - Traduzione di Franco Pellizzari.

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