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I malati di Alzheimer hanno emozioni più sopite

Guardare una persona cara che lotta con l'Alzheimer può essere un processo doloroso, ma il paziente potrebbe avvertire meno questa esperienza. I malati di Alzheimer possono apparire schivi e apatici, sintomi spesso attribuiti a problemi di memoria o a difficoltà a trovare le parole per comunicare.

Uno studio dell'Università della Florida ha rilevato che essi possono anche avere una minore capacità di provare emozioni, cioè non sentono le emozioni così profondamente come i loro coetanei sani. Questa scoperta in un piccolo gruppo di pazienti può essere utile ai medici per valutare se i malati di Alzheimer sono clinicamente depressi.

Lo studio, pubblicato online sul numero della scorsa primavera del Journal of Neuropsychiatry & Clinical Neurosciences, suggerisce che quando i malati di Alzheimer sono invitati ad assegnare un valore emotivo a delle foto, misurano le immagini piacevoli meno gradevoli e le scene negative come meno negative rispetto a un gruppo di controllo normale di anziani. Questa piattezza emotiva potrebbe essere erroneamente interpretata come un sintomo di depressione.

Heilman

"Abbiamo scoperto che i pazienti di Alzheimer, di norma, tendono ad andare di più verso il punto mediano", ha detto Kenneth Heilman, MD, autore senior dello studio e professore di neurologia presso la Facolta' di Medicina e al McKnight Brain Institute dell'University of Florida (foto). "Non si sentono così positivi verso le immagini positive o così negativi verso quelle negative. Non sono depressi, ma la loro esperienza emotiva sembra essere appiattita".

Sono necessarie ulteriori ricerche, ma i risultati potrebbero essere utili ai medici che cercano di capire se un paziente è depresso, nonché alle famiglie interessate all'apparente indifferenza di una persona cara. Lo studio ha presentato a sette pazienti con Alzheimer foto di scene positive e negative, come neonati e ragni, e ha chiesto loro di valutare ogni immagine. I pazienti hanno registrato la loro reazione emotiva alle foto, marcando su un pezzo di carta una faccia felice per le positive e una faccia triste per le altre. Più vicino era il loro segno alla relativa faccetta, più forte era la loro sensazione.

La maggior parte del tempo hanno segnato la posizione appropriata, ha detto Heilman, che è anche direttore del Cognitive e Memory Disorders Program della UF. "Per la foto di un cucciolo, non hanno dato una valutazione così alta [come i membri del gruppo di controllo], ma hanno comunque messo il segno verso la faccia felice, dimostrando che hanno capire la figura", ha detto. "Ma hanno anche fatto più marcature incoerenti rispetto al gruppo di controllo normale, come quando è stato mostrato un ragno e hanno messo il segno sulla faccia felice."

Gli autori dello studio propongono diverse spiegazioni per questo effetto appiattito. Studi precedenti rivelano che tali sintomi dell'Alzheimer sono causati dal deterioramento dei sistemi neurali, ha detto Heilman. "Anche nelle fasi iniziali, l'Alzheimer distrugge le aree del cervello che producono neurotrasmettitori chimici come la norepinefrina, che è essenziale per vivere la paura e la rabbia", ha detto. "Se avessimo prescritto farmaci che sostituiscono o aumentano questi neurotrasmettitori, forse avrebbero provato meglio le emozioni".

La cattiva interpretazione delle immagini o la mancata comprensione del significato di alcune di esse - un disturbo di comprensione - potrebbe avere distorto i risultati, ma ai volontari è stato fatto un test di denominazione per ridurre al minimo questa possibilità. Anche se i malati di Alzheimer spesso soffrono di depressione, i ricercatori la escludono come causa di minore risposta emotiva basata su valutazioni annuali faccia a faccia condotte durante lo studio.

"Una conseguenza importante di questo lavoro è che quando il paziente di Alzheimer appare emotivamente compresso, il medico o il curante, non deve presumere che il paziente sia depresso e trattarlo automaticamente con antidepressivi, perchè altri fattori biologici potrebbero essere al lavoro", ha detto Todd Feinberg, MD, un professore di neurologia e psichiatria clinica al Beth Israel Medical Center di New York, che non ha partecipato alla ricerca.

I risultati portano anche nuova comprensione alle famiglie dei malati di Alzheimer. "I caregivers inoltre dovrebbero essere aiutati a capire che non è 'colpa loro' se una persona cara sembra emotivamente indifferente a loro", ha detto Feinberg.

"Heilman e colleghi hanno utilizzato un approccio più rigoroso per distinguere la depressione dai sintomi di Alzheimer", ha dichiarato Yonas Geda, MD, professore associato di neurologia e psichiatria presso il College of Medicine della Mayo Clinic di Rochester, Minnesota, che ha esaminato lo studio. Negli studi più grandi, la completezza viene sacrificata a favore dell'ampiezza del campione, usando questionari di 10 o 20 domande, le cui risposte sono date dai badanti o pazienti stessi. "A differenza degli studi basati su questionari, lo studio di Heilman e dei suoi colleghi solleva gravi interrogativi circa i potenziali problemi neurobiologici per spiegare il comportamento osservato," ha dichiarato Yonas. "Possiamo replicare questa valutazione approfondita faccia a faccia in un campione di dimensioni più grandi? Forse computer e tecnologia ci possono aiutare a gestire la rigorosa valutazione che ha fatto la squadra di Heilman, ma su un campione di dimensioni più grandi".

Yonas ha anche suggerito che gli studi futuri utilizzino tecniche di neuroimaging assieme al test sull'immagine per sondare un po' di più il meccanismo di sentire le emozioni.

 


Fonte: McKnight Brain Institute, University of Florida

Pubblicato su Alzheimer's Reading Room il 8 febbraio 2011

Traduzione di Traduzione di Franco Pellizzari.

Copyright: Tutti i diritti di eventuali testi o marchi, eventualmente citati nell'articolo, sono riservati ai rispettivi proprietari.

Liberatoria: questo articolo non si propone come terapia o dieta; per qualsiasi modifica della propria cura o regime alimentare si consiglia di rivolgersi a un medico o dietologo.


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