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L'Alzheimer danneggia la vista, distruggendo gli schemi del sonno

L'Alzheimer danneggia la vista, distruggendo gli schemi del sonnoCellule melanopsina in una retina umana normale (Foto: Jens Hannibal)Il movimento incessante di notte è comune tra le persone con Alzheimer, e molti rimangono svegli, agitati e stimolati molto tempo dopo che i loro familiari sono andati a dormire.


Ora, degli scienziati potrebbero aver capito perché: la malattia sembra degradare un particolare tipo di cellule dell'occhio che dicono al cervello quando è giorno o è notte.


Se la scoperta reggerà a ulteriori studi, potrebbe offrire ai medici un nuovo modo di monitorare la progressione dell'Alzheimer e potrebbe portare a trattamenti che restituiscono un sonno della buona notte.


Le cellule in questione sono conosciute come cellule retinali gangliari melanopsina. Mandano segnali al centro del cervello responsabile dei ritmi circadiani, l'orologio quotidiano del nostro corpo. Le celle costituiscono dall'1% al 2% dei sensori dell'occhio sensibili alla luce, ma non hanno alcun ruolo nella visione, dice l'autrice Chiara La Morgia, neuroscienziata dell'Università di Bologna. Piuttosto, essi percepiscono i livelli di luce intorno a noi, dicendoci quando dormire o quando stare all'erta.


La La Morgia e i suoi colleghi, consapevoli dei gravi problemi di sonno presenti spesso nell'Alzheimer, si sono chiesti se le cellule possono smettere di fare il loro lavoro con la progressione della malattia. "Se le perdi, si dovrebbe vedere una disfunzione dei ritmi circadiani ed esserci un sonno interrotto", dice Alfredo Sadun, neuro-oftalmologo della University of California di Los Angeles, co-autore dello studio. "Questo è la sintomatologia esatta che vediamo nell'Alzheimer".


Per saperne di più, i ricercatori hanno usato dei coloranti per marcare le cellule melanopsina negli occhi di 30 donatori di organi recentemente scomparsi. Hanno trovato circa il 24% in meno di cellule melanopsina negli occhi delle persone con Alzheimer rispetto agli occhi dei donatori senza la malattia.


Di più ancora, le cellule melanopsina in coloro che avevano l'Alzheimer sembravano diverse. Le cellule melanopsina sane hanno corpi cellulari rotondi con tanti fili lunghi che attraversano la retina, come resti di una ragnatela abbandonata di un ragno. In un futuro numero di Annals of Neurology, il team di ricerca riferirà che nelle persone affette da Alzheimer, le cellule erano tozze, con fili sottili che formano una rete più piccola.


Per cercare gli indizi che spiegano la degenerazione delle cellule, gli scienziati hanno usato coloranti fluorescenti per individuare nel tessuto retinico una proteina chiamata amiloide-β, che si accumula nel cervello dei malati di Alzheimer. Hanno scoperto che questa proteina tossica si accumula intorno alle cellule melanopsina degradanti.


Il co-autore Valerio Carelli, neuroscienziato dell'Università di Bologna, dice che i ricercatori non possono ancora dire se le cellule melanopsina si rompono in coloro che hanno l'Alzheimer prima che la malattia attacchi altre parti del cervello o se i segnali provenienti da un cervello in degenerazione fanno avvizzire le cellule.


Tuttavia, egli ritiene che i risultati possano influenzare sia il trattamento che la diagnosi della malattia. La retina è la sola parte del cervello che non è coperta dal cranio, nota Carelli, per cui i ricercatori possono facilmente accedervi. Egli dice che gli strumenti che consentono ai medici di osservare la quantità di amiloide-β nell'occhio o il cambiamento di funzionalità delle cellule melanopsina nel tempo potrebbero aiutarli a monitorare la malattia.


Trovare il modo per preservare queste cellule o per stimolare meglio le cellule rimanenti potrebbe contribuire anche ad alleviare i disturbi del sonno, almeno in alcuni pazienti, dice il co-autore Maya Koronyo-Hamaoui, neuroimmunologo del Cedars-Sinai Medical Center di Los Angeles in California. Lei fa notare che i disturbi del sonno possono portare a un 'circolo vizioso', in cui un riposo carente sconvolge il sistema immunitario, che può rendere le cellule immunitarie meno efficienti nell'eliminare le proteine tossiche.


Lo studio fornisce una spiegazione meccanicistica di "un aspetto della malattia che viene spesso trascurato", dice il biologo cellulare Jeremy Sivak, dell'Università di Toronto in Canada, che non era coinvolto nel lavoro. Egli è ansioso di vedere il prossimo passo: uno studio che mette in relazione la disfunzione in queste cellule con la gravità dei sintomi del sonno nello stesso gruppo di pazienti viventi. Questa dimostrazione, dice, sarà necessaria ai ricercatori per essere sicuri che il danno delle cellule melanopsina stia dietro ai disturbi del sonno delle persone con Alzheimer, e non solo qualcosa che si presenta al loro fianco.

 

 

 


Fonte: Lindsey Wessel in Science (> English text) - Traduzione di Franco Pellizzari.

Riferimenti: Chiara La Morgia, Fred N. Ross-Cisneros, Yosef Koronyo, Jens Hannibal, Roberto Gallassi, Gaetano Cantalupo, Luisa Sambati, Billy X. Pan, Kevin R. Tozer, Piero Barboni, Federica Provini, Pietro Avanzini, Michele Carbonelli, Annalisa Pelosi, Helena Chui, Rocco Liguori, Agostino Baruzzi, Maya Koronyo-Hamaoui, Alfredo A. Sadun e Valerio Carelli. Melanopsin retinal ganglion cell loss in Alzheimer's disease. Annals of Neurology, DOI: 10.1002/ana.24548

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Nota: L'articolo potrebbe riferire risultati di ricerche mediche, psicologiche, scientifiche o sportive che riflettono lo stato delle conoscenze raggiunte fino alla data della loro pubblicazione.


 

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